Come fa Hélène Darroze a sostenere il suo fine dining: la nostra intervista

Il fine dining è ancora sostenibile nel 2023? L'ho chiesto a Hélène Darroze, la chef più importante di Francia, durante un pranzo nel suo bistellato Marsan a Parigi.

Come fa Hélène Darroze a sostenere il suo fine dining: la nostra intervista

Non servono grandi presentazioni. Il volto femminile della cucina francese ha un nome e un cognome, ormai da decenni: Hélène Darroze. Nata nel 1967 a Mont de Marsan, nella regione francese delle Landes, rappresenta la quarta generazione di una famiglia di chef. Dopo gli studi universitari e il diploma all’Ecole Supérieure de Commerce di Bordeaux, Hélène entra a far parte del team di Alain Ducasse presso il prestigioso Louis XV di Monaco. Vi passa tre anni ed è proprio il maestro Ducasse a proporle per primo di aprire un’attività tutta sua.

Nel 1995 torna a casa e prende le redini del ristorante di famiglia, raffinando il suo personale stile dietro ai fornelli. Dopo quattro anni si sposta a Parigi per rompere con la tradizione familiare e intraprendere una nuova avventura, quella del ristorante Hélène Darroze, che conquista la sua prima stella già nel 2001 e la seconda nel 2021. Nel mezzo c’è una lunga serie di riconoscimenti, pubblicazioni e, ovviamente, stelle Michelin. A partire dal 2008, quando l’iconico Connaught Hotel, nel quartiere di Mayfair a Londra, le affida le sue cucine per far rivivere la tradizione gastronomica francese: nasce così “Hélène Darroze at the Connaught”, il ristorante gourmet con cui riceverà la terza stella sempre nel gennaio 2021. Nel settembre 2018 apre un nuovo ristorante nel 2° arrondissement di Parigi, “Jòia par Hélène Darroze”. A maggio 2019, ecco invece “Marsan par Hélène Darroze”: vent’anni dopo l’apertura del suo primo ristorante parigino, la chef di Basque-Landes torna alle radici e sublima il suo lavoro in uno spazio completamente ridisegnato, ottenendo la seconda stella nel gennaio 2021. Nel luglio 2021, Hélène prende infine il timone della cucina dell’hotel di lusso Villa La Coste, in Provenza, conquistando in poco tempo l’ennesima stella col suo “Hélène Darroze à Villa La Coste”. Insomma, non servono troppe spiegazioni per capire come e perché Hélène Darroze venga giudicata la regina delle stelle Michelin francesi.

Qualche mese fa ho provato personalmente il suo Marsan” nel 6° arrondissement di Parigi e ci ho trovato dentro territorio, autenticità e genuinità. Parole delle quali oggigiorno è facile riempirsi la bocca, ma che nella proposta di Hélène si trasformano in piatti autentici e capaci di raccontare una storia, coerenti con l’ambiente che li ospita e le persone che li servono. Una storia di alta ristorazione costruita per esaltare le caratteristiche di una specifica location e per raccontare, appunto, ogni volta un’identità marcata. Ma quanto a lungo si potrà parlare di fine dining? Il caso Noma ci ha insegnato qualcosa o è stato solamente uno specchietto per le allodole?

Potrei parlarvi a lungo del menu di “Marsan”, potrei dilungarmi su quanto mi siano piaciute la terrina di foie gras delle Lande, l’intramontabile aragosta blu alle spezie tandoori o il babà all’Armagnac, così come ho apprezzato il carrello dei formaggi e degli Champagne, ma ho scelto di impostare questo articolo proprio sulla riflessione che attanaglia ormai da un anno l’intero settore. E parlarne con Hélène, storica giudice dell’edizione francese di Top Chef nonché Best Female Chef da parte di The World’s 50 Best Restaurants nel 2015, mi ha dato sicuramente degli spunti interessanti.

