Come si conserva il tartufo, come si serve

Come si conserva il tartufo e come si serve il prezioso ingrediente della terra. Consigli, metodi, accortezze.

Come si conserva il tartufo, come si serve

Prima di parlare di conservazione del tartufo, diciamo subito che il tartufo non andrebbe conservato, ma mangiato fresco. Per tutti i consigli, le dritte e le modalità più intelligenti e riuscite di conservare il tartufo nel breve lasso di tempo che ci separa dalla sua degustazione, abbiamo sentito Giorgia Cappella, selezionatrice di tartufi per chef e ristoranti, che ci ha raccontato minuziosamente come comportarsi di fronte al fungo più incredibile della terra.

La durata del tartufo nel tempo

Come conservare il tartufo

Ribadiamo fino alla noia che la cosa migliore se si acquista tartufo fresco sarebbe quella di consumarlo nell’arco di uno o due giorni, se non subito. Poi la durata nel tartufo nel tempo, ancora una volta, varia a seconda delle tipologie. Il tartufo bianco si può conservare in frigo all’incirca per sette giorni, a differenza del nero che può durare abbondanti dieci giorni.

Rischi di una conservazione troppo prolungata

Attenzione che sulla durata bisogna conteggiare non il giorno d’acquisto ma quello di cavatura. Il cliente ha pienamente diritto di richiedere quello esatto, oppure è il selezionatore o la selezionatrice stessa a consegnare questa informazione nelle mani del cliente al momento dell’acquisto, come fa appunto Giorgia. In generale però mangiare un tartufo ben oltre la sua ideale “data di scadenza” non provoca chissà quale danno alla nostra salute, come succede più spesso nel mondo dei funghi. Può capitare che il tartufo sia ammuffito, ma si vede a occhio nudo e speriamo che a nessuno venga in mente di servirlo. Può capitare semplicemente che abbia perso tutte le sue proprietà organolettiche. In poche parole? Non saprà di nulla. O per assurdo, nel caso dello scorzone, col tempo può acquisire un sapore troppo forte e poco piacevole.

Il tartufo bianco va tenuto sott’occhio con qualche premura in più. Questo dipende dalla sua conformazione: avendo una scorza esterna molto liscia tende infatti ad inumidirsi di più. Il trucchetto per vedere come sta il tartufo è quello di toccarlo: se è turgido, tosto sotto le mani, è ancora in buone condizioni. Se invece è mollo, troppo mollo, è possibile che sia andato.

Tutti i tartufi vanno conservati in frigo

C’è anche chi li congela, bisogna dirlo per completezza di informazione. Anche se questo succede, speriamo, in casi rari, in particolare con il tartufo scorzone e per coprire periodi in cui non c’è tartufo durante l’anno. In ogni caso Giorgia ci sconsiglia vivamente di seguire queste pratiche, tantomeno di affidarci a ristoranti che le avvallano. È una modalità decisamente poco qualitativa e in contrasto con la filosofia stessa del tartufo. Ma è bene si sappia che esistono aziende che trattano il gelo e che spesso questo incide sul prezzo, facendolo scendere verso il basso.

Come si conservano i tartufi

In frigo il tartufo dovrà aspettare di essere servito in un barattolo a chiusura ermetica o di vetro o di plastica. Per una cura davvero certosina del prodotto, ogni pepita di tartufo andrebbe avvolta in un foglio di carta assorbente da cucina, andrebbero messi uno o due fogli sul fondo del barattolo, infine un foglio sotto il coperchio. Almeno una volta al giorno la carta va cambiata. Tutta questa procedura serve ad assorbire l’umidità che il tartufo crea all’interno del barattolo, data proprio dalla sua particolare natura di fungo ipogeo.

