Alla ricerca della pizza perfetta: l’introduzione in esclusiva

In anteprima ed esclusiva, pubblichiamo l'introduzione di "Alla ricerca della pizza perfetta", in uscita oggi, 18 novembre.

Alla ricerca della pizza perfetta: l’introduzione in esclusiva

È in libreria “Alla ricerca della pizza perfetta. Un viaggio sentimentale” (66thand2nd), scritto da Dario De Marco, giornalista culturale-gastronomico e nostro collaboratore. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto dell’introduzione.

Alla ricerca della pizza perfetta

«Gianni aveva scosso la testa e mi aveva ammonito: “Stai attento a questo tipo”. “Perché? Che problema ha? È siciliano?” gli domandai scherzando. “Peggio” disse Gianni. “Questo è di Napoli”».
(Anthony Bourdain, Kitchen Confidential)

Io sono napoletano, e in quanto napoletano ne capisco di pizza. No, che dico, sono esperto di pizza, sono praticamente il solo autorizzato a parlarne. È un fatto istintivo, innato: il latte in polvere che bevevo da neonato era diluito con l’acqua che rende l’impasto fatto a Napoli unico, sono stato svezzato con una mozzarella di bufala aversana, sono cresciuto mangiando pomodoro crudo direttamente dalla lattina, sono diventato grande a furia di allungarmi per guardare il pizzaiolo dietro al bancone stendere le palline e farle volare in aria come un Maradona in incognito. E ovviamente, a furia di mangiare margherite. Perché la pizza, la vera pizza, è solo ed esclusivamente quella: la margherita. Al massimo, ammetto l’ancora più basica marinara. Un’acciughina? Non scherziamo. E poi, si chiama alice. 

Se, caro lettore, leggendo queste righe hai alzato gli occhi al cielo, non ti posso dire altro che questo: hai ragione. Ovviamente. Quello del napoletano giudice supremo della pizza per diritto di nascita è uno stereotipo. Ma non è forse anche un complimento? Mica tanto, perché dietro il complimento c’è sempre la fregatura: hai la pizza nel sangue, non vorrai mica laurearti in Ingegneria informatica? Ci voleva il genio di Massimo Troisi per dire che noi napoletani mangiamo pure gli gnocchi e la polenta (no scherzo, la polenta no), e suoniamo anche il sintetizzatore oltre al mandolino, ma ne è passato di tempo, a Troisi ormai chi ci pensa più… La pizza invece sta ancora qua, presto mangiala che si fa fredda.

Detto questo, ecco a voi un libro sulla pizza. Scritto da un napoletano. Ora: se io di pizza qualcosa ne so, non è perché sono nato a Napoli, bensì per tutta una serie di circostanze abbastanza casuali, quando non assurde, che mi hanno portato a conoscere questo cibo, e questo mondo, da fuori e da dentro. Però voglio essere onesto e dirvi subito cosa questo libro non è.

Non è una guida alle migliori pizzerie d’Italia o di Napoli, anche se qualche indirizzo e qualche consiglio c’è. Non è una serie di interviste ai pizzaioli più bravi e famosi, anche se qualche personaggio compare. Non è un saggio storico sulle origini della pizza, cento o mille o diecimila anni fa, né una cronaca degli ultimi dieci anni, che hanno rivoluzionato il concetto stesso di pizza, anche se si parlerà di passato, remoto e recente. Non è un’indagine socio-antropologica sulla pizza come piatto identitario, come campo di battaglia, come simbolo della tradizione, anche se sono discorsi interessanti e quindi ci si scivola. Non è una raccolta di ricette o un libro dove si rivelano i segreti degli impasti, anche se un po’ di lieviti e farine dovremo occuparci e qualche ricetta la darò. Non è un reportage dietro le quinte dei banconi stile Kitchen Confidential, anche se qualcosa sarò costretto a raccontare, della mia esperienza come pizzaiolo. Forse è un’autobiografia gastronomica, forse è un viaggio sentimentale, davvero. 

