Ristoranti senza dipendenti? Storia di una sommelier che non trova un lavoro decente

Il lavoro nei ristoranti c'è, sono i dipendenti che mancano: un luogo comune che non è mai stato così falso, come ci racconta una sommelier e tuttofare di sala che non è più disposta ad accettare offerte "ridicole".

Ristoranti senza dipendenti? Storia di una sommelier che non trova un lavoro decente

La retorica dei giovani che non vogliono fare i camerieri e gli aiuto cuoco perché preferiscono il reddito di cittadinanza al duro lavoro da dipendenti sta diventando sempre più insopportabile. A fronte di una situazione durissima per tutti, che ha portato alla chiusura centinaia di ristoranti, ma anche alla miseria migliaia di famiglie magari monoreddito, rette a stento da lavori precari e in nero, davanti a una situazione del genere prendersela con l’unica misura – imperfetta, mal pensata e peggio gestita, tutto quello che si vuole – di sostegno come il reddito di cittadinanza, sembra un delirio.

Eppure è un delirio a cui assistiamo quotidianamente da settimane. Hai voglia a contrastare con argomentazioni e verifiche (come fa ad esempio Valigia Blu) la narrazione dominante: il bello delle narrazioni è questo, che sono impermeabili ai fatti.

Una cosa che io trovo particolarmente insopportabile, poi, è la generalizzazione: la storia di un imprenditore che invece di mettere un annuncio o rivolgersi al centro per l’impiego chiama il giornalista amico, si tramuta in un editoriale di denuncia; “io non riesco a trovare” diventa “non si trovano”. Chissà perché non vale il contrario: posso far parlare un singolo imprenditore ma non un singolo lavoratore, un pezzo intitolato “sono Pino e non trovo lavoro” non ha senso, per quello ci va una caterva di dati, le inchieste della magistratura, o un caso clamoroso che coinvolge personaggi televisivi. Invece a noi piacerebbe proprio dare un microfono a chi non ce l’ha; a chi avrebbe una storia da raccontare e magari, a differenza del ristoratore a cui far uscire il nome sul giornale non può fare che bene, non ha neanche tutta sta convenienza a passare per l’infame o il rompipalle di turno. Abbiamo quindi una persona che ha accettato di parlare con noi, è la prima ma non vi prometto che sarà l’ultima.

sommelier

Nome.

Federica.

È il tuo vero nome?

Sì.

Età.

31 anni.

Dove vivi?

Roma.

Formazione.

Laurea in Scienze Politiche, 6 mesi di Master abbandonato 4 anni fa per fare il sommelier full time.

Sei sommelier diplomata?

Si e ho frequentato altri corsi compreso un Master sulla Borgogna.

Quindi si può dire che il tuo mestiere ti piace.

Certo!

Lo fai con passione.

Se non ci fosse stata la passione ora lavorerei da Amazon probabilmente.

Impiego attuale.

Piccola enoteca di quartiere.

Inquadramento contrattuale.

Part time.

Tempo indeterminato?

Determinato. Ti ho già detto che da maggio 2020 più o meno i contratti sono nettamente peggiorati?

Ah sì?

Dopo l’ultima volta ho deciso che voglio un lavoro tranquillo, remunerato il minimo, con tanto tempo libero e nessun obbligo di indossare bretelle.

Comunque contratto regolare. Con qualifica?

Ho cominciato da neanche una settimana, quindi a breve il commercialista mi manderà il contratto. Credo un 5-4 livello da ccnl.

Le mansioni effettive corrispondono alla categoria?

Sì, anche se è un posto piccolino dove capita di fare un po’ tutto (ma quello capita anche nei posti grandi). Sto dando una mano a una mia amica 3 giorni a settimana praticamente.

vino

Quindi è possibile “dare una mano a un’amica” e contemporaneamente non lavorare in nero.

Se l’amica in questione è una persona seria.

Retribuzione? Quanto è “il minimo” che dici?

Il minimo sono 6-700 euro

Netti.

Esatto, in busta paga.

Fai altro, o hai intenzione di farlo?

Per il momento vorrei avere più tempo libero per leggere e scrivere (mi piace scrivere).

E ci campi?

Non ho mutuo, né figli, ho poche spese e un affitto basso. Diciamo che potrei guadagnare di più altrove, ma a quale prezzo?

