A Cheese 2021 mi sarei aspettata anche il “formaggio” vegano, ma posso spiegarvi

A Cheese 2021 il formaggio vegano non c'era. Un prodotto che oggi ha un senso compiuto e che la cui assenza dalla splendida manifestazione braidese, ora, rappresenta forse un'occasione mancata.

A Cheese 2021 mi sarei aspettata anche il “formaggio” vegano, ma posso spiegarvi

Ci ho sperato quest’anno, in questa nuova e tanto attesa edizione di Cheese 2021 spp (semi-post-pandemia), manifestazione e manifesto del formaggio a latte crudo, nonché biennale a marchio Slow Food più attesa, almeno da queste parti, che anima Bra negli anni dispari. Un’edizione che tutto considerato non poteva che andare meglio di così, ma dalla quale mi aspettavo di trovare finalmente il formaggio vegano, alternativa senza latte spesso a base di frutta secca e/o legumi che negli ultimi anni sta raggiungendo vette di artigianalità altissime e recensioni sempre più entusiaste. Non dico uno stand (addirittura) dico un workshop, una degustazione, una conferenza: almeno, parliamone. Niente da fare, delusione su tutta la linea.

Ci ho sperato fino all’ultimo dicevo, perché la macchina organizzativa Slow Food è nota per muoversi in modalità last minute (miracoli compresi) e la lista ufficiale dei produttori ed espositori con eventi connessi non è stata disponibile fino a pochissimi giorni prima dell’inaugurazione. Ingenuamente me lo aspettavo perché laddove si parla di sostenibilità, innovazione e creatività la fetta veg quatta quatta si sta facendo sempre più sentire. Solo nell’ultimo anno sull’autorevole New York Times si è ampiamente parlato di carne coltivata in laboratorio, pesce di piante (o meglio alghe) e appunto formaggio vegano. Il titolo è già abbastanza eloquente: “Vegan cheese, but make it delicious” a dimostrazione che tutti noi, a prescindere dalle singole scelte alimentari, mettiamo un certo carico di diffidenza verso quelle ricette considerate “imitazioni” di qualcos’altro. A seguire: fake, insapore, sì ma il “vero” cibo è tutta un’altra cosa. Insomma, ‘na schifezza.

Un peccato, perché l’universo del formaggio vegano è un ampio spettro che merita di essere esplorato. Così come per il formaggio tal quale coesistono la sottiletta e il Parmigiano Reggiano dalle stagionature a doppia cifra, così per le alternative plant-based ci sono sì la simil-mozzarella del super piena di conservanti e aggiunte sospette che te la raccomando, ma anche una ristretta e interessantissima cerchia di artigiani che mettono ricerca e qualità al primo posto. Un manipolo di intrepidi coagulatori e fermentatori, pionieri di ieri (diciamolo, ci siamo svegliati tardi noi consumatori ma questi si sono fatti le ossa a tentativi ed errori un bel pezzo fa) che oggi, in un mondo affamato di trend e un pelo più consapevole (si spera in buona fede), risponde con un’offerta molto più vivace rispetto a qualche anno fa. Il problema è: come fare la domanda se manca la vetrina?

Formaggio vegano, sì ma rendilo appetibile

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Torniamo per un attimo al titolo del Times “Vegan cheese, but make it delicious”. Come hanno fatto negli ultimi anni i simil-casari, sprovvisti di mammelle da spremere ma con tanta pazienza e creatività, a rendere appetibile un prodotto percepito in modo così controverso? I problemi all’inizio erano due: da una parte psicologico legato al giudizio e all’esperienza; dall’altra sensoriale della percezione gustativa delle papille. Ve lo dico io com’era il formaggio vegano di una decina (ma anche meno) di anni fa: consistenza gelatinosa come per un formaggio riuscito a metà; aroma debole se non pervenuto; sapore invariabilmente noccioloso e dolciastro al limite del nauseante. Dopo i tre-quattro pezzi canonici da degustazione, magari ulteriormente caricati da marmellate e chutney assolutamente inadeguati, lo stomaco cominciava a ribellarsi stile Robespierre e una volta corsi in bagno ci si pentiva amaramente di ogni decisione presa fino a quel momento. Ok, l’ho messa sul tragico ma se non vi siete mai sentiti diciamo, un po’ “smossi” dopo una sessione di veg cheese tasting della prima ora, beh probabilmente state mentendo.

