Com’è la prima vertical farm stellata, dentro Da Vittorio a Brusaporto

Planet Farms inaugura la prima vertical farm dedicata a una cucina stellata: siamo stati da Da Vittorio a Brusaporto per vedere com'è e come funziona.

Com’è la prima vertical farm stellata, dentro Da Vittorio a Brusaporto

Il Chilometro zero non ci impressiona più, ora che a Brusaporto il ristorante Da Vittorio offre il metro zero, grazie alla sinergia con la vertical farm di Planet Farms ovvero una realtà innovativa che sta letteralmente plasmando il futuro dell’agricoltura (per noi consumatori, e per l’alta ristorazione). Ma facciamo un po’ di passi indietro, ché non è facile racchiudere mille concetti in una sola frase a effetto.

I protagonisti di questa storia sono i fratelli Cerea, del ristorante Da Vittorio – 3 Stelle Michelin in provincia di Bergamo – e Planet Farms – una startup giovane e innovativa con sede a Cavenago (MB) che ha portato ad un livello spaziale il vertical farming. In poche parole: Planet Farms, che è già presente nella GDO lombarda con alcuni prodotti di punta, ha installato da Da Vittorio (proprio li, all’ingresso del ristorante) una la prima vertical farm interamente a disposizione di un tristellato Michelin.

Galeotto fu il basilico. Piena pandemia, primo lockdown e Planet Farms – Luca Travaglini e Daniele Benatoff, entrambi CEO e founder – dediti ad un evento benefico nel caos totale. Arrivano i Cerea, in borghese da quel che ho capito, assaggiano il loro basilico, si innamorano del sapore, e restano impietriti una volta scoperto che era prodotto in vertical farming a Cavenago. Il giorno dopo erano in azienda a parlare di “farm to table”, e il resto ora ve lo racconto.

90% di suolo e 95% di acqua in meno

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Si parte dal concetto di vertical farming, tecnica già nota e creata per sopperire all’agricoltura classica sempre più schiacciata da clima, costi, materie, spazi, inquinamento, siccità. Quella di Planet Farms ne è un versione upgrade, unica al mondo per dare una risposta concreta al bisogno di prodotti agricoli sani, di alta qualità e dal sapore sopraffino, a bassissimo impatto ambientale e alla portata di tutti.

A basso impatto ambientale, quanto? Gli ortaggi coltivati da Planet Farms e ora, quindi, anche a Brusaporto nel parco della Cantalupa con i fratelli Cerea, necessitano del 95% di acqua in meno rispetto alla classica agricoltura, riciclano ogni goccia compresa quella della fotosintesi, risparmiando anche il 90% di suolo. La sede centrale a Cavenago, poi, è supportata da pannelli solari che forniscono elettricità e lo scopo è abbracciare, in pochi anni, un’energia alternativa su tutta la filiera. Termini come “ecologia” “impatto zero” e “sostenibilità” non hanno valore se il cambiamento è fatto a monte e non anche a valle – spiegano Travaglini e Benatoff: non è possibile procedere con un messaggio a metà, che pensa a come consumare meno per la produzione e non per tutto ciò che c’è dopo tra emissioni, scarti, distribuzione e consumatore finale.

Perché affiancarsi all’alta ristorazione

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Come veicolare l’eccellenza di un cibo, se non tramite gli esperti di settore che possono arrivare in modo diretto ai clienti? Il Gruppo Cerea è, per Planet Farms, un alleato perfetto: sposa il progetto di “metro zero” e può esaltare sapori che – a causa di un’agricoltura di massa e di bassa qualità – abbiamo scordato se non mai assaggiato (“acquoso, non sa di niente“: quante volte avete pronunciato questa frase, dopo aver cucinato la verdura?). Se, quindi, due tecnici non saprebbero come descriverci quale sia il VERO sapore del basilico o dell’aneto, gli chef possono farlo eccome, facendoci capire anche il perché e il come si è arrivati a tale risultato.