Pizza

La ricerca della pizza perfetta avviene su più livelli, che procedono in parallelo. È una ricerca personale, non può non esserlo. Mi seguirete andare su e giù per l’Italia, per motivi che apparentemente con il cibo non c’entrano niente, e che sono i soliti: lavoro, amore (ma poi, in effetti, non si lavora per mettere il piatto in tavola? E la più bella frase d’amore è senz’altro, come disse Elsa Morante, «hai mangiato?»). Su e giù per l’Italia – più su che giù, come potrete immaginare – senza pensare alla pizza ma forse, inconsciamente, alla ricerca della (o fuggendo dalla) pizza perfetta. È, anche, la storia di me che nel corso della vita, per lavoro o per passione, per curiosità o per caso, apprendo sempre più cose sulla pizza e il suo mondo, con crescente meraviglia e con la sensazione, ogni volta, di aver trovato la chiave di lettura definitiva. È quindi la vicenda di uno che cambia idea, più e più volte, e radicalmente: perché, questa è la verità, ci sono stati periodi in cui la pizza ha rappresentato per me una ragione di vita, un’àncora di salvezza, o semplicemente una fonte di reddito, e altri in cui la pizza mi è stata cordialmente sulle scatole, o peggio, in cui mi è stata tutto sommato indifferente.

La ricerca della pizza perfetta è, però, anche una storia oggettiva, una vicenda collettiva. Quella di decine, centinaia di artigiani che a Napoli e provincia, nel resto d’Italia e nel resto del mondo, s’ingegnano ogni giorno non solo per mettere un po’ di soldi in cassa, ma anche per migliorare un pizzico il prodotto. Un prodotto fatto con ingredienti semplici e con una procedura tutto sommato lineare ma – e parleremo anche di questo – molto difficile da standardizzare, da tenere sotto controllo e prevedere. Quasi impossibile farla uguale a com’è venuta ieri: e allora, tanto vale cercare di farla meglio di ieri. Artigiani che a un certo punto, in maniera indipendente ma come guidati da uno spirito invisibile, hanno iniziato a cambiare tutto nella pizza: dagli ingredienti agli impasti, dal servizio al concetto stesso, all’ideale platonico di pizza.

È una ricerca geografica, perché tante sono le tradizioni, anche molto recenti ma molto radicate, che caratterizzano la pizza. Un solo esempio: quando ero piccolo c’era il mito della pizza a metro di Sorrento: bastava spostarsi di qualche chilometro – per un purista napoletanocentrico della pizza, la penisola sorrentina è praticamente Marte – e si trovava tutto un altro stile di pizza. Non tonda ma allungata, non sottilissima ma un po’ più alta, non personale ma da condividere, non limitata alla sacra dicotomia marinara/margherita ma con ingredienti vari e sfiziosi. Bene: uno pensa, o almeno io pensavo, che una pizza così diversa e così tipica da essere geograficamente caratterizzata, e denominata, fosse chissà quanto antica. Ma quando mai: ho poi scoperto che era una cosa nata proprio da poco, negli anni Settanta/Ottanta. E non diffusa, non spontanea e popolare, ma una vera invenzione, opera di uno specifico pizzaiolo, che però aveva avuto l’intuizione di non legarla al suo nome ma alla zona. Un classico caso di invenzione della tradizione, anche su questo torneremo più volte.

È una ricerca storica, perché la pizza ha una storia, recente e ben ricostruibile: anche se si tende a confonderla con le leggende, parliamo di fatti accaduti pochi decenni o secoli fa, niente di perduto nella notte dei tempi. Ma la pizza ha anche una preistoria, vecchia quanto l’uomo, o almeno quanto quella scoperta umana così epocale da meritarsi il nome di rivoluzione: la nascita dell’agricoltura. E infine c’è la storia contemporanea, che si confonde con la cronaca ma è già in qualche modo cristallizzata, definibile: quello che è successo negli ultimi due decenni alla pizza rappresenta un’accelerazione improvvisa, che però ha i caratteri del paradigm change, non della fiammata temporanea.

Questi sono gli elementi in gioco. Nel libro li mescolo, proprio come si fa con gli ingredienti di una ricetta. E infatti il libro che state per leggere è composto da quattro parti, ognuna intitolata a uno dei quattro ingredienti che entrano nell’impasto della pizza: acqua, sale, lievito, farina. In ognuna parlerò di quell’ingrediente, ma lo userò anche come pretesto per parlare, in parallelo, di una fase della mia vita, di un periodo della storia della pizza, di uno stile o tipologia di pizza. A chiudere ogni parte, una ricetta – visto che la pandemia ci ha trasformati da popolo di amanti della pizza a popolo di pizzaioli.