Hai mai beneficiato di misure di sostegno al reddito? Disoccupazione (Naspi), Reddito di cittadinanza…

Il mio ultimo contratto è terminato qualche giorno prima del primo lockdown. Ho usato tutta la Naspi che avevo (3 mesi). E usufruito dell’indennità covid che mi ha permesso di tamponare i debiti. Mai RdC.

Sincera: se avessi un reddito garantito di 700 euro (circa il tuo stipendio di ora), lavoreresti?

Lavorerei ma potrei permettermi di essere selettiva (dato che ho un curriculum di tutto rispetto). È quello che ho fatto mentre ero in Naspi: rifiutare le offerte ridicole.

Ecco, parliamo del passato. Hai detto che il tuo ultimo contratto è finito a febbraio 2020 (del tutto casualmente se ho capito bene). Per un anno e mezzo non hai lavorato?

Ho fatto alcuni periodi di prova, che mi hanno fatto capire che il lavoro era peggiorato sensibilmente. Non si trovavano offerte valide, neanché per un contratto determinato a sei mesi. Alla fine a ottobre ho accettato di lavorare “a chiamata”, cosa che non avrei mai fatto, per un ristorante. Ristorante per cui ho fatto anche una consulenza, naturalmente gratis.

Quando parli di offerte ridicole, di lavoro peggiorato, cosa intendi? Fammi qualche esempio.

A maggio 2020, quando dopo il primo lockdown mi sono messa di nuovo a cercare lavoro, mi sono accorta che la situazione era cambiata.

In che modo.

Intanto i ristoranti riaprivano con pochissimo personale, sembrava una scena da Io sono leggenda. Il personale che era in nero o in grigio era stato spazzato da un giorno all’altro.

Ma a te cosa offrivano.

Le offerte erano vaghe e i contratti sempre più brevi. La paura delle nuove chiusure, gli orari ridotti e i debiti accumulati facevano si che i ristoratori non volessero dare garanzie.

Possiamo quantificare? Tipo da maggio 2020 a ora, che è un anno, quanti colloqui hai fatto? Quanti lavori hai iniziato e quanto sono durati?

Forse 8-9 ristoranti prima di arrendermi.

Beh mica pochi.

Sono andata anche a Milano a fare una prova.

VinNatur, vino

Smettevi perché finiva il periodo di prova o te ne scappavi prima?

Ti spiego: pochissime volte chi assume chiarisce prima che tipo di contratto offrirà. Il periodo di prova serve per vedere se il lavoro ti piace, quali mansioni ma soprattutto quanti straordinari non pagati dovrai fare. E in quel periodo se sei fortunato riesci a vedere una copia del contratto che ti è stato fatto, se lo chiedi con insistenza. Ma poi una volta che sei in un posto vedi quali sono le vere condizioni, e nel mio caso se c’è possibilità di fare un lavoro che non sia soltanto il portapiatti.

Che gli straordinari non siano pagati è la norma? Di quanti straordinari parliamo?

Si parte dalla classica ora in più al giorno, successiva all’orario di chiusura al pubblico dei locali, a punte di 15-20 ore a settimana. Perché? Di recente mi è stato risposto che è cosi: perché bisogna “remare”.

Cioè 20 ore in più rispetto alle 40 di un full time?

Esatto.

E che dovevi fare tutto sto tempo, sommelier?

Di questi tempi a tutti è richiesto di essere multitasking. Nelle ultime settimane finivo il mio turno asciugando bicchieri e facendo posate, il locale aveva spazi molto vasti e poco personale. Sarei ancora lì se non mi avessero esplicitato chiaramente il fatto che non ci sarebbero state possibilità di crescita (di offrire un contributo sulla carta dei vini), quindi pace.

Per lo meno sinceri, te l’hanno detto subito.

Dopo 10 giorni.

Scusa ma tu precedentemente hai detto che “prima” era diverso. Cioè prima della pandemia c’era meno lavoro in nero, meno sfruttamento? Perché a me pare che una certa retorica del “i giovani non vogliono fare i sacrifici” c’era anche prima.

Mi sono espressa male, lo sfruttamento c’è sempre stato solo che ora ce n’è di più, ed è arrivato a essere intollerabile. Per me lo era anche prima, infatti negli ultimi 3 anni piano piano che facevo formazione, i miei contratti terminavano.

Questa tua esperienza la consideri particolare o è generalizzatile?