Il tartufo non deve stare a contatto con la carta bagnata, altrimenti può deteriorarsi o ammuffire. Per questo bisogna controllare che la carta sia sempre asciutta e cambiarla con costanza. Riepilogando: ogni giorno abbiate l’accortezza di tirare fuori il tartufo dal frigo, togliete la carta, asciugate il barattolo da gocce di umidità, riavvolgetelo in carta nuova e rimettetelo in frigo. Nel caso del tartufo bianco e del tartufo nero pregiato, trattandosi di tartufi umidi, un cambio in più non può di certo nuocere.

Pratiche sbagliate nella conservazione del tartufo

Conservare il tartufo nel riso

Tra le pratiche più diffuse ma scorrette Giorgia ci segnala quella di conservare il tartufo nel riso, ovvero riempire il barattolo di riso, mettere il tartufo, chiudere il barattolo e conservarlo in frigo. Se è vero infatti che il riso assorbe in modo potente l’umidità, è vero anche che assorbe allo stesso modo l’aroma del tartufo. C’è poi un’altra abitudine che, secondo la nostra selezionatrice, ha preso inspiegabilmente piega tra gli chef. Ovvero la pratica del barattolo con la carta come l’abbiamo descritta, ma con la carta bagnata al posto di quella asciutta. Oppure con un panno umido. Sconsigliato, anzi no, vietato.

La terra del tartufo: nemico o alleato?

Parliamo poi di terra e tartufo. Come sappiamo i tartufi vengono estratti dalla terra e con la terra. Al momento della vendita, la presenza di molta terra può essere fuorviante e incidere sul peso, quindi sul prezzo che andremo a pagare. Al contrario la presenza di un leggero strato di terra può essere estremamente utile, perché aiuta la conservazione del prodotto. Nel caso dei ristoranti ad esempio, che comprano partite da più pepite di tartufo, è abitudine pulire prima del servizio una piccola quantità di tartufo, quella che presumibilmente vorranno i clienti di quella cena o di quel pranzo. Lasciando i restanti con un sottile strato di terra addosso fino al prossimo utilizzo.

Come pulire il tartufo

Per la pulizia del tartufo bianco, si consiglia di utilizzare una spazzola con le setole morbide. Avendo un peridio molto liscio infatti, il rischio è quello di strappare e spellare la parte esterna del tartufo. Prima di spazzolare il tartufo, le setole vanno inumidite leggermente, si procede poi a strofinare con delicatezza: nel caso della terra del tartufo bianco ci vorrà ben poco perché venga via. Mai, assolutamente mai, metterlo sotto l’acqua.

Per la pulizia del tartufo nero, dipende invece dalla tipologia di nero. La terra del nero pregiato è molto fangosa, persistente e difficile da togliere. Per lavarla via servono delle setole un po’ più rigide e una spazzolatura più invasiva. Lo scorzone invece crescendo in terreni meno umidi e più argillosi si pulisce con la massima facilità. In ogni caso dopo la pulizia, il tartufo si passa in uno straccio asciutto, si tampona, si affetta e si serve.

Il taglio del tartufo e lo spessore

Infine parliamo di taglio. Il tartufo bianco va tagliato molto sottile, deve essere come un petalo che si posa sulla lingua. Con il tartufo nero, volendo, si può giocare con la croccantezza e prevedere uno spessore leggermente più alto. Lo spessore dell’affettatura in ogni caso dipende moltissimo dal risultato finale che si vuole imprimere al piatto.

L’affetta tartufi

Per l’affettatura è consigliabile utilizzare un’affetta tartufi con una lama professionale liscia e non ondulata. Per il materiale sì al legno, ni all’acciaio, soprattutto nel caso del bianco, perché crea un effetto ventosa che non faciliterà la creazione di fette tutte uguali. Il risotto è l’unico caso in cui si potrebbe ammettere di non lamellare il tartufo ma di grattugiarlo, perché amalgamandolo il prezioso ingrediente sarà distribuito più equamente in ogni parte del piatto. La grattugia chiaramente impedisce anche di godere della parte estetica del tartufo, di ammirarne e riconoscerne le venature della gleba, per questo ne scoraggiamo l’utilizzo. Ultimo consiglio? State sempre attenti ai polpastrelli.