Ristoranti: “Stipendi dimezzati, ore raddoppiate”: lo sfogo di uno stagionale

I ristoranti cercando dipendenti, ma l'offerta non alletta e il reddito di cittadinanza non è una scusa. Oggi ci concentriamo sui lavoratori stagionali e sulle loro condizioni.

Ristoranti: “Stipendi dimezzati, ore raddoppiate”: lo sfogo di uno stagionale

Niente da fare. La narrazione dei giovani che non vogliono lavorare, dei ristoranti che non trovano personale da sfrutt…ops da assumere, non si ferma. Per una bella inchiesta (del Fatto Quotidiano) che con telecamera nascosta mostra quali siano le reali condizioni offerte agli stagionali in riviera romagnola, ci sono dieci video come questo in cui sedicenti imprenditori parlano a ruota libera senza dover dimostrare niente. Per ogni piccolo Bilali che sommessamente dice be’, forse è la ristorazione a dover cambiare mentalità, c’è un mega Barilla che invita i giovani a mettersi in gioco.

Come? Rinunciando a quelle due lire di aiuti statali.

E allora, visto che ci siamo dati l’ingrato compito di fermare la marea con un secchiello, continuiamo a far parlare qualche lavoratore. Dopo la giovane sommelier che non trova un lavoro decente, è la volta di un cuoco/pizzaiolo/lievitista che, dopo una vita lavorativa in cui si era occupato di tutt’altro, ha trovato il coraggio di reinventarsi, per accorgersi dopo qualche anno di essere passato dalla padella alla brace.

Valerio, così lo chiameremo, dato che avrebbe ancora qualche aspirazione a lavorare nel settore, e ha anche vari contenziosi in corso, racconta: “Dopo oltre 30 anni come tecnico e consulente colore nel settore editoria-stampa, settore andato fortemente in crisi nel 2009-2010 con la chiusura di circa la metà degli stampatori, ho iniziato a lavorare tra forno e cucina, e ho addirittura consigliato a mia figlia di fare l’alberghiero. Oggi me ne pento, e posso affermare che onestà, professionalità, correttezza, il settore dell’hotellerie non sa proprio cosa siano, salvo qualche rarissima eccezione”.

Parole pesanti, e anche un po’ generiche, che trovano però appoggio in una esperienza vissuta: “Quasi un rapporto su due è terminato con una denuncia da parte mia all’ispettorato del lavoro per il recupero di quanto mi sarebbe spettato, e ancora alcune pratiche sono pendenti presso il fondo di garanzia dell’INPS visto che questi pseudo imprenditori sono tutelati e se non vogliono pagare, lo Stato da loro tutte le armi per non farlo”. Lo Stato, quello stesso che si mostra troppo generoso con i giovani sfaticati, pagandoli per stare a casa sul divano?

Imprenditori impreparati

cameriere

“Ho conosciuto e a volte lavorato con imprenditori (ex barbieri, ex serramentisti, ex negozianti) che non avevano la minima concezione di come si manda avanti un’attività di questo tipo: mai fatto un business plan o un food cost, sono destinati alla chiusura prima ancora dell’inaugurazione del locale. Ma hanno anche la pretesa di voler capire e decidere senza accettare consigli da perte di chi, magari, in commercio ne sa un po’ più di loro (il massimo l’ho raggiunto quando uno dei tanti non sapeva di essere un sostituto di imposta, non sapeva proprio cosa fosse, ma si era allegramente incassato senza versarlo l’IRPEF che dovevo recuperare)”.

Valerio individua quelle che a suo dire sono le falle normative del sistema (chi gliene conferisce l’autorità? E chi conferisce l’autorità a tanti imprenditori di farsi analisti economici e dire che il problema è il reddito di cittadinanza?): per esempio, la previsione della società a responsabilità limitata (s.r.l.) semplificata che consente di aprire un’attività senza fondi di garanzia, con un capitale minimo pari a 1 euro, e senza possibilità di rifarsi sul patrimonio dell’imprenditore per chi non riceve i pagamenti dovuti. Poi c’è la questione dei contratti: “A parte che ogni ristoratore ‘fa il tentativo’ chiedendo un periodo di prova fuori contratto (quindi pagato in nero, se pagato) che va dai 7 ai 14 giorni. Molto spesso chi adotta questa pratica, con la scusa di provare, si fa mezza stagione non mettendo in regola nessuno e cambiando continuamente parte del personale: senza capire che con il variare del personale varia anche la qualità e il servizio del locale stesso, e poi magari ci si lamenta delle recensioni negative su TripAdvisor”.

Contratti full time “a chiamata”

cameriere

Molti strumenti normativi che avrebbero senso di per sé vengono piegati ad esigenze diverse, per aggirare altri obblighi: “Il famigerato contratto intermittente o a chiamata, per esempio, dovrebbe essere una collaborazione saltuaria ma in effetti si rivela un vero lavoro full time, anche con ore di straordinario, e in busta paga risultano 30-40 ore al mese (non a settimana) e quindi stipendi ridicoli, inferiori ai 600 euro: a volte ho visto buste paga da 300-350 euro per ragazzi che lavoravano 45 ore a settimana, senza giorno di riposo e neppure con la festività pagata doppia. Infine, molti contratti sono “a termine” (non stagionali, ma semplicemente a termine) e guarda caso l’ultimo mese non viene quasi mai pagato, oltre naturalmente alla busta del TFR, alle ferie non godute eccetera, che viene calcolata il mese successivo semplicemente perché l’attività stagionale che ha preso in gestione il locale chiude e per la stagione successiva si sposta altrove magari cambiando anche nome alla società”.