Generalizzabile. Ci sono poche eccezioni, e si stanno assottigliando. E questo perché sono venuti meno quelli che chiamo i resettati. 

Rimedi? Esiste una solidarietà tra colleghi? Associazioni, sindacati?

I ristoranti per lo più sono medie-piccole imprese: non esiste niente di tutto ciò, anche nelle grandi imprese (pensa all’hotellerie). Si è inquadrati in una struttura gerarchica, dove questo tipo di associazionismo è inesistente. Però esistono le clientele, quelle sì.

La cosa più assurda che ti è capitata sul lavoro.

Mi capitò di affrontare il responsabile di un ristorante che aveva delle sedie di design molto costose, chiedendogli perché un dipendente doveva essere pagato meno di una sedia. Mi rispose: “Perché le sedie restano”.

Dagli torto.

Infatti oggi non leggiamo titoli sulla mancanza di sedie.

Lo sai però che gli imprenditori, in generale, non ce la fanno? Che c’è il cuneo fiscale, il post pandemia, l’invasione di cavallette? Che se rispettassero le regole alla lettera, chiuderebbero?

La stragrande maggioranza delle attività ristorative non erano sostenibili già in precedenza. I loro profitti erano sui piatti ma anche sui dipendenti: questa è una verità amara.

Quindi secondo te almeno non sono lamentele infondate, non sono bluff di persone che poi si fanno l’attico in centro.

Certamente, ma il punto non è dimostrare lo sfruttamento in questo settore (che poi se osserviamo come vengono trattati i bangla non siamo assolutamente il gradino più basso della scala alimentare). Il punto è come farà il settore a ripartire.

“Bangla”, per i non romani?

I ragazzi e non più ragazzi che lavorano nelle cucine o come lavapiatti, del Bangladesh e di altri paesi stranieri. Anche senza di loro la stragrande maggioranza dei ristoranti chiuderebbe.

Hai mai pensato alla famiglia, a fare figli? È una prospettiva che anche alla lontana ti interessa?

Sì, ma spero che le cose cambieranno (penso questo sia il momento giusto) e di poterlo fare fra qualche anno continuando a fare il mio lavoro. Dopotutto non se ne è mai parlato così tanto, dei problemi del nostro settore. E questo significa che c’è stata una larga presa di coscienza: molti hanno detto no, hanno stabilito un limite

vino

Non è il tema principale qui, ma non si può fingere che non sia un tema: in quanto donna hai avuto difficoltà ulteriori, ostacoli maggiori?

Certo che sì, ma più che imputarli al settore in cui lavoro, li imputo a tutta una mentalità che c’è in Italia. E la cosa più triste è che vi partecipano non solo molti dei miei colleghi ma anche i clienti e le stesse donne. È un problema culturale.

Certo. Ma di che tipo di problemi parliamo? Diffidenza nel trovare lavoro, differenza di trattamento…? Ambienti tossici, molestie?

Un po’ di tutto. Decisi di intervistare alcune colleghe a riguardo, tempo fa, e passai quattro pomeriggi ad ascoltare le loro voci: mi sembrava di intervistare me stessa. Il sommelier non è un gioco da ragazze. Ma ora ci sono molte donne preparate che si stanno impegnando per cambiare le cose. Il problema di genere è confluito ora nel problema più generale dello sfruttamento (dei giovani), indipendentemente dal genere.

Prima hai parlato di resettati. A cosa ti riferivi.

Sono tutti quelli che da anni sacrificano le loro 24h giornaliere alla ristorazione e hanno avuto la fortuna di finire in cassa integrazione. Sono loro che ora, dopo aver riflettuto accuratamente su costi e benefici, hanno abbandonato il settore per fare altro. E il loro vuoto che si sente: c’è chi ha deciso di tornare all’università, c’è chi ha cambiato totalmente lavoro.

Ne conosco, in effetti. Quindi tutto sommato la lamentela dei ristoratori non è così infondata.

Sì ma la domanda che dovrebbero porsi è: perché nessuno vuole più lavorare? E sappiamo bene che il Reddito di cittadinanza è una scusa.

Va bene io avrei finito. Ti ringrazio ma… sicuro che non vuoi usare pseudonimi? Non temi di essere riconosciuta, di farti la reputazione della rompipalle?

No vabbè, tanto già ce l’ho.