Una posizione su Gaza e un’altra, ribadita a chiare lettere, sui formaggi a latte crudo. E se ci pare ridondante o finanche prevedibile che il fondatore di Slow Food abbia aperto Cheese 2025 esponendosi sui due temi caldi quanto annosi, allora bisogna fare i conti con una generalizzata omertà. E poi ascoltarlo, le parole di Carlin Petrini. “Noi non siamo fuori dal mondo, siamo dentro al mondo e vediamo come, da tempo, la fame e la malnutrizione siano usate come arma di guerra. Siamo in presenza di qualcosa di mai visto, dove si uccide con determinazione la povera gente e i bambini. Ecco perché non possiamo e non dobbiamo stare in silenzio: quello del governo israeliano è un atteggiamento criminale intollerabile. A chi dice che questo non c’entra coi formaggi rispondo che c’entra eccome, perché Cheese è un luogo di pace, confronto e di dialogo, che unisce persone da tutto il mondo“.
D’altronde Petrini è un filantropo, e non certo una celebrità della cucina. Per quanto, e questa è l’occasione per ribadirlo, il silenzio dei cuochi italiani più influenti sia alla stregua di quello perpetrato da tante star cui si chiede una dichiarazione pubblica. Quanto all’interconnessione tra cibo e politica, che certo ha fatto la cifra di Slow Food e ieri, a Bra, è stata ribadita, non la si sottovaluti quando si entra nel merito del formaggio a latte crudo, protagonista della biennale in corso nella città piemontese e da mesi al centro di un annoso dibattito. I recenti casi di SEU, sindrome emolitico-euremica, in bambini piccoli sottoposti alla somministrazione di formaggi a latte crudo, hanno influenzato negativamente l’opinione pubblica sulla sua produzione, seppur vincolata da rigide norme. Si arriva a proporne il divieto, immaginando quindi di imporre la pastorizzazione del latte su tutti i formaggi commercializzati, creando così una netta opposizione tra sicurezza alimentare e biodiversità.
Formaggi a latte crudo: più educazione alimentare, meno paura
Una dicotomia spiacevole, che non dovrebbe proprio esistere, laddove le norme europee sulla produzione – rigide, beninteso – vengano rispettate, i controlli effettuati e, così come avviene con l’uovo crudo, si ponga attenzione a ciò che viene somministrato ai soggetti fragili. Così abbiamo scritto, sui Dissapore, negli scorsi mesi, fino ad arrivare al logico quanto tranchant paragone: quanti cibi dovremmo mettere al bando se seguissimo la logica di chi vuole vietare i formaggi a latte crudo?. Siamo di conseguenza stati accusati di fare disinformazione, e non da persone magari poco informate tra i commenti social, ma da Roberto Burioni. Per lui il formaggio a latte crudo andrebbe vietato, punto. La complessità si risolve con Pasteur.
È quindi un sollievo ritrovarci nelle parole appena pronunciate da Petrini, non tanto per noi ma per il pubblico dibattito: “Lo stesso batterio che aggredisce il formaggio a latte crudo aggredisce la carne cruda, e immaginatevi se dovessi girare per le Langhe e il Roero a far mettere le etichette sui piatti, ma anche la verdura cruda e i pesci crudi. La stessa attenzione va portata a tutti i livelli e mai come in questo momento è importante una corretta educazione alimentare. Non si può andare solo avanti per decreti: passiamo da una obbligazione all’altra e invece i consumatori, oltreché i produttori devono avere piena coscienza“. Il ragionamento si conclude con il sostegno alle comunità interne e rurali rappresentato dai formaggi a latte crudo, in netta opposizione all’industria agroalimentare. Che non è e no può essere nemmeno nel nostro immaginario (questo lo aggiungiamo noi) l’unica a detenere il certificato di “cibo sicuro”.