Inoltre, missione umanitaria a parte, per il ristorante in sé è un vantaggio: la curiosità dei Cerea ha preso il volo perché sanno di poter modulare l’aroma degli ortaggi a loro piacimento. La vertical farm di Planet Farms è unica anche per questo: crea ricette, modula luce e umidità per ottenere un aroma più o meno pungente, foglie più o meno grandi, sfumature più o meno omogenee. In pratica, controllando gli elementi naturali è in grado di estrarre al massimo ogni potenzialità insita naturalmente nell’ortaggio. E chef del calibro dei Cerea ne comprendono il vantaggio, comprendono che impatto possa avere tale controllo sulla creazione del menu.

La differenza rispetto ai ristoranti con l’orto

Sempre più ristoranti, nell’alta ristorazione, e un po’ in tutto il mondo, organizzano la cucina sulla base di cosa il proprio orto (situato molto spesso a ridosso del locale) produce. Un orto, oppure esempi contenuti e semplici di vertical farming con lo scopo di ottimizzare lo spazio. Le differenze rispetto al progetto Cerea-Planet Farms sono due e abissali: la prima è che Planet Farms non ha come scopo la conquista degli stellati, ma di tutti noi gente comune che fa la spesa, usando un nobile stellato anche come tramite per far passare il messaggio – e, la stessa visione, è condivisa dai Cerea a quanto pare; la seconda differenza è che la tecnologia di Planet Farms messa a disposizione da Da Vittorio è antesignana, creata su misura, inesistente altrove.

La tecnologia di questo vertical farming: zero incognite

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Planet Farms sta costruendo un mondo ideale e sostenibile intorno alle colture, aumentando l’asticella già toccata dal vertical farming esistente. Sono Davide e Chiara i “genitori” (agronomi, tecnici, o maghi) che accudiscono e indirizzano ogni seme verso la crescita potenzialmente migliore (migliore per la pianta, e migliore per le esigenze dei Cerea nel caso della vertical farm in larice a loro disposizione). Hanno spiegato tutto:

  • Il sofisticato sistema di monitoraggio della crescita degli ortaggi, “Gaia VF”, genera un costante flusso di dati (che sono stati definiti dai due giovani founder il VERO brevetto e patrimonio della startup) che, una volta analizzato, permette di creare intorno alle colture un ambiente sempre più ideale, migliorando e ottimizzando la produzione ad ogni ciclo;
  • Si garantisce un risultato sempre costante: tecnologie avanzatissime e software studiati ad hoc consentono di “progettare” ogni singolo ortaggio in modo tale da garantire sempre lo stesso risultato qualitativamente eccellente per ogni semina. Insomma, si ha una resa massima sempre;
  • Le piante ricevono l’ideale intensità e tonalità di luce grazie a speciali lampade LED ad alta efficienza e risparmio energetico;
  • Temperatura e umidità sono ottimali grazie a un sofisticato sistema di climatizzazione;
  • Grazie al filtraggio dell’aria che blocca l’ingresso di parassiti, di microrganismi e particolato (tecnologia delle camere bianche), nessun pesticida, erbicida o altro agro-farmaco è necessario;
  • L’acqua di irrigazione e i sali minerali sono riciclati, riducendone il consumo ed evitandone la dispersione nell’ambiente;
  • La coltivazione su più piani, 365 giorni l’anno e in prossimità dei luoghi di distribuzione, riduce il consumo di suolo e l’impatto dei trasporti;
  • Una sapiente orchestrazione di tutti i parametri di crescita permette di valorizzare gusto e apporto nutritivo come mai prima d’ora. E mi hanno fatto un esempio, di quando la rucola coltivata e data ai Cerea fosse a loro gusto troppo pungente e per la volta successiva – modulando luce e/o temperatura – ne hanno fatta nascere una con il giusto punto di sapidità.

Alta qualità ok, ma il sapore?

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Ho parlato di qualità e alla portata di tutti, ma cosa significa esattamente? E le verdure sono davvero più buone? Innanzitutto, Planet Farms parte solamente da semi pure e certificati: va contromarcia rispetto all’agricoltura standard – la quale seleziona il “super seme”, che abbia maggiore coltivabilità e resa – tornando al seme antico per portare alla luce e sulla tavola l’ortaggio nella sua versione migliore. Quanto al sapore, meno acqua nella produzione equivale (anche) a più nutrienti e sapori concentrati: l’intensità di una loro foglia di basilico è 10 volte maggiore di quella del basilico che acquistiamo – ne ho assaggiate due varianti così a crudo, e hanno soppiantato quello che credevo fosse il sapore del basilico.

