La Marinella di Genova ha riaperto: ci siamo stati e siamo andati via. Non recensione di una delusione.

Ha riaperto La Marinella a Genova Nervi e noi ci siamo stati, uscendone davvero delusi. L’ambiente, il menu, i prezzi, le nostre opinioni.

La Marinella di Genova ha riaperto: ci siamo stati e siamo andati via. Non recensione di una delusione.

E infine, zitta, zitta, si schiuse. Non stiamo parlando di un’ostrica, ma della Marinella di Genova Nervi, storico kursaal razionalista a picco sulla scogliera dove, negli anni d’oro, si ballava, si mangiava e si sognava mentre, per dirlo con Dacia Maraini, “sembrava di stare in fondo al mare”. A oltre un decennio dalla chiusura, dopo un succedersi febbrile di lavori, interruzioni, mareggiate distruttive, rallentamenti burocratici e riaperture annunciate e disattese, il locale ha infine spalancato i battenti, a sorpresa, proprio all’alba del nuovo anno: per ora solo in veste di ristorante e bar-caffetteria, nel futuro (pare) prossimo anche di albergo e spa.

Le reazioni dei genovesi alla riapertura de La Marinella

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Ovviamente, le reazioni dei genovesi non si sono fatte attendere e i primi vagiti de La Marinella 1934 (questo il nuovo nome) sembrano accompagnati più da polemiche e malumori che da un’accoglienza festante.

Se, da un lato, c’è chi saluta con favore la sottrazione alla marcilenza di questo stupendo edificio – uno dei pochi davvero a picco sul mare (ché a Genova, città di mare, i locali sull’acqua sono meno di quanti si vorrebbe), dall’altro piovono critiche da più fronti: scontenti gli esteti, per un nuovo aspetto e un arredamento assai poco filologico; perplessi gli ambientalisti, per l’imponente barriera sottomarina che verrà edificata sul fondale a protezione dell’edificio.

Adombrati i gaudenti, per il servizio assai carente, e pure i viziosi, per l’interdizione al fumo anche all’aperto (soddisfatti, invece, i salutisti-censori delle altrui debolezze). Sul piede di guerra, infine, i molti cinofili, appreso il divieto di ingresso ai quattro zampe.

Lo scontento si propaga ovviamente anche alla rete dove, a pochi giorni dall’apertura, si succedono recensioni in larga parte negative.

Consapevoli, tuttavia, della predisposizione genetica al mugugno (ovvero alla lamentela fine a se stessa) della popolazione locale, ci dirigiamo alla volta di Nervi per tastare il polso con le nostre dita e sollazzarci con un caffè vista mare.

Ritrovare l’edificio tirato a lucido, dopo un decennio di brutale abbandono, non può che far piacere, sebbene alcune novità – come l’intonaco color crema in vece dell’originario bianco e gli infissi neri a vetri rifrangenti –  non abbiano incontrato il colto placet degli storici dell’architettura. Ma a noi – né storici, né architetti – la nuova Marinella, nel complesso, non dispiace.

Gli esterni, infatti, dopo la ristrutturazione eseguita sotto vincolo di Soprintendenza, richiamano in parte le linee pulite del progetto del ’34 (pesantemente rimaneggiato nei decenni a seguire) dal quale mutuano anche (l’idea di) finestre a nastro e oblò in legno per evocare, oggi come allora, le sembianze di una nave (sebbene di navi beigioline, va detto, non se ne vedano molte).

La Marinella: ambiente, servizio e prezzi dopo il restyling

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Anche la struttura interna della grande sala da ballo soppalcata (oggi adibita a ristorante) ricalca il disegno originario , sebbene lo stile degli arredi e delle finiture, più che dal fascino di inizio secolo, sembri ispirarsi al pragmatismo della tavola calda dei giorni nostri, con sedie in plastica, tavoli in polipropilene (crediamo – mia madre, per semplificare, direbbe anch’esse in plastica) e tovagliette usa-e-getta a decoro marino. E, su questo fronte, tocca effettivamente aderire al partito degli esteti scontenti.

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Ordinato un caffè sulla stupenda terrazza (o, meglio, sulla terrazza con stupenda vista, in parte frustrata dalla rete di plastica arancione che cinge provvisoriamente la ringhiera), nell’ora di attesa che segue a causa di un servizio completamente tilt (e toilette “guasta”, recita l’avviso sulla porta), consultiamo, per dovere di cronaca, il menu del ristorante: e qui, più della carta ciancicata, più delle correzioni a penna, e più ancora del “cappone magro” (sic), ci sorprendono, e non poco, i dieci euro del coperto: i medesimi, per dire, richiesti da Cracco, sia Milano che a Portofino, con un tovagliato e un servizio un tantino differente.

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Dopo un’ora e mezza, quando l’oramai flebile speranza dell’ambita cuccumella – che mai giungerà – si spegne del tutto (sorte condivisa con gli altri avventori della terrazza), il sole inizia il suo lento inabissarsi e il termometro ci richiama all’inverno.
Ripariamo così nella sala interna proprio quando gli ultimi raggi, rimbalzando sull’acqua e filtrando dalle enormi vetrate, la tingono di una commovente luce ramata.
Rapiti da tanta meraviglia, mentre indulgiamo al pensiero che a Marinella, che ci concede questo spettacolo, si possa in fondo perdonare molto, un bagliore artificiale e prepotente, emesso da un enorme led viola nella volta del soffitto, ci ripiomba nella realtà.

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Nemmeno la luce magica, prezioso appannaggio delle città col mare a sud – e che tutto si dovrebbe desiderare, tranne soffocare – le hanno lasciato, a questa povera ex nave bianca adagiata sulla scogliera.

Chiudiamo così alle nostre spalle la porta di Marinella con il suo cartello anti-cane.

Sarà la malinconia dell’imbrunire o l’energia tragica del mare in tempesta; sarà la sete non saziata o, semplicemente, la delusione, dopo tanta attesa, nel ritrovare in Marinella l’ennesimo esempio della frustrante alternanza, tanto in voga da queste parti, tra l’incuria di luoghi magnifici e la loro mortificanteriqualificazione”, ci allontaniamo serbando in bocca un amaro assai peggiore di quello del caffè mai arrivato.