Primo Maggio, chi non lavora non mangia

bambini_pranzoNon vorremmo, ma siamo tutti parte in causa. La notiziaccia che riguarda il comune di Pessano con Bornago, Milano (“i vostri genitori non pagano – tolto il pasto a 34 scolari”), lo dico subito, mi fa alquanto orrore. Sarà che sono padre. Io ho vergogna per un sistema che, nell’inadeguatezza dei mezzi che si è dato, sceglie garrulo di colpire chi è più debole: si ritarda il pagamento della mensa scolastica del figlio? Non importa se “alcuni sono in cassa integrazione, qualcuno è stato licenziato, altri sono stranieri” – il sistema non ha pietà, e toglie il cibo di bocca ai bambini. Non a tutti, certo, a quelli che non pagano; per questi, niente mensa. E poco importa, dicevo, se effettivamente alcune famiglie faticano ad arrivare a fine mese; il sindaco s’affanna a dire che “qualcuno ne approfitta”, e nega il pranzo a bambini della scuola dell’obbligo. Differenziandoli, anche fisicamente, da chi è più fortunato e riesce a permettersi la retta, costringendoli a tornare a casa, infliggendo a questi piccoli il segno della diversità. Guardate, questi sono meccanismi perversi, e paradossalmente accade a scuola, dove le dinamiche della convivenza infantile dovrebbero essere una roba ovvia. Io ho orrore e vergogna di questo. Per non dire dei pochi bambini che non possono tornare a casa per pranzo, e restano a scuola senza mangiare: alcuni insegnanti hanno rinunciato al loro pasto, pur di consentire ai piccoli di accedere alla mensa. Io resto incredulo di fronte a tale scenario dickensiano in pieno 2009, in Italia.

Dice: ma senti, questi sono costi, sono tasse che vanno pagate. E’ indubbio; e se qualcuno approfitta dell’evidente lentezza nella riscossione dei crediti, questo va in qualche modo perseguito; quello che non possiamo, che non dobbiamo permettere è l’eterno ricorso alla cura dell’effetto, e non della causa. In un ambito così delicato, così fragile, come quello dell’educazione, l’introduzione di provvedimenti draconiani è folle e ingiusto, soprattutto perché è evidente, qui, che nell’impossibilità di far valere un diritto valido (il diritto del fornitore dei pasti ad essere retribuito) se ne comprime uno enorme, il diritto dei bambini a vivere una vita scolastica degna di un paese civile; in sostanza, gli strumenti legali sono inesistenti, e quella stessa res publica incapace di darsi un ordinamento giudiziario serio a tutela di un servizio, trova assai più agevole interrompere quel servizio.

E comunque il punto non può ridursi ad un problema di riscossione coattiva. Se, come credo, si tratta di difficoltà oggettive in capo a molte famiglie, la torma di politici che a ogni elezione si riempie la bocca della parola famiglia dovrebbe, seriamente, cambiare disco. Io mi sono stancato al di là del dicibile di sentir declinare la parola famiglia in ogni modo, e poi assistere a sconci come quello di una comunità che non fa fronte alle esigenze più basilari della famiglia: la scuola è tra queste. E a scuola, ai bambini, si dà da mangiare.

Indipendentemente dal lieto fine.