Lecco: la pizzeria della mafia che perde il nome ma non il vizio

Il caso della pizzeria di Lecco che, chiusa da un'interdittiva antimafia, riapre cambiando nome e riceve finanche solidarietà.

Lecco: la pizzeria della mafia che perde il nome ma non il vizio

La mafia esiste: anche e soprattutto al Nord, anche e soprattutto nel food. L’ennesima prova viene da Lecco, dove il prefetto ha emanato un’interdittiva antimafia nei confronti di una pizzeria che nel giro di pochi mesi ha cambiato nome e proprietà formale, ma di fatto è rimasta nella disponibilità di due o tre famiglie note per l’appartenenza a clan della ‘Ndrangheta. Ne parla in un’accurata ricostruzione su FanPage Giulio Cavalli, scrittore e autore/attore teatrale da anni sotto scorta proprio per le minacce ricevute a seguito di uno spettacolo sulla mafia.

La pizzeria in questione si chiama Le Chic e sta a Galbiate (Lecco), ma fino a qualche mese fa il suo nome era Beatles, ed era della Luce Srls. Scrive Giulio Cavalli: “(società) intestata alle sorelle Celeste e Lucia Alcaro (27 e 36 anni), figlie di Valentina Trovato e Luigi Alcaro. I cognomi Coco e Trovato da queste parti sono un rombo: Valentina Trovato è la sorella minore del 74enne Franco Coco, il boss della cosca lecchese di ‘ndrangheta rinchiuso al 41 bis con un ergastolo sulla testa dopo essere stato catturato nel 1992 nell’ambito dell’inchiesta Wall Street. Il terzo fratello, il 71enne Mario, è stato arrestato nel 2014 nell’ambito dell’inchiesta Metastasi. Il padre delle due “ristoratrici”, Luigi Alcaro, classe 1953, è stato condannato in via definitiva a 10 anni e 6 mesi per traffico di droga dopo essere stato arrestato nel 2003 in occasione dell’indagine Oversize”.

Pizzeria Le Chic Galbiate

 

Dopo una interdittiva che aveva portato all’allora prefetto delle minacce, nell’aprile 2021 la pizzeria cambia gestione, ma i nomi coinvolti sono sempre gli stessi, tanto che per il nuovo Prefetto di Lecco Castrese De Rosa si tratta di “cosmesi societaria finalizzata di fatto ad eludere fraudolentemente il provvedimento inibitorio legittimamente emesso nei confronti della predetta società”. Nuova interdittiva perciò, e dopo qualche mese nuova trasformazione: ora anche il nome è diverso, Le Chic, ma all’interno lavorano le stesse persone, e dietro ci sono le stesse famiglie. Cosa ancor più sorprendente, il ristorante in questione ha ricevuto negli scorsi giorni parole di solidarietà, nonché minacce nei confronti della Prefettura. “Sembra che molti rifiutino o abbiano paura di ammettere che nella nostra provincia sussistono infiltrazioni mafiose di stampo ndranghetista”, commenta il prefetto, che ha emanato l’ennesimo provvedimento interdittivo. E “Benvenuti in Lombardia”, chiosa Cavalli.

Sono ormai alle spalle gli anni in cui si diceva che la mafia fosse un fenomeno confinato al sud Italia: oggi dobbiamo fare i conti con infiltrazioni pervasive in tutti i luoghi e a tutti i livelli. La ristorazione per una serie di motivi è un canale privilegiato per riciclare e ripulire capitali: la fluidità e la frammentazione del settore, la facilità di operare in maniera poco trasparente, la scarsa attenzione mediatica. Già, perché il paradosso è questo: la criminalità organizzata gestisce bar ristoranti e pizzerie, ma non si dice, non si sa, si fa finta di niente. È anche per tale motivo che Dissapore ha iniziato una serie di interviste sulla mafia nella ristorazione, per portare al pubblico un fenomeno di cui è importante conoscere anche i dettagli.