Lockdown-non-lockdown: un paradosso invivibile, specialmente in Campania

Quello che siamo vivendo non è un lockdown e anzi, siamo invitati a spendere e mangiare al ristorante. Tranne che in Campania, dove l'economia non è una priorità. Come in Fase 1.

Lockdown-non-lockdown: un paradosso invivibile, specialmente in Campania

Questo non è un lockdown. O meglio, non può esserlo. In ottemperanza alla linea di Governo, citando il nostro premier, dobbiamo salvaguardare salute ed economia. Se non era facile nemmeno durante la prima ondata, quando dovevamo salvare solo la pellaccia, figuriamoci ora, che siamo invitati (in maniera più o meno esplicita) a far girare l’economia con la mascherina all’aperto, andando al ristorante ma tornando nella zucca di Cenerentola. Ovunque, tranne che in Campania, dove il paradosso di questo lockdown non lockdwon si fa estremo.

In caso vi foste persi le ultime puntate della telenovela campana, il presidente dell’ordinanza compulsiva Vincenzo De Luca giusto ieri ha imposto un nuovo scenario già visto: il divieto di spostarsi tra province per motivi non considerati di necessità, con tante benedizioni alla nostra annaspante economia.

Dunque, se in Italia parte dal 1° dicembre il “cashback di stato”, che vuole prendere a randellate l’evasione fiscale a suon di transazioni tracciate e farci spendere e spandere (non sui siti internet, sia chiaro, ma nei negozi fisici) con tanto di premio finale in palio per i cittadini più propositivi, in Campania stiamo alla fase 1. Quella della pellaccia.

Se in Italia si è indetto un bonus per qualunque cosa – edilizia, arredamento, ristoranti che fanno rifornimento presso i consorzi italiani – e le Regioni recepiscono la linea madre con restrizioni cum grano salis per salvare capra e cavoli, la Campania, o meglio, il di-nuovo-eletto-secondo-plebiscito Vincenzo De Luca si pone come “modello” di una situazione che già vediamo assumere dei risvolti inquietanti per i ristoranti e grotteschi per la burocrazia.

Andiamo per passi e ricostruiamo l’impasse campano.

Nella tarda serata di ieri è stata emanata una nuova ordinanza, caldeggiata già dal pomeriggio, da parte della Regione Campania; l’ennesima, a dirla tutta. Restrizioni varie ed obbligatorie, si può essere d’accordo o meno, ma il punto particolare che ci distingue ad oggi dal resto d’Italia è la restrizione della mobilità tra province, che diventa un fatto piuttosto grottesco applicato alla ristorazione.

L’ordinanza è la numero 82, datata 20 ottobre 2020 ; Il punto che ci interessa in particolare, ad oggi, è il punto 3 che si presenta così, con decorrenza dal 23 ottobre 2020:

Ora, a meno che non ci siano forzature di genere, ci pare di capire che non sono consentiti spostamenti per andare a cena in questo o quel posto che malauguratamente ricade fuori dalla tua provincia di residenza: dovremmo forse interpretare questo “urgente necessità” in un modo a noi confacente? Okay, il periodo magari non è molto indicato per gli spostamenti – però noi di Dissapore siamo “quelli là” che in sicurezza ci si spostano, eccome, e documentano anche quando il ristorante fa le cosiddette “grezze”, tipo quella delle mascherine messe male – e fin quando ci sarà concesso, lo faremo.

Sicuramente, tra i motivi del divieto di spostamento tra le varie province, c’è una decisa impossibilità del tracciamento dei contagi nonostante il download della app Immuni sia discretamente aumentato anche qui.

Così come la stragrande maggioranza delle regioni d’Italia, è ricchissima di avamposti gastronomici di valore: che siano pizzerie, agriturismi, ristoranti, ci si sposta molto volentieri da una provincia all’altra per scoprire o riassaporare dei piatti, o anche solo passare una serata. Posti che sono mete di pellegrinaggio gastronomico, come ad esempio le pizzerie, spesso vanno sold out con settimane d’anticipo (e con la questione del distanziamento e della riduzione dei coperti, questa situazione si verifica sempre più spesso).

Scenari campani

Quindi, che scenario si ipotizza? Oltre ad un crollo delle prenotazioni, annullamenti delle stesse ed altri disagi connessi dovuti all’impossibilità di moltissime persone di raggiungere il luogo desiderato, posto spesso in altra provincia, si verificherà in alcuni casi una situazione al limite del grottesco. Non potrò andare alla mia pizzeria di riferimento qui in provincia perché ubicata “dopo il confine”, cioè a netti 7.5 chilometri dalla mia abitazione ma giuridicamente in provincia di Napoli. E così si troveranno tanti luoghi situati in luoghi strategici, a cavallo tra le province: nessuno si è messo a segnare i confini con meridiani e paralleli, difficile dire dove finisce qualcosa e dove ne inizia un’altra.

Invece, potrei fare (almeno in teoria, almeno salvo altre disposizioni) ben 170 chilometri senza dovermi fornire di autocertificazione, andare a Sapri e mangiare il gelato di Enzo Crivella, ovviamente entro le 18, o ancora entro le 21 facendo un “asporto” di gelato dall’auto, modalità McDrive.

Direte voi che come scenario non è poi così tremendo, che un’ordinanza – così come una legge – in tempi di pandemia non può occuparsi di singoli casi e preoccuparsi di piccoli paradossi come quello della pizzeria a 7 chilometri in provincia di Napoli, ma comprenderete che la decisione di De Luca è presa in una prospettiva chiara: mettere le attività economiche e la “nuova normalità”, quella dettata a livello nazionale, all’ultimo posto.

La Campania è fragile, e così lo sarà sempre di più

E’ abbastanza stancante vedere additata la Campania come una regione “abitativamente e morfologicamente difficile” a causa della densità di popolazione e non a causa della mala gestio: se nella zona di Portici la densità è tra le più alte d’Europa, lo stesso non si può dire dei paesi interni, che soffriranno un ulteriore blackout psicologico ed economico, essendo praticamente tagliati fuori dalle rotte se non da quelle dei suoi stessi abitanti.

Ve ne potremmo citare altri dieci o cento di casi così. Siamo molto confusi, ma l’impressione, nettissima, è una: la Campania è ancora una volta in controtendenza rispetto alle disposizioni nazionali (ricordate? Il divieto di asporto e delivery); ci state chiudendo i locali, ma senza chiudere i locali.

Se altrove i ristoranti resistono o almeno ci provano, puntando al pareggio come in tempi migliori si mirava a guadagnare, qui molte attività nate per il consumo “in piedi” (potremmo citarvi cornetterie, pasticcerie di solo asporto, rosticcerie da sempre organizzate per lo street food) chiudono da sole la serranda per impossibilità a farcela.

E questo lockdown-non-lockdown che si respira ovunque in Italia, per cui il cittadino è combattuto tra la paura e la voglia di vivere “normalmente”, restrizioni che fanno passare tutte le buone intenzioni di uscire a cena e caldi inviti a supportare le attività messe in sicurezza, qui in Campania diventa schizofrenico, con la politica che si solleva da qualunque responsabilità su chiusure fatte per “scelta” e la beffa di decisioni che disincentivano il consumo.