Bene, sappiate che quei tempi sono finiti, o almeno non sono più la norma. I formaggi vegani artigianali che mi sarebbe piaciuto vedere a Cheese 2021 vantano una gamma di forme, consistenze e sapori davvero impressionante. Crosta fiorita, spalmabili, muffati, stagionati; a base di ingredienti a provenienza bio e certificata come anacardi, tahini, ceci, latte di cocco, alghe, miso, cereali; affinati con spezie e vino, stagionati per settimane o addirittura mesi, da mordere, spalmare, da meditarci su e godersi complesse note di degustazione con tanto di wine pairing. Dietro c’è tanta ricerca, assaggio e apprendimento empirico. Dice Michaela Grob, proprietaria di una formaggeria veg in Essex Market a downtown New York: “Il latte di mucca non sa di Gouda (formaggio olandese a pasta gialla ndr): sono i microrganismi utilizzati che lo rendono Gouda”. Lo stesso accade per le alternative senza latte, o meglio per i latti alternativi: sperimentare con colture veg già disponibili, ad esempio quelle dello yogurt, crearsele da soli, testare diversi tempi e temperature. Esattamente come fanno nel loro tempo libero tantissimi studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, fiore all’occhiello di Slow Food. Per questo mi sorprende come in mezzo a tanta cultura fermentativa, per quanto sia importante il formaggio buono pulito e giusto, non ci sia spazio per gli esperimenti pazzi che affollano le cucine braidesi nel loro essere squisitamente ribelli e ribollenti.

L’altro grande appeal dei moderni produttori artigianali di formaggi veg sta nella strategia di marketing. Il fatto è che il mondo intorno al formaggio si presta volentieri al gioco di parole, che fra l’altro funziona bene in tutte le lingue. Dal negozio (Fauxmagerie di Londra), al tipo di prodotto (il CamemVert di Tomm’Pousse) ai nomi delle aziende. Fra gli italiani più creativi in questo senso e non solo citiamo Fermaggio, Cashewficio, Nonformaggi di Luciente. E poi gli Anacardini di Dall’Albero, i Fermentini e Grattini (grattugiati) di EuroCompany, la Casarella di CasaraVeg. Si gioca, si prende in giro il pregiudizio, si invita/invoglia all’assaggio: e intanto si rende sempre più frammentata e competitiva una fetta di mercato che, seppur di nicchia, è in espansione costante in Italia e nel mondo.

Formaggio vegano a Cheese 2021: un’opportunità mancata?

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E quindi si torna al Cheese di quest’anno, un’opportunità mancata visto il tema e la voglia di sensibilizzare, informare e conoscere. Una fetta di mercato e una fetta di formaggio in meno da assaggiare, se non altro incuriosire gli affamatissimi visitatori della manifestazione che anche in tempo di pandemia sono capaci di accalcarsi per un bocconcino di mozzarella offerta. Se è gratis, non si guarda in faccia nessuno. E allora perché non approfittarne: take a walk on the wild side, cantava Lou Reed, fatevi un giro nel mondo pazzo degli ingredienti e prodotti vegani e alternativi, non sia mai che scoprite qualcosa di nuovo.

Faccio riferimento ad alcuni temi enfatizzati nell’ambito di uno speciale Graduation Day, cerimonia di laurea riservata a tutti quegli studenti (compresa la sottoscritta) che hanno dovuto discutere la tesi da remoto durante lockdown, e che ha coinciso con il primo giorno di Cheese venerdì 17 settembre. Durante la cerimonia si sono susseguiti interventi di professori, ex alunni e Carlo Petrini in persona, Carlin per tutti noi. Discorsi profondi e toccanti che hanno sottolineato valori e missioni dell’Università: innovazione, olismo, diversità (sociale, culturale, ecologica), intraprendenza. Non faccio fatica ad applicare queste parole alla nostra forma mentis, allo spirito comunitario dei satelliti Slow Food in giro per il mondo, alle cause e alla salvaguardia di prodotti e tecniche alimentari. Solo vorrei dire, in senso strettamente pratico, mi sarei aspettata lungimiranza e inclusione, nonché una bella dose di curiosità, anche nei confronti di alimenti “nuovi” e innovativi che rispecchiano quegli stessi valori.

E che, nonostante si parli di mucche e capre felici in display nel centro città, si possa pensare ad alternative fattibili e ugualmente appetitose, come sempre senza togliere niente a nessuno o voler imporre un presunto pensiero unico. Perché quello, l’unico pensiero fisso che sta in testa a individui evidentemente molto pavidi e spaventati, è figlio del retaggio opposto che fugge di fronte alla diversità, anche quella blanda e subdola che si discosta di poco dal finto confortevole del gusto standard. Non sapete cosa vi perdete: io di sicuro so cosa mi sono persa a Cheese di quest’anno e spero, nel prossimo futuro, di vedere il lato più funky e coraggioso di Slow Food anche nelle sue manifestazioni più istituzionali.