Sushisen a Roma: recensione dello storico sushi bar di Ostiense

Recensione del ristorante giapponese Sushisen di Roma, storico sushi bar di Ostiense. Il menu, i prezzi, come si mangia e come si sta, oggi: le nostre opinioni.

Sushisen a Roma: recensione dello storico sushi bar di Ostiense

Se conosci il Giappone, per quanto bene possa conoscerlo un gaijin ovviamente, e ne vieni catturato, non potrai che cercarlo ovunque. Oggi la nipponopatia (leggi: voglia irrefrenabile di Sol Levante) è venuta a bussare alla mia porta, ed accorgendomi con un’occhiata all’estratto conto che non avrei potuto fare i biglietti e partire sono andato da Sushisen, Roma, Ostiense; uno dei più blasonati e conosciuti ristoranti giapponesi della città; approvato dalla JRO (Organization to Promote Japanese Restaurants Abroad). Con le aspettative alte, e l’acquolina in dilagare, ho raggiunto il locale per questa recensione.

Il locale

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La situazione si presenta da subito molto Tokyo-esca, con l’insegna rettangolare stretta e alta, kanji rossi e romaji bianchi su fondo nero e un’immediata impressione-Akira.

Si accede al ristorante, sotto il livello della strada, percorrendo degli scalini che conducono a una porta a vetri; anch’essa che riattizza qualche carbone mnemonico della giapponesità vissuta.

Il ristorante, sobrio ed elegante, direi quasi business-y, è diviso in due sale; una grande e occupata per l’intera lunghezza dal kaiten, nastro trasportatore affollato di avventori (separati però da plexiglas) al centro del quale operano gli addetti alla preparazione del sushi, una più intima, con tavoli individuali ben distanziati, separata dall’altro ambiente da una cortina di cannucce di bambù.

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Accedo alla sala “privata” dopo misurazione della temperatura con colonnina elettronica e igienizzazione delle mani: il fatto che siano calate in atmosfera nipponica rende queste attività meno stranianti…

I tavoli sono apparecchiati con un minimalismo lussuoso che sfiora in alcuni punti il kitsch senza mai superarne davvero la soglia, con gli hashi dorati, l’hashioki in pendant con tanto di monogramma del locale in sovraimpressione, la fascia obi con fiori di sakura luccicanti in trasparenza, abbinata alle mascherine dello staff, usata come una sorta di runner.

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Il servizio potrebbe parere sussiegoso, per l’Italia: si rivela però, fuori di ogni ironia, perfettamente in linea con la normalità giapponese; ove un’attenzione al cliente più esplicita rispetto agli standard occidentali è del tutto naturale nella ristorazione, se non addirittura dovuta. Questa forma di tangibilità della presenza in sala degli addetti è sintomo di una compenetrazione tra il locale e il Paese che supera la sfera meramente gastronomica, per farsi culturale; e contribuisce forse più di qualsiasi piatto o saké a fornire ai commensali un’esperienza autentica e immersiva.

Al di là delle notazioni antropologiche, la macchina di servizio si rivela efficientissima, cortese, preparata su ogni fronte – dalle descrizioni dei piatti agli abbinamenti suggeriti – e pronta a farsi in quattro per soddisfare le richieste dei clienti con grande flessibilità; rivelandosi più che un mero “valore aggiunto” un punto cardine nell’impostazione (e nella godibilità) del ristorante.

Il menu

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Diverso per il pranzo e per la cena, quello di Sushisen è un menu-fiume dalle aspirazioni enciclopediche, incentrato prevalentemente su sashimi e sushi (nigiri, temaki, rolls), ma che divaga sostanziosamente su altre preparazioni: dai donburi al tempura, da ramen a soba e udon, dalle preparazioni più street come i takoyaki alle zuppe.

Riassumere tutto in poche righe, fosse anche solo un excursus dei prezzi, richiederebbe troppo spazio: potete consultare la carta, per intero, qui.

I piatti

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È buona prassi, quando si prova un ristorante di sushi, affidarsi all’itamae con un bel “fai tu!”: al momento però, a causa della ristrutturazione dell’offerta e del personale imposta dal Covid, il menu degustazione a discrezione del sushi chef non è disponibile per pranzo.

Lo faccio presente alla cameriera, che con grande solerzia riesce a impostarmi una piccola selezione dal banco.

Dopo breve (e un oshibori caldo) arrivano cinque pezzi, ricercati come da mia espressa richiesta: in generale, il sushi si presenta ben formato e di dimensioni ideali, il riso cotto al punto ma forse leggermente carente in sapidità, dolcezze e acidità (mangio tutto senza shoyu, per gustare al meglio le preparazioni) e italianizzato nel dosaggio del wasabi; non pervenuto.