Pizza

Nella prima parte, dedicata all’acqua, leggerete di miti delle origini e leggende metropolitane: perché l’acqua è il fondamento originario e l’elemento indispensabile della vita; perché l’acqua è l’ingrediente di partenza nella pizza napoletana – il primo che entra nella contenitore dell’impasto, e quello su cui si calcolano i pesi degli altri ingredienti – e anche il millantato segreto della sua bontà. Racconterò della mia infanzia e della mia gioventù a Napoli, con qualche esoticissima escursione in Costiera amalfitana o in Cilento: quell’epoca d’oro, quell’età dell’innocenza in cui vivere nel posto più bello del mondo e mangiare la pizza più buona dell’universo non sono considerati dei doni, ma dei dati di fatto. Parlerò poi, coerentemente, della pizza napoletana: delle sue caratteristiche, delle sue origini, delle pizzerie storiche e di quelle che hanno rappresentato un must in epoca recente. Alla fine, un vero e proprio cimento, che rientra nella categoria degli impossibilia: la ricetta della pizza napoletana, versione casalinga.

Nella seconda parte, il cui titolo richiama il sale, mi seguirete salire verso nord, e ingoiare l’amaro boccone dell’emigrazione. Nessuna metafora fuori luogo, non sono partito con la valigia di cartone, non è stato uno spostamento dettato dalla necessità di sopravvivere – come per tanti in epoche passate, o anche recenti – ma una scelta tutto sommato libera. E però non priva di sofferenza e disagi: il lato alimentare è stato uno di quelli che si è fatto sentire di più, e non parlo solo della pizza. Ottima occasione, per allargare il discorso e parlare dei vari stili di pizza italiani, non-napoletani: ebbene sì, esistono e non sono degli errori, non si tratta di gente che non ce la fa a fare una pizza come si deve, ma proprio delle differenze volute. Strettamente connesso a questo balzo geografico, si inserisce un salto all’indietro: nella preistoria della pizza, nelle controversie sulle origini, nelle rivendicazioni che praticamente ogni cultura e popolo della Terra ha fatto a proposito della nascita della pizza. E anche sulla questione, collegata ma forse no, del termine «pizza». In chiusura, il Centro Italia: la ricetta della pizza alla romana.

Nella terza parte si parla di lievito, l’ingrediente vivo, l’ingrediente magico. La lievitazione è crescita, aumento di volume, di quantità; la lievitazione è maturazione, attesa, pazienza, sviluppo di nuovi sapori, aumento di qualità; la lievitazione è fermentazione, lavorio invisibile di microrganismi; la lievitazione è mutamento, trasformazione alchemica, cambio sorprendente. Crescita, maturità, fermento interiore, cambiamento: è quello che è successo a me, che alla soglia dei quarant’anni ho fatto una spettacolare inversione a U e, da intellettuale col calzino bucato che ero, sono diventato panettiere e pizzaiolo (ma sempre col calzino bucato). È quello che è successo alle pizzerie, ai pizzaioli, alla pizza: che è diventata gourmet, innovativa, di ricerca. Una ricerca che è partita proprio dalle lievitazioni, dagli impasti, per poi estendersi ai metodi di cottura e ai condimenti, pardon ai topping. Alla fine, un’ipotesi di ricetta di pizza gourmet.

Nella quarta e ultima parte l’elemento portante è la farina: dovrebbe essere il punto di partenza, ma è anche il punto di arrivo di un viaggio durato diecimila anni. Da una molteplicità di cereali e pseudo cereali, un’infinità di varietà locali, di sfarinati, di utilizzi; al dominio della farina 00 di grano tenero che ha caratterizzato gli ultimi decenni, dal dopoguerra in poi diciamo; fino alle riscoperte recenti, non prive di fanatismi e complottismi. Che tipo di farina? Se aveste fatto questa domanda solo qualche anno addietro, chiunque vi avrebbe risposto: ma in che senso? La farina è farina. E analogamente se aveste domandato: che tipo di pizza? La pizza è pizza, così si usava dire. Parlando di farina e della nuova consapevolezza che la circonda, parleremo anche della pizza contemporanea e della consapevolezza che la circonda: un mondo ancora in ribollente evoluzione eppure che ha assorbito e metabolizzato le novità. La pizza gourmet non è più la scandalosa provocazione di un tempo, ma non è stata obliata, anzi è diventata uno standard, una tra le possibilità. Tanto che ora non si parla neanche più di pizza gourmet ma di pizza a degustazione, e d’altro canto di pizza contemporanea.

Alla fine della ricerca – ma finisce mai, una simile ricerca? – non lo so se l’ho trovata, la pizza perfetta. Così come non so se ho trovato una mia strada, nella vita: sono ancora un pizzaiolo con l’hobby della scrittura? O di nuovo un giornalista che la domenica si mette a impastare? Forse entrambe le cose: le ho messe insieme come vedete, scrivo ancora, ma di pizza. Non so se ho sfornato il libro perfetto, spero almeno in un prodotto comprensibile – commestibile. Ma questo me lo direte voi. Alla fine però, dopo aver assaggiato.