Bentoteca Milano, recensione: com’è il ristorante di “schiscette” di Yoji Tokuyoshi

Bentoteca Milano è il nuovo ristorante dello chef giapponese Yoji Tokuyoshi. La nostra recensione con il menu, i prezzi, i piatti, le foto, le opinioni.

Bentoteca Milano, recensione: com’è il ristorante di “schiscette” di Yoji Tokuyoshi

Con Bentoteca Milano – inizialmente aperto come progetto temporaneo, ma probabilmente ristorante destinato a restare –  lo chef Yoji Tokuyoshi fa un tentativo di sintesi dei tempi correnti, stravolti dall’epidemia. E traccia una possibile direzione per la ristorazione post-pandemica, in un contesto dove le parole chiave saranno ridimensionamento, prossimità, semplicità.

Per anni braccio destro di Bottura, Tokuyoshi conquista una stella Michelin con il suo ristorante di Milano che però chiude dopo il lockdown, peraltro a ridosso di una sostanziale ristrutturazione. Al suo posto apre Bentoteca, ispirato all’idea della bento box, la “schiscetta” in versione giapponese. Kit da asporto, appunto, inizialmente, per poi migrare nella versione corrente “in loco”, dove dei caratteristici vassoi a scomparti quadrati rimane l’ispirazione: cucina non sofisticata, svelta e accessibile.

Bentoteca TokuyoshiBentoteca Tokuyoshi

L’estetica giapponese nella sua versione, si potrebbe dire, scarna e spicciola. Lo stile bento come superconduttore aggraziato ed esteticamente appagante per veicolare nuovi principi di fare cucina, principi di sobrietà e ridimensionamento. A tale scopo, servirsi di quella qualità così squisitamente giapponese per cui anche qualcosa di semplice e rudimentale può vestirsi di grazia e ricercatezza, può essere divertente, sperimentale, edonistico.

Il menu, i prezzi, la cucina

Bentoteca TokuyoshiBentoteca Tokuyoshi

L’idea è interessante, e l’insalata di patate con ajitama (uovo marinato), proposto a 12 euro, è un inizio molto convincente. Piatto d’importazione occidentale ma diffusissimo nella dieta quotidiana nipponica, è ingrandito dallo chef con poche e centrate varianti: i fagiolini turgidi, vivissimi di verde tavolo da biliardo, l’uovo marinato suadente e lascivo.

La cifra di Tokuyoshi è sempre stata quella di far danzare i due universi gastronomici italiano e giapponese in un’intesa naturale, come guardandosi l’uno negli occhi dell’altro e capendosi al volo, esprimendo un unisono lontano da ogni accezione di “fusion” stantia e abusata. Tuttavia, questo gioco intelligente e delicato riesce ad intermittenza nel corso della serata. O forse, per meglio dire, riesce in crescendo, con alcuni non trascurabili passi falsi in partenza, fino a raggiungere in seguito punte di livello egregio.

Bentoteca Tokuyoshi potato saladBentoteca Tokuyoshi anguillaBentoteca Tokuyoshi udon

I noodle udon con sardella calabrese (la nduja di pesce, salsa rossa piccante a base di bianchetto o nuda), uovo e portulaca (16 euro) è in potenza un piatto ricco di suggestione, tra atmosfere accecanti e madide del sudore dei pescatori del mar ionio e il silenzio meticoloso di un laboratorio artigianale di noodle giapponesi. Però la potenza non si trasforma in atto, e il piatto non prende vita, rimanendo un’idea a compartimenti stagni in cui manca la magia della sintesi. Gli udon sono di buona fattura, la sardella è saporita. Ma è come se questi ingredienti così carichi di suggestione e significato non si parlassero e non si capissero. Un piatto su cui aleggia l’ombra del posticcio.

Si dirà, questo ristorante non ambisce allo straordinario, ruotando invece esplicitamente intorno al perno della semplicità. Ma il semplice puo essere speciale, o forse deve, quando la reputazione dello chef e i prezzi – tutt’altro che “semplici”, ahimè – suggeriscano questa aspettativa.

