Caro Briatore, il valore delle persone non si misura su quanto lavoro danno

Flavio Briatore è arrabbiato. È lì, seduto sulla sua poltrona a leggere sull’iPad gli articoli che parlano dell’imminente apertura del suo Crazy Pizza a Torino, ed è arrabbiato.

Caro Briatore, il valore delle persone non si misura su quanto lavoro danno

I giornalisti torinesi – questi fenomeni – hanno titolato la notizia della nuova apertura della pizzeria di Briatore chiedendosi se Torino è una città che spenderebbe 20 euro per una margherita. Oppure hanno scritto parlando degli arredi super costosi con cui è normalmente allestita la pizzeria.

Sia mai, voi stolti pennivendoli. Si vede che non siete mai usciti da Torino, voialtri, dice Flavio Briatore. Si vede che fuori Torino non sapete dove andare. Siete mai stati a Phi Beach? O a Malindi? No? E allora che parlate a fare.

Come misura le persone Flavio Briatore

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Flavio Briatore prosegue inspiegabilmente arrabbiatissimo. Non si capisce bene perché, in effetti, visto che i giornalisti torinesi hanno solo evidenziato che il capoluogo piemontese è storicamente città operaia, forse (forse eh) poco propensa ai lustrini, agli show da Costa Smeralda e alle rose finte. Mica hanno detto che i pizzaioli di Crazy pizza sono in realtà una setta di ninja che fa roteare i dischi di pasta in aria per affilarli finché non sono abbastanza taglienti da lanciarli e tagliare via teste dei giornalisti antipatici.

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Eppure Briatore non ci sta, ed elenca titoli e pure quelli che sembrano commenti social (pure quelli a opera dei giornalisti? Non si capisce). Chi gli fa notare che un Crazy Pizza a Torino già c’è (è vero, è in via Vandalino, e forse una delle due pizze pazze un giorno si porrà il problema e allora sì che i giornalisti torinesi avranno di che scrivere). Insomma, Flavio Briatore a Torino non si sente benvoluto, e d’altronde non si era sentito accolto adeguatamente manco a Napoli. Lì era colpa non dei giornalisti cattivi ma dei pizzaioli invidiosi, e chissà se si fa peccato a pensare che a Briatore piaccia sbarcare nelle città facendo un pochino di polemica per aumentare l’hype della sua pizza.

Ma non è questo il punto. Flavio Briatore, nel suo arrabbiatissimo video social, conclude dicendo che i giornalisti dovrebbero smetterla, perché loro non servono a niente. E sapete perché non servono a niente? Perché loro non danno lavoro proprio a nessuno, mentre lui con le sue pizzerie dà lavoro a un sacco di persone. E immediatamente sembra più netta quella sensazione avuta per tutto il video che quella di Briatore fosse un tantino un avvertimento, guardate Torinesi che se mi fate arrabbiare io a Torino non ci vengo più, mi tengo la palla e i miei trenta posti di lavoro e voi tenetevi gli inutili giornalisti carichi di invidia.

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Come se il valore delle persone si misurasse in base a quanto lavoro creano con le loro imprese. Una stortura tipica di un certo pensiero imprenditoriale (berlusconiano, suggerisce mio figlio di sette anni dal suo seggiolino sul sedile posteriore, giuro, e io non posso non aggiungerlo alla riflessione) che vuole porre colui che dà lavoro su un piedistallo da adorare per la ragione stessa di dare degli stipendi. Come se fosse un benefattore disinteressato e non – lecitamente e giustamente – un imprenditore in cerca di guadagno.

Ecco, Flavio Briatore: questo tipo di ragionamento, oggi come ieri, è aberrante ovunque, ma forse non è il migliore biglietto da visita con cui presentarsi in una città dalla storia operaia come Torino, che le gerarchie troppo marcate basate sul potere e sul denaro le ha sempre mal sopportate.