 

La materia prima dal mare è eccellente, e si esprime bene sia nei tagli “nudi” di orata (tai) e palamita (katsuo) che nell’ottimo gamberone siciliano scottato e nella spigola con ume (prugna fermentata), shiso e julienne di cetriolo. Gioiello della corona di questo set si rivela l’Engawa no hirame, taglio del rombo sotto la pinna caudale fiammato al cannello, che restituisce un boccone testurale insieme fibroso e scioglievole.

Sushisen_gamberi

Sushisen_chumaki

Sempre su mia richiesta segue quello che avrebbe dovuto essere un temaki (sushi conico arrotolato a mano), e viene invece presentato a tutti gli effetti come un chumaki, roll di dimensioni intermedie tra i piccoli hoso- e i giganteschi futomaki: è farcito con unagi (anguilla), abura-age, tofu fritto, presentatomi come kitsune dal nome delle volpi che, secondo il folklore, ne andrebbero ghiotte, e cosparso di unagi no tare (salsa appiccicosa e dolciastra a base di shoyu, zucchero e mirin, classico accompagnamento dell’anguilla) e pepe sansho – ossia, Sichuan.

Il risultato è pop quanto divertente e raffinato: anche in questo caso manca una leggera spinta fresca e piccante – il wasabi avrebbe dato questo sacro tocco, mentre il sansho da solo non riesce a portare a termine il lavoro – eppure il risultato è senza dubbio degno di nota.

Per il secondo servizio ripeto il pattern – nigiri, stavolta sei, e un altro temaki – scegliendo io le portate.

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Così sono ottimi i due gunkan – con ikura (uova di salmone) di primissima scelta, dal sapore profondo, oceanico e gentile, e con uni (riccio di mare del Pacifico), molto delicato e dal finale lievemente amaro, rinfrancato dall’inserimento nella “nave da guerra” di un pezzo di kappa (cetriolo) fresco.

Altrettanto buona la hotategai (cappasanta), burrosa e dolce, promosso abbondantemente l’ika (calamaro) con foglia di shiso che sopperisce ai difetti di una non perfetta resa tattile, e nello specifico al taglio leggermente troppo spesso e masticabile, con una concentrazione gustativa davvero superiore.

Non all’altezza delle altre portate, a livello di materia prima, l’hokkigai (vongola artica, talvolta erroneamente indicata come “fasolare”) che si rivela leggermente gommosa al morso e non esplosiva in termini di sapore.

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Sushisen_temaki

Sushisen_mochi

Supremo invece è l’otoro (taglio centrale e più grasso della ventresca di tonno), che si scioglie in bocca, tra note iodate e di frutta secca, in un profluvio di omega3.

Con il temaki, che stavolta arriva nella forma giusta, l’esperienza si fa poetica: l’equilibrio tra il tonno zuke (marinato in salsa di soia e mirin) e l’ikura si ascrive alla tradizione edomae (antica scuola sushi di Tokyo, in cui i pesci impiegati venivano cotti o marinati per agevolarne la conservazione) in un cono perfettamente assemblato, in cui finalmente anche il kick piccante del wasabi riesce ad avere la sua parte, aggiungendo tridimensionalità all’insieme dei gusti.

Chiusura in bellezza con un green mochi al tè matcha ripieno di stracciatella al mascarpone e fragole, che mi precipita in un istante nei dintorni di Tsukiji a svaligiare bancarelle di dolciumi.

L’opinione

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Sushisen è senza dubbio un indirizzo più che valido per gli amanti del sushi a Roma, ove la cucina nipponica viene resa non come meramente fine a se stessa ma nell’ottica di una prospettiva culturale, che impregna profondamente il ristorante nella sua interezza.

Dal punto di vista schiettamente gastronomico, le proposte godono di ottima materia prima e preparazione curata, e cedono però in alcuni casi alla tentazione di compiacere il cliente-tipo italiano, edulcorando certe “asperità” della cucina giapponese e sottraendo pertanto qualcosa all’autenticità complessiva dell’esperienza.

Decisamente costoso, vale però tutto sommato il prezzo, anche grazie all’ottimo servizio messo in opera dagli addetti di sala – e considerando che, anche in Giappone, il sushi sia intrinsecamente connaturato a un consumo di lusso.
Da riprovare, a “pieno regime”, in fascia serale.

Informazioni

Sushisen

Indirizzo: Via Giuseppe Giulietti 21/A

Sito web: http://www.sushisen.it

Orari di apertura: Martedì-Domenica 12.30-14.30 e 19.30-23

Tipo di cucina: Giapponese, sushi

Ambiente: Raffinato, business-y

Servizio: preparatissimo, gentile e attento

Voto: 4/5