Alla portata di tutti e “comodo” significa anche che i prodotti coltivati in questo modo non sono da lavare: “farm to table” è proprio questo ovvero l’arrivo dell’ortaggio già bell’e pronto da consumare, senza dover sprecare acqua per lavarlo e senza che l’acqua lo faccia appassire o ne affievolisca l’aromaticità; gli ortaggi a foglia coltivati in vertical farm e idroponica hanno anche una shelf life più lunga. Certo, hanno anche un costo più alto.

Parliamo di costi del prodotto finale

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Non è soggetto di facile argomentazione, perché c’è sempre un confine delicato tra il poter parlare di tecnologia e prezzo alto con leggerezza e, nel pratico, l’avere come consumatore finale una famiglia di 4-5 persone. Al netto di qualità eccellente, sapore eccellente e concentratissimo, nutrienti eccellenti, intenti eccellenti, al momento una confezione Planet Farms da 80 g costa quasi 3€… quando nella GDO esistono confezioni ben più grandi a 99Cent.

Come superare questo gap, quando magari c’è l’interesse a “fare scelte migliori” ma di fatto non ci sono le possibilità economiche? Il succo del discorso non è convincere tutti a consumare i prodotti Planet Farms – sostengono Benatoff e Travaglini –  ma convincere tutti a scegliere solo dopo aver compreso cosa c’è dietro alla produzione e dopo la produzione degli ortaggi che mettiamo in tavola ogni giorno. In Italia – sostiene Travaglini – “non abbiamo il diritto di conoscere a fondo ciò che consumiamo“, e questo è a causa della scarsa trasparenza di molte aziende, sommata alla legislazione capillare per l’etichettatura e la classificazione dei prodotti. E su ciò, al momento, si può fare ben poco. Si punta tuttavia su un aumento consistente della produzione così da abbassare i costi, e si può mettere in atto una trasparenza totale da parte del produttore così che il consumatore abbia tutti gli elementi per ragionare, e valutare sia cosa c’è dietro alla busta da quasi 3€ sia cosa c’è “davanti” come impatto futuro.

Se oggi consumate due buste di rucola Planet Farms, stasera potrete riempire una vasca di acqua per farvi un bagno senza spendere nulla“, conferma Benatoff.

Vertical farm VS agricoltura: 1 ettaro VS 300

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La domanda sorge spontanea: è davvero possibile conciliare questa tecnologia alimentare così automatizzata e innovativa con l’agricoltura classica – proprio qui in Italia, tra l’altro, dove il concetto di “lavorare a mano la terra” è così pregnante e identificativo? La risposta è: si può, perché si deve.

In 1 ettaro di Planet Farms si produce quanto in 300 ettari di terreno agricolo tradizionale, e – in più – con il pieno controllo e consapevolezza su quale potrà essere il risultato raccolto. Lo scopo tuttavia non è “vincere” un duello bensì supportare le parti per bilanciare l’ecosistema: gli ettari di terreno che si salvano dall’agricoltura potranno essere riconvertiti in boschi, ad esempio. Si vuole ridare spazio all’ecosistema, cercando le risposte nella natura stessa e non altrove.

Ed è proprio questo il punto: Madre Natura. Con software e robot che monitorino la situazione di notte in stanze sterili è difficile percepirla, Madre Natura… eppure lei è presente qui più di quanto possa esserlo nel terreno coltivato in campagna. Il motivo è semplice: tutto ruota su luce, acqua e calore, ma senza alcun tipo di imprevisto, né biologico (parassiti, muffe), né tempistico (la stagionalità), né meteorologico (grandini, gelate, acquazzoni, siccità). Insomma, è la “Natura perfetta, senza stress ” laddove per stress si intende appunto tutta la gamma di incognita.

Come arrivare alle famiglie, senza passare dallo stellato?

Il ristorante stellato è un buon faro, ma serve ben altro ovvero un veicolo più semplice: le scuole. Planet Farms già è attivo con un programma educativo per elementari e medie (con il supporto di Esselunga): veri e propri corsi sia tecnici sia pratici, dove bimbi e ragazzini imparano a vedere tutto, dal seme alla pianticella coltivata da loro stessi nelle piccole vertical farms costruite e gestite in aula.