Se questo è un dehors: il far west dei “ristoranti all’aperto”

I ristoranti riaprono nei dehors, qualunque cosa significhi. E mangiamo in serre, verande chiuse ai lati che ci fanno rimpiangere le sale dei locali con le finestre spalancate: regna l'interpretazione libera.

Se questo è un dehors: il far west dei “ristoranti all’aperto”

Aperti su tre lati, anzi no su due, coperti, completamente verandati: pure voi vi sarete accorti che, nel mondo dei dehors, c’è un po’ di tutto. Ristoranti all’aperto si è detto? E all’aperto sia. Poco cambia se sono due tavolini traballanti improvvisati sul marciapiede o tensostrutture fisse completamente riparate dalla pioggia, terrazze panoramiche o verande con finestroni effetto serra sulla clientela.

E invece, forse, qualcosa cambia. Cambia per i clienti, perché se si è deciso – a torto o a ragione – che all’aperto è più sicuro, forse un dehors quasi completamente chiuso non dà proprio le stesse garanzie. E cambia per i ristoratori, perché così – come accade più o meno da sempre, e non solo da inizio pandemia – si crea una serie A e una serie B, dove chi interpreta le regole come norme di buonsenso rimane in seconda fascia a vantaggio dei più furbi, dei più fortunati, o di chi ha più disponibilità economica.

E invece a noi piacerebbe che tutti i ristoratori ripartissero dallo stesso “via”, più o meno a parità di condizioni, quantomeno sui dehors. Perché noi pure vi avevamo chiesto di aprirli, ‘sti benedetti dehors, ma ora vi chiediamo di regolarizzarli, suvvia, e mai avremmo pensato di dovervi chiedere una cosa alla volta.

Cosa dice il decreto

Ve ne sarete accorti anche voi, dopotutto, che in giro si vedono cose che lasciano un tantino perplessi. Come è possibile che si possa mangiare seduti in una serra verandata chiusa sui lati ma – per fare un esempio – non in una sala con ampie finestre che possono essere lasciate aperte?

Che ci crediate o no, forse è un problema di traduzione. Il decreto legge 22 aprile 2021 permette il “consumo al tavolo esclusivamente all’aperto”, “au dehors”. E dehors, come i ristoratori sanno, significa pressoché qualsiasi cosa. Dal famoso tavolino sulla strada trafficata in cui prendiamo un caffè mossi da pietà per il povero barista; alle strutture fisse, rialzate e magari – almeno in parte – coperte. Il Governo non chiarisce i limiti di questo “au dehors”, e ognuno fa da sé, interpretando la legge come più gli aggrada – e d’altronde, come potrebbe essere altrimenti?

Il Governo pare essersi perso per strada i dettagli, e in Italia i dettagli sono essenziali. Perché non ci piace essere trattati come bambini a cui viene imposto di rientrare a casa alla tal ora, ma la verità è che ci comportiamo peggio dei bambini, e abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che quella cosa lì è cacca e non si può mica bere, per non sentirci liberi di ingurgitare la candeggina e restarci secchi. Ma ormai questo dovrebbe essere chiaro: se il buon senso non regge, deve reggere la legge, senza alcuna possibilità di scappatoia.

Cosa dice la Fipe

Tra i pochi a essersi posti la questione dehors c’è la Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, che ha provato a dare un’interpretazione il più possibile univoca alla normativa. Secondo la Fipe, “sembra ragionevole ritenere consentito anche il consumo al tavolo presso verande esterne o dehors con strutture/coperture complesse, a condizione che vengano mantenute “aperte” almeno una o più delle pareti perimetrali”.

A riprova di questa tesi, la Fipe cita l’interrogazione parlamentare fatta il 20 aprile scorso al Ministro del Turismo dalla deputata Giorgia Andreuzza, la quale chiedeva lumi su “quegli ambienti comunemente denominati «sun rooms», che, pur essendo parte di un edificato, siano dotati di sistemi di serramenti apribili in completa altezza e possono avere da una sino a tre facciate completamente apribili, consentendo una circolazione dell’aria pari a quella degli spazi aperti”.

Sul tema il Ministro del Turismo Massimo Garavaglia aveva risposto che, a logica, le “sun rooms” potevano essere equiparabili agli spazi aperti , ma che in effetti non era mica tanto sicuro, perché la questione era più di competenza del Ministero della Salute.  Dunque, per dare una risposta sicura sicura sicura, avrebbe chiesto meglio, facendo presente la questione in sede di Consiglio dei ministri.

L’intervento delle amministrazioni locali

Dal canto loro, le Regioni e i Comuni (almeno alcuni) corrono ai ripari, provando a evitare il caos e a stabilire quelle linee guida che lo Stato pare essersi dimenticato di dare.

Così, per esempio, il vice presidente e assessore alle attività produttive della Regione Marche Mirco Carloni ha deciso che sono autorizzati soltanto i dehors aperti almeno su tre lati, augurandosi che “questo serva a rendere più semplice la riapertura per molti bar e ristoranti”.

Se si prende la macchina e si va un poco più a nord, invece, si scopre che i lati che devono essere aperti sono soltanto due. Così ha deciso la regione Liguria, che spiega che si possono connotare come “all’aperto” anche “verande esterne o dehors con strutture/coperture complesse, purché vengano mantenute aperte almeno due o più pareti perimetrali”. E a Cesenatico, ad esempio, c’è chi chiede a gran voce al consiglio comunale di avere più tolleranza verso i tanti ristoranti con veranda, e il sindaco risponde che, in attesa di chiarimenti del Governo, può aprire solo chi ha una veranda con tre lati liberi.

Altrove, invece, è il far west. La maggior parte degli enti locali non ha potuto o voluto chiarire la questione, lasciando all’iniziativa e all’interpretazione individuale i parametri della riapertura “all’aperto” prevista dal nuovo decreto. Difficile prendersi la responsabilità di limitare ancora una categoria esasperata come quella dei ristoratori.