Chi sale e chi scende nella DOP Economy: i cibi e i vini italiani che vendono di più

Prosciutto di Parma, Mortadella di Bologna, Asiago, Barolo: molti grandi nomi registrano perdite importanti, anche se il settore è in decisa crescita.

Chi sale e chi scende nella DOP Economy: i cibi e i vini italiani che vendono di più

La Dop Economy Italiana nel 2024 ha conseguito risultati di produzione ed export senza precedenti, superando la soglia dei 20,7 miliardi di euro di valore alla produzione (segnando un +3,5% rispetto al 2023) e toccando i 12,3 miliardi di euro di esportazioni (+8,2%), ma non mancano performance negative da parte di prodotti che si penserebbero intoccabili, così come alcune criticità che potrebbero minare la stabilità nel mercato nell’immediato futuro.

A rivelarlo è l’annuale Rapporto Ismea-Qualivita, arrivato nel 2025 alla sua ventitreesima edizione, raccontando di un settore alimentare che traina la crescita con un +7,7%, e che a livello di filiera produttiva, offre dati in chiaroscuro, con un’occupazione in crescita (+1,6%, raggiungendo 864.441 occupati), ma con un numero complessivo degli operatori diminuito del -5,6% sul 2023, in particolare nel settore vitivinicolo (-9,3% di operatori e -0,6% di occupati).

Grandi denominazioni del vino e del formaggio perdono di valore

asiago

Nel dettaglio dei comparti, la stabilità complessiva nasconde flessioni significative in prodotti decisamente di alto profilo. Nel settore cibo, i prodotti a base di carne hanno registrato un valore alla produzione quasi stabile (-0,9%), influenzato in modo particolare dal forte calo di un peso massimo come il Prosciutto di Parma DOP, che ha perso il -9,5% in valore nel 2024 (scendendo a 860 milioni di euro). Anche nel comparto dei formaggi, che pure è cresciuto del +10,5% complessivo, a perdere colpi sono il Pecorino Romano DOP (-12,8% di valore) e l’Asiago DOP (-2,8%).

Situazione molto simile a quella del comparto vitivinicolo, che si mantiene stabile in valore alla produzione (+0,1%), ma vede una variegata compagine di denominazioni subire cali a doppia cifra. I ribassi più marcati sono stati registrati dal Lugana DOP (-21,6%), dal Valpolicella Ripasso DOP (-18,6%) e dal Conegliano Valdobbiadene – Prosecco DOP (-17,3%).

Nuove regole per DOP e IGP: i Consorzi sempre più potenti Nuove regole per DOP e IGP: i Consorzi sempre più potenti

Il segno meno, pur con valori meno impattanti, non ha risparmiato anche grandi nomi dell’enologia come Barolo DOP (-2,7%), Brunello di Montalcino DOP (-2,4%) e Asti DOP (-2,9%) hanno chiuso l’anno in negativo in termini di valore alla produzione sfuso.

A livello di consumo interno (GDO), nei primi nove mesi del 2025 si è registrata una flessione nelle vendite in valore dei prodotti a base di carne DOP IGP (-1,0%), in parte dovuta ai cali della Mortadella Bologna IGP (-9,2%) e del Prosciutto di Parma DOP (-0,8%). Si evidenzia inoltre la debole performance di oli e grassi, con gli Oli Extravergine DOP e IGP che hanno visto un calo del -12,9% del valore delle vendite nella GDO nei primi nove mesi del 2025.

I prodotti a Indicazione Geografica in crescita

olio d'oliva

Se alcuni marchi altisonanti del nostro agroalimentare sono in sofferenza, c’è un ampio paniere di prodotti che registra crescite importanti.  Il record positivo del 2024 è stato dell’olio d’oliva Terra di Bari DOP, con un aumento eccezionale del +89,3%, raggiungendo i 77 milioni di euro di valore alla produzione. Tra i formaggi più  celebri, il Grana Padano DOP ha visto un incremento del +23,3% (arrivando a 2.185 milioni di euro), seguito dal Parmigiano Reggiano DOP con il +10,1%.

Altri prodotti alimentari in forte crescita includono la Mela Alto Adige IGP (+12,9%) e la Pasta di Gragnano IGP (+11,0%), che ha superato per la prima volta i 300 milioni di euro di valore. Nel settore vinicolo, l’indicazione Puglia IGP ha registrato un notevole aumento del +19,6%, cos come il Delle Venezie DOP, che è cresciuto del +9,0%.

Le Indicazioni geografiche (IGP e DOP) che vendono di più

dop e igp vendita

Al netto di chi sale e chi scende, i big restano quelli che potete immaginare. Il Grana Padano domina il mercato, seguito da Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Mozzarella di Bufala Campana e Gorgonzola. Seguono San Daniele, Aceto Balsamico di Modena, Mortadella Bologna, Pecorino Romano e Pasta di Gragnano, in top ten.

Le criticità evidenziate per le DOP italiane

Donald Trump

Le vere incognite per la Dop economy risiedono nelle sfide sistemiche: quella più pressante è sicuramente la situazione geopolitica, vedi i dazi dell’amministrazione Trump, che hanno indotto il 48% dei Consorzi intervistati a segnalare una riduzione delle esportazioni verso gli Stati Uniti, spesso il principale mercato di destinazione. Nel 20% dei casi, l’aumento dei prezzi dovuto ai dazi grava principalmente sui produttori italiani. Questa incertezza costringe la maggioranza dei Consorzi (61%) ad avviare strategie di diversificazione verso mercati alternativi, in particolare il Sud-Est asiatico e la Cina (27% dei Consorzi).

Più che del cibo che importiamo, forse dovremmo preoccuparci dei nostri Dop e IGP Più che del cibo che importiamo, forse dovremmo preoccuparci dei nostri Dop e IGP

Un’altra criticità fondamentale è lo scostamento tra la crescita in volume dei prodotti a indicazione geografica (+26% di produzione certificata tra il 2010 e il 2024) e la contemporanea contrazione della cosiddetta “Fattoria Italia” (la produzione agricola di base nazionale), che nello stesso periodo è scesa da circa 80 a 60 milioni di tonnellate. Questo arretramento dell’agricoltura di base impone una riflessione seria sulla futura disponibilità di materia prima nazionale e sul mantenimento di un corretto equilibrio di filiera.

Infine, il Rapporto sottolinea la mancata piena valorizzazione di un settore cruciale: l’ortofrutta. Sebbene l’Italia vanti 128 denominazioni certificate in questo comparto, esse contribuiscono solo per il 4,1% al valore totale del cibo IG. Non solo, l’entrata in vigore dal 2026 del regolamento sulle IG artigianali e industriali, che utilizzerà lo stesso logo “IGP” senza prevedere una certificazione obbligatoria di terze parti, rischia di generare confusione per il consumatore e minare la fiducia nel sistema di qualità.