Hélène, come ti senti a essere considerata la regina delle stelle Michelin francesi? Quanto è difficile gestire le pressioni che comporta questa pesante etichetta?

“Ciò che mi motiva ogni giorno è dare gioia ai miei ospiti. Le pressioni e le sfide per me sono legate al fatto che i nostri ospiti vengono quotidianamente nei nostri ristoranti per fare un’esperienza autentica, trascorrere un momento piacevole, godersi la vita e trovare la felicità. Per tutti noi questa è una responsabilità enorme, abbiamo il dovere di mantenere le promesse. Ogni giorno ne parlo con il mio team: dobbiamo mettere in discussione noi stessi e il nostro lavoro in continuazione, questo secondo me è l’unico modo per raggiungere il nostro obiettivo, nonché l’unico modo per migliorare e fare sempre meglio”.

 

Oggi gestisci quattro ristoranti stellati, ognuno con una differente identità. Quanto c’è di Hélène Darroze in ognuno di essi e come si può adattare la stessa visione comune a contesti così diversi fra loro?

“Ogni piatto che ho creato fa parte di ciò che sono, non solo del mio lavoro e dei miei viaggi, ma anche della mia famiglia e dei miei team lavorativi, del mio passato, del mio presente e del mio futuro. Ogni piatto incarna la mia filosofia, ma anche quella dei fornitori artigianali che anno dopo anno ho imparato a conoscere, ammirare e rispettare. Partiamo dal ristorante d’albergo: qualsiasi esperienza culinaria presso Hélène Darroze at The Connaught inizia con un consommé di stagione per ripulirsi delicatamente la bocca, aprire il palato e prendere il largo per un viaggio gastronomico. Gli ospiti possono scegliere i piatti in base alla provenienza di ogni ingrediente chiave, come il granchio di Davrik, Cornovaglia, o l’agnello del Nord del Galles. I miei menù si rinnovano spesso, proprio per accogliere appieno i cambiamenti del clima britannico e le micro-stagioni”.

Aragosta Blu

La proposta di “Marsan” va in una direzione totalmente opposta.

“Marsan par Hélène Darroze onora le radici del mio percorso culinario e le influenze di casa sono un filo conduttore di tutto il menù. Sono basco-landese e il mio senso di appartenenza territoriale è fondamentale in tutto ciò che creo. Grazie a Marsan ho potuto plasmare un ristorante che condivide la mia stessa storia. E ancora… Da Hélène Darroze a Villa La Coste le verdure e la frutta della Provenza stanno al centro: dagli antipasti fino alle prelibatezze di fine pasto, guidano le danze dall’inizio alla fine. Il menu di Jòia presenta infine piatti più rilassati e ricchi di sapore che combinano ricette tradizionali della mia regione d’origine, ispirandosi anche ai miei viaggi in Europa e nel mondo intero. Continuo a dedicarmi ogni giorno all’approvvigionamento dei migliori ingredienti locali, solo così puoi restare sul pezzo e rinnovarti”.

 

Quattro facce di una stessa chef. “Adattarsi” è dunque la parola chiave per sopravvivere al mutamento della ristorazione e della società contemporanea?

“Non sono d’accordo con le teorie pessimiste che ho letto e sentito negli ultimi mesi. Io sono molto fiduciosa sul futuro dell’alta ristorazione. Anzi, c’è di più. Il mondo del cosiddetto fine dining ha la responsabilità di dare l’esempio all’intero settore della ristorazione per costruire tutti insieme un futuro migliore. Dobbiamo mostrare l’importanza del rispettare la natura e la sostenibilità è un concetto imprescindibile anche per il futuro dei nostri figli. Puntare su una cucina stagionale, adattarsi ai cambiamenti e collaborare coi produttori locali, almeno dal mio punto di vista, rappresentano la via da perseguire. Ma c’è un termine ancora più importante: il rispetto. Rispetto per il prodotto, rispetto per le stagioni, rispetto per il know-how, rispetto verso il nostro lavoro e verso i nostri ospiti”.