Ristoranti che vi svendete su The Fork, trattare meglio i clienti non sarebbe una strategia migliore?

Le cene a metà prezzo su The Fork salveranno i ristoranti, o cuochi e commercianti farebbero meglio a ritornare alla buona accoglienza? Più amari offerti e meno "trattamento coupon" per noi clienti.

Ristoranti che vi svendete su The Fork, trattare meglio i clienti non sarebbe una strategia migliore?

Cari ristoratori, siete davvero sicuri che il modo migliore per attirare la clientela sia un supersconto del 50% a chi prenota su The Fork? Io no, e ne vorrei parlare con voi, perché sfogliando le campagne di scontistica aggressiva sul celebre portale di prenotazioni al ristorante, e trovandoci anche tanti posti noti, ho iniziato a pormi delle domande, e a darmi delle risposte.

Mi riferisco, in particolare, alla campagna “Ritorno al Ristorante”, lanciata da The Fork come “la più grande iniziativa di sempre per supportare il settore della ristorazione”: oltre 3000 ristoranti in Italia partner della piattaforma proporranno una riduzione del 50% sul conto finale fino al 17 novembre, per rilanciare il settore. Ma a dire il vero non è un avvenimento isolato: spesso capita di vedere sconti da capogiro su The Fork, e c’è da chiedersi se poi funzionino realmente per portare il pubblico “giusto” al locale.

Ve lo dico così, senza troppi giri di parole, perché so quanto amate i consigli non richiesti e vorrei andare subito al dunque.
Ma non vi viene il dubbio di stare sbagliando tutto, ma proprio tutto quanto?

Perché ho la sensazione che in molti casi abbiate perso completamente il contatto con il cliente. Quel cliente a cui – con la promozione su uno dei più importanti portali del settore – state regalando metà di una cena, ma al quale non sapete più offrire un giro di amari, o un piatto di pasta in bianco per i bambini che accompagnano i genitori.

Cose che dico a ragion veduta: forse non ve lo ricordate, ma qualche settimana fa mi sono di nuovo rivolta a voi, cari ristoratori, chiedendovi – cortesemente – quanto pensavate fosse giusto farmi pagare i rigatoni olio e parmigiano che spesso prendo per i miei bimbi piccoli quando vengono al ristorante con noi. E voi mi avete risposto, oh se mi avete risposto.

Mi avete risposto, in molti casi, che quei bambini piccoli me li sarei dovuti tenere a casa, o almeno avere la decenza di non chiedere per loro un fuori menu (che ci va del coraggio, a definire fuori menu un piatto di pasta all’olio). Ma soprattutto mi avete risposto, a grandissima voce, che voi dovete rientrare dei costi, che un piatto di pasta non è solo un piatto di pasta, che ci sono le spese, il posto occupato, che mica è soltanto la materia prima a fare il prezzo. E io sono stata ad ascoltarvi, e nel frattempo ho continuato ad annotarmi quanto pago quel piatto di pasta in bianco (le ultime tre volte, 6 euro, 5 euro e 6 euro, giusto per la cronaca).

Quel che ho capito, dalle vostre risposte, è che non riuscite proprio a immaginarvi quel piatto di pasta offerto come coccola al cliente, come incentivo a tornare. Eppure io ho sempre pensato che la capacità di far star bene il cliente, di mandarlo a casa col sorriso e la soddisfazione di essere stato trattato bene fosse uno dei segreti meglio conservati della ristorazione.

Un conto ha tutto un altro sapore se, indipendentemente dal totale, alla fine ci trovi una cifra sbarrata a penna e arrotondata di quel paio di euro che bastano a farti sentire un ospite speciale. E ricordo giri di amari della casa offerti, finanche bottiglie lasciate al tavolo: un regalo per i clienti abituali, che finivano la serata alticci e contenti.

Mi sono accorta che non è (più) così, molto spesso, e che anzi a volte anche amari che paiono offerti al momento di pagare finiscono nel conto a prezzo pieno. Mi è successo giusto l’altra sera, in una brasserie che frequento abitualmente: il digestivo al bancone, che aveva l’aria di essere un omaggio della casa (“Ragazzi, tutto bene? Avete già preso l’amaro?”), è finito nello scontrino a suon di 5 euro a bicchiere.

Così come è giusto che sia, direte voi. Il ristoratore lo paga, perché dovrebbe regalartelo? Perché da sempre è questa – insieme alla qualità della cucina – la mossa migliore per far tornare un cliente, e voi sembrate esservelo totalmente dimenticato.

E, cosa peggiore, vi arrabattate alla ricerca di soluzioni per portare nuovi (o vecchi) clienti, svendendo le vostre prestazioni al 50% su The Fork, per poi peraltro, al momento della prenotazione, spesso trattarci malvolentieri per quello che siamo: clienti con un coupon, che stanno occupando un tavolo e al momento del conto vi faranno incassare la metà. E se da un lato sono occasioni di cui in molti casi approfitteremo, un po’ spiace vedere lì molti posti interessanti, buoni, storici, costretti a proporsi sottocosto pur di arrivare al pubblico e “rilanciare il settore”.

Son tempi duri per la ristorazione, ne conveniamo. Ma a volte l’investimento migliore che si può fare per far sì che un cliente torni, e torni soddisfatto (magari portando con sé gli amici) è un piatto di pasta in bianco offerto: sono sicura che vi costerà meno di uno sconto del 50%.