Central a Lima: com’è mangiare 16 altitudini nel ristorante di Virgilio Martinez

Central a Lima: com’è mangiare 16 altitudini nel ristorante di Virgilio Martinez

In fundo, Virgilio. Eccomi qua, alla fine del mio viaggio peruviano, in uno dei più osannati ristoranti del pianeta, ospite di uno dei cuochi più rivoluzionari del mondo: il Central di Virgilio Martinez, a Lima. Il Central è secondo nella Fifty Best Latin America (era primo nel 2016), sesto nella Fifty Best generale (in cui è il primo sudamericano: mistero delle classifiche).

Martinez, classe 1977, è uno dei protagonisti più radicali della scena gastronomica, in senso stretto: con il progetto culturale Mater Iniciativa, con il suo altro locale MIL affacciato sulle rovine inca di Moray, a 3800 metri sul livello del mare, e con quello che sta per aprire nel cuore della foresta amazzonica dimostra che con il cibo si può cambiare il destino delle comunità rurali.

piatti central di lima piatti central di lima

Ma io non sono arrivato nella nuova sede del Central – nel quartiere molto gentrificato di Barranco (a Lima le zone gentrificate sono benedette per noi fighettini occidentali, ché è una megalopoli a tratti faticosa) – per cambiare il Perù, ma per assaggiarlo in ogni suo angolo. Meglio: a ogni sua altezza. Infatti come tanti sanno il menu più celebre del ristorante si chiama “Alturas mater” ed è un viaggio attraverso gli ecosistemi peruviani codificati per altitudine.

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Cioè: sono sedici piatti ognuno confezionato con le materie prime provenienti da una specifica zona del paese localizzata a una specifica altezza sul livello del mare. Considerate, infatti, che il Perù è grande come quattro Italie e gli alimenti vanno dai meno 10 metri delle creature marine (che non sono manco tanti) ai 4350 di quelli prodotti sulle vette delle Ande (che sono proprio tanti). Una sorta di ghirlanda di chilometri zero: cioè le materie prime fanno migliaia di chilometri per arrivare a Lima, ma ogni piatto è costituito di prodotti che in natura vivono uno vicino all’altro.

Bene. Tutto ciò spiegato, entro in questo bell’edificio moderno ed essenziale varato nell’estate del 2018, che contiene il Central, il bistrot Kjolle, il cocktail bar Mayo, tutti condotti con cuoca (e moglie) Pia Leon. All’ingresso si susseguono tavoli con esposte le materie prime ma, diavolo, io ho fame. Così siedo a uno della ventina di tavoli dell’unica sala dalle tinte grigio-tortora che ha per colonne tronchi di albero. Una grande vetrata affaccia sulla cucina nella quale tutti lavorano tranquilli, senza parlare, con Virgilio che controlla i piatti che escono e ogni tanto ne accompagna qualcuno ai tavoli per illustrarli personalmente.

Cosa che farò umilmente, brevemente io, uno per uno.

Si viaggia di circa 4360 metri dal piatto più “basso” a quello più “alto” (a questa idea Martinez ha dedicato un bel libro pubblicato da Phaidon).

Scogli rossi, – 10 metri, sono una serie di minuscoli servizi il cui piatto forte è un boccone di percebes iodato e citrico, squisito

 

 

Costa desertica, 110 metri, anche qui un tot di piattini al cui centro stanno una sorta di lokum di cactus e una scodellina con clams affettate e condite (molto buone)

Pascoli d’altitudine, 3750 metri, una tartare d’anatra con due tipi di radici, mashwa nera e gialla, golosa

 

Fiume amazzonico, 110 metri, un boccone di pesce con tre piante amazzoniche, pacae, ungurahui e arapaima servito su un piatto fatto della propria pelle

Giungla alta, 890 metri, delle polpettine di pianta copoazu da intingere in salse di radice dale-dale e sachatomate (il tamarillo, il cosiddetto “albero dei pomodori”)

Territorio marino, 15 metri, finissime fettine di calamaro crudo con cialde di huarango e alga sargassum

Acque del deserto, 88 metri, avocado, riccio e loche (una pianta), una cosa di bontà estrema

Estrema altitudine, 4350 metri, e qui ecco una zuppa con cialde di mais gialli e viola e amaranto

Mil Moray, 3590 mentri, in arrivo dal ristorante MIL sulle rovine di Moray: una oca – è una radice dolce – cotta nell’argilla commestibile

Lago amazzonico, 190 metri, una cialda di pelle di pirana e yuca servita su un suggestivo (e spaventoso) gruppo di teste di pirana (congelate e dunque inoffensive, grazie al cielo)

 

Valle marina, – 25 metri, capesante, zucca macre, lattuga di mare; dolce, iodio, goloso

Foresta pianeggiante, 135 metri, una bellissima zuppa di gamberi amazzonici e carne secca servita con trifogli e fiori viola

Boschi andini, 2980 metri, un boccone di agnello con olluco (è una pianta andina) e dei fili di latte di pecora disidratato

Foresta ambra, 240 metri, un primo dolce con cialde e gelato di yacon, limone rugoso e caffè (qua in Sudamerica il caffè e il cacao sono una cosa serissima)

Cordigliera verde, 2100 metri, tre servizi di cacao, sorbetto di foglie di coca e argilla commestibile

Piante medicinali, 3800 metri, foglie di congona, fiori di kjiolle e gel di huampo

Sedici piatti di gusti estremamente identitari ma non per questo lontani dal nostro palato: non c’è una sola ricetta che non soddisfi appieno la gola di un occidentale goloso. E almeno un poco curioso. Ma chi non è curioso non ama davvero il cibo.