Secondo l’esperienza di Valerio, il difetto poi non sarebbe solo normativo, ma anche pratico, cioè nel sistema dei controlli: “Un caso tra tutti quelli che mi sono capitati: una SAS (formata dal “geometra di un Comune” e da una “professoressa”) che aveva quattro localini, non uno ma quattro, tra pub, trattorie e pizzerie. In uno di questi lavorava un pizzaiolo giovane, sui 22 anni; il locale aveva apertura 6 giorni a settimana dalle 18 alle 24 quindi 6 ore al pubblico; ma considerando che in Trentino si usano ancora forni a legna (lì la legna non si paga e si prende gratis nei boschi) e per mettere a temperatura un forno da 6-9 pizze possono volerci dai 60 ai 90 minuti, il povero pizzaiolo doveva arrivare necessariamente un’ora e mazza prima per accendere il forno e preparare la linea, più un ora dopo la chiusura per fare l’impasto del giorno dopo e le pulizie finali alla bell’e meglio (se arrivavano i NAS avrebbero messo i sigilli). Il contratto che aveva era part-time per 18 ore a settimana ma lui, unico pizzaiolo, ne faceva 50-52 a settimana e non veniva neppure pagato con regolarità. Possibile che nessuno all‘ufficio del lavoro di competenza si fosse reso conto della cosa? Con una cameriera puoi barare, perché magari è a supporto nel fine settimana, ma con il personale di cucina, specie se unico… la vedo dura”.

Lo stagionale in città turistiche, senza vitto e alloggio

Courmayeur montagna neve sci

Altro dramma è quello degli stagionali: lavoratori che una volta si facevano il mazzo per 4 mesi all’anno ma poi si mettevano a posto non dico per il resto del tempo, ma quasi. Oggi qualcosa è cambiato, e da ben prima della pandemia: “La stagione di anno in anno si sta sempre più assottigliando, quindi contratti da giugno ad agosto, in qualche caso fino metà settembre: quando iniziai era la norma da Pasqua a fine settembre. Non trovando personale in zona lo si cerca fuori, ma mentre un tempo venivano offerti contratti con vitto e alloggio, oggi su molti annunci viene subito specificato che sono SENZA vitto e alloggio (in barba al CCNL che prevede il vitto e pausa di 30 minuti per orari dalle 6 ore in su). Nelle località turistiche è impensabile trovare alloggio a prezzi equi visto che chi affitta chiede anche 1300 euro a settimana, preferendo giustamente l’affitto settimanale per ferie. In un caso, nel 2018, accettai di lavorare presso un ristorante che era anche affittacamere in Alta Badia però mi ritrovai in una stanza, condivisa e senza finestre, piena di muffa, nell’interrato: era ricavata da quello che in origine doveva essere il garage, trasformato in ripostiglio, dispensa, lavanderia e appunto camera per i dipendenti. Sono rimasto una settimana e non trovando un appartamento degno di questo nome ho preferito andarmene”.

Il reddito di cittadinanza? Un fantoccio

soldi

La pandemia ha dato il colpo di grazia? Certo per le attività di ristorazione essere costretti alla chiusura è stato durissimo. Ma adesso, un po’ per recuperare, un po’ per diffidenza preventiva, molte aziende stanno mettendo in atto contromisure che lasciano perplessi: “Con le limitazioni imposte dal Governo (che ritengo assurde) ovvero con il calo dei coperti, a fronte di una riduzione del fatturato prevedibile se non sicura, gli imprenditori cercano di riversare sui dipendenti queste perdite, offrendo contratti alla metà del normale importo degli anni precedenti. Un esempio: un ex collega sulla costa adriatica che da 2200 euro si è visto offrire 1200 euro per lo stesso orario con la scusa che, dato che ci saranno meno coperti, lui lavorerebbe meno. Sbagliato! Le ore di lavoro sono sempre quelle e il  rischio di impresa non lo si può addebitare anche ai dipendenti, altrimenti quando ci sono utili si dovrebbero dividere con il personale, non è giusto?”.

E il reddito di cittadinanza, in tutto questo? Appare sempre più come un falso bersaglio, un fantoccio. “Lo chiesi”, conclude Valerio, “a marzo 2020 quando mi resi subito conto che la situazione stava degenerando e la stagione estiva sarebbe stata un disastro: con 3 figli a carico, l’INPS decise di omaggiarmi 381,40 euro con cui avrei dovuto vivere (se non avessi avute accantonate delle riserve ci avrei mangiato le becche)  e questo perché nel 2020 l’INPS basandosi sull’ISEE faceva riferimento a redditi percepiti del 2018. Peggio è andata quest’anno, visto che nel 2019 (anno di riferimento ISEE) avevo guadagnato benino ed essendo andato oltre il limite, il reddito che doveva eliminare la povertà mi è stato tolto. Poi l’ho recuperato grazie all’ISEE corrente che fotografa i redditi dell’anno precedente e non di due anni prima. Quindi è chiaro che se i ristoratori non trovano personale non è certo per il reddito di cittadinanza, visto che è dimostrato l’importo medio a famiglia non supera i 400 euro e con tale cifra non ci si vive; ma per le proposte contrattuali ed economiche, indecenti, che continuano a fare gli operatori”.