Io me li ricordo, i ristoranti di lusso, o quantomeno quelli alto borghesi, degli anni Ottanta. Quelli dove si andava per una cena d’occasione, per la laurea, il compleanno di zia, l’anniversario di matrimonio di mamma e papà. Quelli di quando uscire fuori a cena era un regalo, un’eccezione, mica la regola come oggi che siamo sempre fuori e se non siamo fuori ordiniamo un delivery.
Ecco, quei ristoranti lì, per quelli come me che negli anni Ottanta ci sono cresciuta, sono un ricordo bello, il ricordo di una serata speciale, vestiti bene e pronti come per fare la foto di famiglia, solo che invece si andava a mangiare un tagliolino ai funghi porcini e una bistecca col contorno di rucola e patatine fritte.
Ed è per questo che ieri, sedendomi nella nuovissima steakhouse milanese di Nusret Gökçe, in arte Salt Bae, ho avuto un tuffo al cuore e un moto di inaspettata nostalgia, perché è esattamente lì che mi sono trovata, catapultata negli anni Ottanta dell’alta ristorazione (ed è proprio il caso di chiamarla così, non certo fine dining) seduta lì col vestitino delle feste al tavolo con mamma e papà. E sfido io a dire che non ero felice, a quell’epoca lì, a mangiare quella bistecca senza un problema al mondo.
Com’è il nuovo ristorante di Salt Bae a Milano
Quindi, prima di cominciare, io Nusret lo devo ringraziare. E mica per avermi tagliato la carne al tavolo con la stessa serietà e compostezza con cui si maneggia qualcosa di molto prezioso, o di molto pericoloso. E nemmeno per i tagli di carne pregiati che mi ha servito, mentre ero invitata a quel tavolo per provare la sua proposta. Io Salt Bae lo devo ringraziare per quel ricordo, per quei dettagli che hanno innescato in me un incredibile effetto Madeleine, solo fatto di carnazza al sangue anziché di burro e vaniglia. La vera domanda è: nostalgia a parte, ci tornerei in quei ristoranti lì, ora che invece di seguire mamma e papà scelgo io dove e come finire i soldini della mia paghetta? Probabilmente io no, e forse manco mamma e papà, ma certamente c’è chi pagherebbe (letteralmente) per restare lì dove era decenni fa.
A Milano Nusret ha aperto la sua steakhouse in Casa Brera, al piano terra, volutamente senza rivedere l’arredamento del locale che, neanche a farlo apposta, è perfetto per la proposta, con quell’aria esattamente da ristorante di lusso di qualche tempo fa, tra tavolini nero lucido e divani in pelle marrone chiara imbottita da American Bar. Qui, da settembre 2025, trova spazio una proposta chiacchieratissima, come solo quella di un influencer dei nostri tempi può essere. Una proposta di enorme successo tra i vip e non solo (politici compresi), ma che, a livello internazionale, fa parlare di sé anche per conti che sembrano essere un po’ traballanti.
Per il momento, il ristorante milanese pare navigare a gonfie vele. Sarà la novità, sarà che la proposta è in target con un certo pubblico della capitale del business, il ristorante di Salt Bae al momento registra il tutto esaurito, e programma di aprire (presto) anche a pranzo e (prestissimo, nel 2026) anche a Roma.
I piatti e i prezzi della Nusr-Et Steakhouse Milan
La prima cosa per cui si chiacchiera del ristorante di Salt Bae sono sempre i prezzi. Tagli pregiati e pregiatissimi, foglie d’oro come se piovesse che ricoprono ogni cosa (eccoli, gli anni Ottanta in grande stile), dall’hamburger alla baklava, il tipico dolce turco miele e pistacchi (golosissimo). Il tutto, a prezzi non esattamente modici, in effetti. Poi, tutto dipende dalla prospettiva, perché in alcuni casi i prezzi sembrano semplicemente molto milanesi, ovvero adeguati a una certa proposta di una città a cui alcuni costi sembrano essere sfuggiti di mano con enorme facilità.
Per dire, se è pur vero che Amor, l’ottima riserva privata di Wagyu di Salt Bae (con una marinatura molto turca, fatta di spezie e affumicature piacevoli) costa quasi 500 euro al chilo (140 euro per la porzione da 300 grammi), è anche vero che un hamburger con formaggio e cipolla caramellata, accompagnato da patatine fritte, è in carta, per dire, a 30 euro, che insomma a Milano e non solo lì abbiamo visto anche di peggio. Poi, ovvio, se lo si vuole ricoperto d’oro la cifra per l’hamburger sale a 150 euro, ma vi meritate di spenderle tutte, e pure di più, se ordinate un hamburger ricoperto d’oro.
Il sushi di carne (che non è anni Ottanta solo perché negli anni Ottanta non mangiavamo ancora il sushi) costa 25 euro e i 60 euro spesi per la bresaola di Wagyu sono moltissimi, ma la bresaola di Wagyu (che è stata pensata appositamente per il menu milanese) è oggettivamente qualcosa di stratosferico.
Più ordinari nel gusto – pur rimanendo nell’ambito dell’eccellente materia prima, è innegabile – alcuni tagli di carne, su cui effettivamente il prezzo è più alto di ciò che uno si aspetterebbe: il tomahawk di Wagyu da 1 chilo e 100 grammi sta a 285 euro (urca!), e per il filetto di manzo siamo di nuovo a quasi 400 euro al chilo.
Ma qui, parliamoci chiaro, si viene anche sapendo di pagare per lo spettacolino di Salt Bae che taglia la carne e la serve scegliendola pezzo per pezzo e mettendola con le mani guantate in ogni piatto, come se assegnasse la benedizione a ciascun commensale, e non a caso a inizio cena spezza il pane con le sue mani e lo distribuisce al tavolo, novello Gesù che trasforma la carne in oro.
E poi di nuovo, non tutto è a prezzi folli, tutto sommato, considerato che siamo nel centro della Milano bene: l’asado di manzo per due persone, a 130 euro per un chilo e mezzo, sembra in linea con alcuni prezzi milanesi. O no? Un po’ meno giustificata “l’insalata speciale Nusr-et“, con misticanza, noci, formaggio tulum, pomodorini, uvetta, mele verdi e melograno, che costa 23 euro. Ma, voglio dire, al Mandarin Garden di Antonio Guida la Caesar Salad costa 29 euro eh.

