Parlare di “bilancio negativo” per il 2022 del vino italiano è forse un po’ esagerato: pensiamo ad esempio alla spumeggiante performance delle bollicine nostrane, che nel corso dello scorso anno hanno raggiunto (e scavalcato) il muro dei 2 miliardi di valore in esportazione; o a come si è risolta una vendemmia che, alle prime luci di agosto, pareva indelebilmente compromessa dalla morsa della crisi idrica. C’è un nero, tuttavia, che è difficile da notare – e cioè le vendite delle etichette italiane nei circuiti retail o della Grande distribuzione organizzata di Germania, Stati Uniti e Regno Unito; ossia mercati che da soli valgono circa il 50% delle esportazioni dello Stivale.
63 milioni di bottiglie in meno: che è successo?

Si tratta di quanto emerso dalla più recente indagine redatta dall’Osservatorio del Vino UIV-Vinitaly su base Nielsen-IQ, che racconta di una vendita complessiva di 4,9 milioni di ettolitri di vino nel corso del 2022 – un numero che pare alto, sì, ma che in realtà equivale a un calo del 9% rispetto all’anno precedente, con i valori che invece incassano una riduzione del 5% pari a 4,7 miliardi di euro.
Insomma, in altre parole mancano all’appello 63 milioni di bottiglie rimaste fondamentalmente a riposare sugli scaffali. Dei tre importanti mercati sopracitati la performance peggiore in assoluto la fanno registrare i nostri amici in quel d’Oltremanica (-11% volume e -8% valore), seguiti dalla Germania che affianca al -7% valoriale una perdita del 10% volume e infine dagli Stati Uniti, “colpevoli” solamente di una erosione in valore del 2% e un minus in volume del 5%.
La lettura dell’Osservatorio, in ogni caso, si mantiene su toni prettamente positivi; e di fatto imputa il calo in questione a una diretta conseguenza della riapertura del fuori casa che, di fatto, è tornato (quasi) completamente a fiorire nel 2022 dopo due lunghi anni di restrizioni e difficoltà. In altre parole, il calo registrato nel contesto della GDO sarebbe un “rimbalzo” previsto e comprensibile, specialmente se consideriamo il delicato momento storico ed economico.
Eh sì, perché se infatti un calo più o meno notevole era nei piani delle autorità di settore, occorre comunque fare i conti con quella che potremmo definire senza mezze misure una crisi economica: il tasso di inflazione in costante crescita sta stritolando un po’ in tutto il mondo il potere d’acquisto dei consumatori, che volenterosi di mettere da parte qualche soldino in più potrebbero essere disposti a tagliare gli acquisti dei cosiddetti “vizi” – alcolici e vino in primis.
In altre parole va bene il calo, ma meglio non rimanere con le mani in mano: “Siamo convinti, ancor più in questo particolare momento storico” ha spiegato a tal proposito l’ad di Veronafiere, Maurizio Danese “che il settore non possa permettersi di allentare la presa sui suoi principali mercati di sbocco”.