Coronavirus e tracciamento: perché i ristoranti non fanno più le registrazioni?

Il tracciamento nei ristoranti è fondamentale per ostacolare i contagi da coronavirus, ma obblighi e raccomandazioni sono passati in sordina, in nome della privacy o, forse, di una cena come ai vecchi tempi.

Coronavirus e tracciamento: perché i ristoranti non fanno più le registrazioni?

Prepariamo il lievito? Qua il Coronavirus incalza, i casi aumentano ogni giorno, ieri record assoluto di nuovi positivi (è vero, si fanno molti più tamponi rispetto a marzo, bisogna guardare il tasso, si dice, ma fino a un certo punto). Ma i ristoranti non chiuderanno. “Non ci saranno nuovi lockdown”, continuano a ripetere politici e medici, con tanta insistenza che fanno venire il sospetto del contrario, tipo quando il partner ti prende da parte e ti fa: “Senti, io non voglio lasciarti”.

Intanto riprende la girandola dei Dpcm, riprende la roulette russa delle cose vietate a caso.

Sembra di riguardare un film già visto, un brutto sequel, L’Ondata 2, stavolta senza neanche la giustificazione dell’effetto sorpresa. Perché okay, la pandemia è una cosa che nessuno di noi aveva mai visto (ma nessuno, non solo i politici), quindi tutto il beneficio dell’inventario a chi ha l’onere di prendere decisioni: ma possibile che dopo 8 mesi tutto quello che sapete fare è accusare i cittadini, padroni di cani o runner o giovani della movida? In particolare, mi pare che siamo in po’ indietro con alcune delle 3 T: sul treating, le cure, si sono fatti passi avanti, ma quello è l’ultimo baluardo. Sul testing, l’impressione è che dipende molto da dove sei, e da quanti soldi hai, come sempre: in certe regioni i tamponi sono rapidi e gratuiti e te li fanno anche se sei asintomatico, basta che sei entrato in contatto con un positivo; altrove è diverso, e bene che ti vada fai 7 ore di fila in macchina, ammesso che tu ce l’abbia, altrimenti ti tocca trovare un amico con vocazione al martirio.

Ma è soprattutto sul tracing che sembriamo in affanno. Vero, è la cosa più difficile, ma sarebbe anche la più importante. Il coronavirus a quanto pare si propaga tramite super diffusori (cioè molti positivi non contagiano nessuno, pochi positivi contagiano molte persone) per cui in presenza di un nuovo contagiato sarebbe più utile capire da chi lo ha preso, piuttosto che verificare a chi lo ha passato; detto questo, almeno rintracciare i contatti dei nuovi positivi bisognerebbe farlo in qualche modo, posto che l’app Immuni l’hanno scaricata in troppo pochi perché sia efficace. E qui veniamo a noi.

Da quando i ristoranti hanno ripreso le attività, alcuni hanno temporaneamente chiuso per positività di un membro dello staff, o di un cliente. Può capitare, è capitato all’osteria sotto casa e al ristorante stellato: può capitare, non è colpa di nessuno, ‘sto virus gira in maniera infame, ormai lo sappiamo. Dati aggregati non ce ne sono, ma basta googlare per vedere come ogni tanto capiti, e ultimamente più spesso. Sarebbe utile quindi capire chi è entrato in contatto con il positivo nei giorni precedenti, dato che nei ristoranti per forza di cose si deve stare senza mascherina, e ci sarebbe anche lo strumento. Anzi, c’è: la famosa registrazione.

Quel foglio da compilare con i nomi di tutti i commensali, e i dati e i contatti di uno, per ogni tavolo: una palla micidiale, diciamocelo. 

Ora, non so voi, ma io l’ultima volta che mi hanno messo davanti questo foglio, c’erano 30 gradi e stavo davanti al mare del Cilento. Da settembre, rientrato a Torino, non l’ho più visto. Anche qui, non ci sono dati, ovviamente, ma ho fatto un rapido sondaggio nella redazione diffusa di Dissapore: parliamo di gente che per lavoro e/o piacere mangia fuori 3 volte alla settimana, minimo. Ne è venuto fuori che i locali che fanno ancora la registrazione sono un 20% a stare larghi. E tra l’altro con molta differenza da regione a regione: quasi nessuno in Lombardia, Piemonte, Veneto; in maggior parte in Toscana e Liguria, uno su quattro a Roma; pressoché tutti a Napoli e Campania. Con un curioso doppio rovesciamento: minore rispetto della regola nelle regioni più colpite dalla prima ondata, e ristoratori più ligi al dovere man mano che si scende verso sud. (È per il clima di terrore instaurato dal presidente De Luca, suggerisce la collega di giù, con norme più stringenti rispetto a quelle nazionali e multe salatissime; ma permettetemi un pensiero campanilista: perché quando rispettano la legge in Norvegia è perché hanno una coscienza civica e sono superiori, mentre quando la rispettano a Napoli è perché si cacano sotto del mammasantissima di turno?) 

A dimostrare che non diciamo fandonie e che la nostra non è solo una percezione pensa Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, liberale di Forza Italia nonché da sempre sostenitore delle imprese, che proprio in queste ore sta preparando una nuova ordinanza per “ricordare ai locali della ristorazione, oltre alla necessità delle misure di distanziamento, anche l’obbligo di tenere il registro delle presenze dei clienti“.

Insomma, a sentimento l’impressione è di un generale relax su questo obbligo, che sarebbe molto più sensato di tante altre norme tipo, boh, non bere birra dopo le 23. Relax che se a luglio era comprensibile, ora molto meno. Va bene, quando il ristorante individua il positivo, lo isola, chiude, sanifica. Ma il tutto accade quando il virus è già scappato dalla stalla. A che cazzo serve?

Perché i ristoratori stanno di fatto impedendo il tracciamento?

Quando nella tarda primavera il settore della ristorazione – il più colpito dal lockdown dopo quello turistico – si apprestava a riaprire i battenti, tra addetti ai lavori del food girava questo mantra: aiutiamo i ristoratori, abbassiamo le armi della critica, parliamo solo bene e di cose belle. A parte che non è il modo di ragionare, almeno da queste parti: con tutta la cortesia e l’amore che abbiamo sempre verso chi sta dall’altra parte del bancone o in cucina, e che in questo momento è ancora più forte, il primo pensiero del giornalista è per i suoi lettori, che poi sono i vostri clienti, cari ristoratori (quindi pure voi dovreste pensare prima a loro che a noi, e alle stellette e ai premietti che distribuiamo). Non faremmo un buon servizio né a loro né a voi se dicessimo che so’ tutti bravi e dappertutto si magna ‘na favola. 

Ma poi, soprattutto: qui non si tratta manco più di critica gastronomica, si tratta di qualcosa di leggermente più grosso e importante. Okay, siamo nella stessa barca: se crolla il settore finiamo tutti col culo per terra, voi operatori e noi scribi. Ma se crolla l’Italia, non ci sarà più nessun settore. Non sto accollando tutta la responsabilità a una sola categoria (sarebbe paradossale, ho appena scritto il contrario) e sono sempre convinto che la maggior parte delle leve ce le abbia in mano la politica, non i singoli. Ma come ci hanno ripetuto, ognuno faccia la sua parte. (Per esempio, lato cliente: quando andiamo a mangiare per favore lasciamo i numeri veri, ok? Tanto la privacy l’abbiamo già devoluta a Mark Elliot Zuckerberg.) Vi aiutiamo, ma come si dice: aiutateci ad aiutarvi.