Bentoteca Tokuyoshi tempuraBentoteca Tokuyoshi karaage

Simile mutua incomprensione affligge la composizione della tempura Kariage di verdure miste con parmigiano e salsa Tosazu, a base di soia e aceto di riso (12 euro). Julienne di verdure colorate e aggrovigliate, colte in movimento dalla frittura, come un brillamento cosmico cristallizzato sul nascere. Quello che il piatto dona nell’impatto visivo, lo toglie però nella resa gustativa. Il parmigiano grava sulla frittura e la invischia, le verdure emergono dal groviglio stanche e dal sapore poco convinto.

Il crescendo inizia con il karaage di animelle di vitello con cavolfiore (15 euro). È un piatto strano, che ha polarizzato le mie sensazioni. Il karaage è una tecnica di frittura elaborata, che prevede la marinatura, l’infarinatura, e poi ancora un secondo strato di maizena, in questo caso nebulizzata. Il tutto a creare un effetto multistrato, complesso e corposo. La tradizionale salsa d’accompagno a questo piatto è reinventata al peperone crusco. Coraggio e temperamento in questa scelta! Il peperone crusco, spogliato della sue fattezze di cristallo appena forgiato, di rubino grezzo, si fonde quasi ereticamente in un succo dalle note abbrustolite e profonde, da cui emergono a intermittenza sentori di arancia e agrumi. La frittura però è deludente. La normale corposità del karaage è qui un equivoco smunto e privo di fragranza.

Bentoteca Tokuyoshi midolloBentoteca Tokuyoshi katsusando

Il crescendo però ormai è innescato. IL midollo di vitello alla brace (12 euro) è primitivo e rozzo, molle e cremoso. Su di esso, i calamari fermentati Shiokara, arancione acceso, sono come gocce di una resina pungente e corrosiva appena cadute su un tronco antico, un piatto che ricorda una foresta arcana e misteriosa. Complesso, avvolgente, ultra sapido. Non adatto ai deboli di palato, e tuttavia spettacolare. La tecnica giapponese della fermentazione è la regia all’ombra di questa scena ricca di energia. Intenzioni centrate, il miglior midollo di sempre.

Stesso dicasi per il katsusando (14 euro), il cibo giapponese “on the go” per eccellenza, sandwich di pan carrè con cotoletta fritta, nella versione classica. Lo chef lo reinventa con lingua di vitello e maionese verde. La carne marinata a lungo, poi cotta in sottovuoto, e infine fritta è una supernova di sapore.

Per concludere, nella media – a parte purtroppo il prezzo – l’anguilla kabayaki (24 euro) grigliata e laccata di salsa di soia, decorata di fiori e verdure crude. Molta attenzione e cura per la proposta dei vini, incentrata sul biodinamico e naturale.

L’opinione

Bentoteca Milano Tokuyoshi

La proposta italo-giapponese di Tokuyoshi è interessante ma non priva di limiti, di certo arricchente nel panorama milanese che lentamente si diversifica e si affranca dall’egemonia del sushi . Bentoteca si può intendere come un bistrot in cui le proposte dei vini e del cibo ricevono uguale attenzione e ricerca, così andando ad arricchire un circuito di “gastro-enoteche” ancora embrionale ma promettente a Milano.

Sembra che Tokuyoshi abbia intenzione di rendere permanente questo progetto inizialmente pensato temporaneo, e di riaprire il ristorante principale sotto una veste diversa, più intima ed esclusiva, incentrata sullo stile omakase, un tipo di esperienza culinaria giapponese dove ci si affida alla cura dello chef per un percorso intimo e personalizzato.

Informazioni

Bentoteca Milano
Via S. Calocero, 3, 20123 Milano MI
Telefono: 340 835 7453
Aperto solo a cena tranne lunedì. Sabato e domenica anche a pranzo.
Web: bentoteca.com
Tipo di cucina: italo – giapponese
Ambiente: stiloso contemporaneo
Servizio: amichevole e gradevole.

Voto: 3,5 /5