Per risparmiare, si possono prendere le patatine fritte a 10 euro, ma non aspettatevi nulla di tagliato a mano o di gastrofighetto: qui siamo negli anni Ottanta dell’alta ristorazione, e le patatine sono quella roba lì, fritte e servite con la pinzona per sporzionarle. E stop, che il protagonista unico e assoluto, a questo tavolo, è la carne.
Ma quanto è anni Ottanta Salt Bae?

Ed è lì, sulla pinzona sporziona-patate fritte non artigianali, che ho capito che mi trovavo a quelle cene di quarant’anni fa accanto a mamma e papà. In quelle cene lì, nella ristorazione alto borghese dell’epoca, mica ci si faceva dell’onanismo mentale sulla materia prima, sulla provenienza, sull’orto da cui veniva presa la verdura e su quanto fosse stata marinata la patata prima di essere fritta dolcemente. No, si mangiavano le patate fritte e basta, perché quelle servivano esclusivamente da contorno alla carne, unico elemento importante della tavola. Un po’ come da Salt Bae. Dove la carne è selezionatissima, ed è la regina intorno a cui ruota tutto il resto di contorno. Verdure, condimenti, poco importano: la carne è protagonista assoluta, unica meritevole di una vera narrazione.
Ma in realtà, la sensazione di essere finita in un’altra epoca ce l’ho avuta da subito, ci ho solo impiegato un po’ a realizzarla. L’ho capito vedendo questo balletto di camerieri vestiti di tutto punto (molto professionali, arrivati dall’estero per formare lo staff milanese sul Salt Bae pensiero) che tagliano e imbastiscono scenograficamente la carne a tavola, con questo servizio-spettacolo a cui, per essere negli anni Ottanta, manca solo il carrello portavivande.
E poi il carpaccio con rucola e scaglie di Parmigiano, che non c’è nulla di più anni Ottanta di quello, anzi sì, forse solo l’insalata noci e melograno, che era quella che preparava la mia mamma nelle cene speciali a casa, quelle dove si invitava il dottor Taldeitali e si doveva fare bella figura fingendo che casa fosse un ristorante gourmet e noi bambini guai a dire una parola fuori posto o alzarci da tavola senza chiedere il permesso.

Nusret (che pure quando non c’è fisicamente è comunque presente nel suo locale, con la sua gigantografia mentre sala le lastre di granito davanti al Duomo di Milano) è il perfetto oste, ma non quello di oggi, quello di trenta/quarant’anni fa, quello di quei ristoranti di cui parlavo, quello che arriva al tavolo, chiede come va, suggerisce cosa ordinare e fa due complimenti alle signore, magari chiedendo se ci siamo già visti prima da qualche parte, perché lui è terribilmente sicuro di averci incontrato a Dubai o a Miami, e se fossimo negli anni Ottanta sarebbe scappata, al di qua del tavolo, pure una risatina all’idea di essere stata scambiata per una signora alla moda in vacanza a Dubai, quando invece eravamo solo lì a Milano, a una cena d’occasione.
Da Salt Bae, che vi piaccia o no, si paga per tutto questo, e non solo per la carne (che comunque, va ribadito, è oggettivamente di grandissima qualità). E d’altronde, voi che negli anni Ottanta (sì, ok, erano i Novanta, ma il senso è quello) andavate allo Smaila’s a Porto Cervo, mica ci andavate per la mixology d’avanguardia. O no?