Napoli: pizzerie, trattorie e locali da provare secondo il New York Times

Locali alla moda, trattorie storiche, pasticcerie e pizzerie: i posti da provare a Napoli secondo il New York Times, tra grandi classici e nomi non scontati.

Napoli: pizzerie, trattorie e locali da provare secondo il New York Times

Trattorie storiche, pizzerie, pasticcerie e locali alla moda: bastano 36 ore al New York Times per innamorarsi di Napoli: il celeberrimo quotidiano statunitense ha dedicato al capoluogo campano un articolo (firmato dalla giornalista Laura Rysman), raccontando di come la città abbia un fascino tutto speciale, fatto di “eccessi di Barocco, cucina indulgente, in una sorta di stato ipnotico separato dalla realtà”.

Non è la prima volta, in realtà, che il NYT dedica un tour di 36 ore a Napoli: era già successo nel 2013, quando la giornalista Ingrid K. Williams aveva documentato “il cambiamento in atto” dovuto anche al “nuovo sindaco che ha inaugurato iniziative per ripulire la città”, suggerendo – per fermare i languorini qua e là lungo l’itinerario – la colorata osteria – cheese bar di nuova generazione “La Stanza del Gusto”, in via Costantinopoli o il wine bar con cortile nel cuore di Chiaia Barril.

I locali alla moda

A distanza di qualche anno lo stile che piace ai newyorkesi sembra essere sempre all’incirca lo stesso: locali giovani, modaioli, moderne osterie o concept bar che poco o nulla hanno a che vedere con la classicità della tradizione napoletana.

Archivio storico

archivio storico napoli

Per dire, questo nuovo itinerario del New York Times cita “Archivio Storico”, un locale che, a detta della giornalista, sta “sta migliorando l’arte del bere a Napoli, con cocktail basati su antiche ricette napoletane e classici americani”. Le ricette saranno anche tradizionali, ma il concept e la cucina sono molto contemporanei, nonostante un’atmosfera che, con l’arredamento e i particolari, vuole rifarsi ai tempi dei Borbone. Le cinque sale del locale sono proprio dedicate ai cinque Borboni delle Due Sicilie: Carlo, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II, con le rispettive regine: tutto è curato, ogni dettaglio ha il suo posto e ogni oggetto ti strizza l’occhio raccontandoti quanto starebbe bene nel tuo salotto di design.

Riot Laundry Bar

Altro posto consigliato dal New York Times è il Riot Laundry Bar, un “concept store gestito da una squadra giovane, e una calamita per la scena musicale risvegliata di Napoli”. Un posto dove comprare un paio di jeans ecologici, o una maglietta alla moda, e poi bersi una birra nel bar al piano terra (definito “energico” dalla giornalista del NYT). Ancora moda, ancora giovani, ancora modernità: un volto di Napoli fresco, proiettato nel futuro, che forse pochi di noi ingenuamente suggerirebbero a un turista arrivato da lontano.

Le trattorie storiche

Casa di Ninetta

casa di ninetta napoli

Va un po’ più in questa direzione la Casa di Ninetta, suggerita dall’itinerario per la sua cucina casalinga (quella della mamma Anna e della nonna Emilia del proprietario, Carmelo Sastri). “Sotto un soffitto ornato di fine Ottocento, con musica classica sullo sfondo, il ristorante prepara magnifiche interpretazioni della tradizione napoletana”. Un posto storico, tradizionale, ma dotato di quell’eleganza e quel fascino d’antan dato dalla cura e della ricercatezza con cui viene raccontata la storia di famiglia.

Trattoria San Ferdinando

Un’ottima pausa dalle frenetiche strade di Napoli”, secondo il New York Times, è la Trattoria San Ferdinando: stavolta torniamo alla tradizione che forse abbiamo tutti in mente, con un’osteria a conduzione familiare con un menu “che cambia ogni giorno secondo natura, come dicono i proprietari”. Il look è quello di una vecchia trattoria, ma il concept si avvicina molto a quello di un’osteria moderna, con una buona selezione delle materie prime e della carta vini.

Mimì alla Ferrovia

Terza e ultima segnalazione per Mimì alla Ferrovia, altro nome ultranoto della ristorazione storica napoletana. “Una dinastia di quattro generazioni familiari di proprietari e tre in cucina ha posto la continuità nel cuore di questo ristorante nel quartiere centrale (e impreciso) della stazione ferroviaria. Serve principalmente pesce, pescato localmente dallo chef, Salvatore Giugliano (nipote del primo chef del ristorante), che ha modernizzato le ricette tradizionali, eccellendo con ravioli di spigola e limone in salsa di calamari e gamberetti e una ricotta fresca di bufala condita con confettura di pomodoro vesuviano fatta in casa”.

La pasticceria

frittata maccheroni scaturchio

La sfida della sfogliatella, secondo il New York Times, è vinta dall’Antica Pasticceria Giovanni Scaturchio, vittima negli anni di alterne fortune ma custode dal 1905 delle ricette della tradizione.

Altro indirizzo arcinoto a Napoli, consigliato dal NYT (e qui sì, ci spostiamo su un nome che a chiunque verrebbe in mente, parlando di indirizzi storici) è Gambrinus, consigliato come bar dove bere “un caffè espresso, spesso con una buona dose di zucchero già miscelato”. Ecco, così non la pensa esattamente Andrej Godina, assaggiatore di caffè che andò due volte a provare la tazzulella ‘e cafè di quello che forse è il più noto bar di Napoli, seguito dalle telecamere di Report: per ben due volte uscì da Gambrinus stroncandone l’espresso.

La pizza

Pizzeria Di Matteo

Nessuno viene a Napoli per dimagrire”, scrive la giornalista del New York Times, “e la pizza, inventata qui nel diciannovesimo secolo, è probabilmente migliore che da qualsiasi altra parte”. Sul capitolo pizza, la giornalista del New York Times rimane sul classico: il suggerimento è quello di un indirizzo storico di via dei Tribunali, la pizzeria Di Matteo, qui indicata più che per le pizze per la sua friggitoria: “il cuoppo, o cono di carta, di prodotti fritti come le frittelle di patate, la polenta e le melanzane è un’imperdibile prelibatezza napoletana”.

Concettina ai Tre Santi

concettina-ai-tre-santi

Segnalata anche Concettina ai Tre Santi, sulla quale il New York Times si spinge addirittura a dire che “lo chef Ciro Oliva è forse il pizzaiolo più talentuoso della città”, menzionando (giustamente) la sua pizza fritta ripiena di ricotta di bufala, ricciola affumicata, alghe di mare disidradate, scorza d’arancia e pepe macinato.

Qualche grande classico, insomma, ma – a parte un paio di indirizzi – ci viene da dire che è una selezione di posti non scontati, che cerca di andare un po’ oltre la solita cultura partenopea vista e rivista dai turisti, che ogni anno ricercano l’autenticità della cucina napoletana non sempre raggiungendo l’obiettivo con successo.

E i turisti newyorkesi, che arrivano da una delle città dove si mangia meglio nel mondo (pizza e cucina italiana compresa) non sono certo dei palati facili da convincere. Ma alla cucina napoletana, evidentemente, 36 ore bastano.