Sono partita per le vacanze in Spagna del Sud, qualche anno fa, con quell’atteggiamento naif che hanno gli Americani a Roma, che cercano pomodori succulenti e aranci che a casa loro non è dato gustare. Anche io mi immaginavo a caccia di ortaggi insaporiti dal sole, ma il mio feuilletton si è bruscamente interrotto: nei villaggi della Spagna del Sud, e per la precisione nelle regioni di Almeria e Andalusia, io non ho visto un fruttivendolo che sia uno. Se vuoi acquistare frutta e verdura vai al supermercato.
Presente le zucchine di dicembre della GDO, o quei peperoni piccoli, nelle retine di plastica rossa, che campeggiano sotto i cartelli del primo prezzo al supermercato? L’origine è quasi sempre la Spagna, vi siete mai chiesti come mai?
Perché a partire dagli anni Settanta, quando una serie di alluvioni spazzò via gran parte delle colture nell’Almería, una regione povera, che si reggeva sulla produzione agricola. Con la necessità di ristabilire le coltivazione, venne l’idea di proteggerle con dei teli di plastica sorretti da palizzate: erano nati gli invernaderos. Non immaginatevi le serre a volta che si vedono di tanto in tanto nel nostro territorio, stiamo parlando di tende lunghe km, visibili dal satellite, sotto le quali crescono intere mono colture anche di arbusti e sotto le quali possono muoversi le macchine agricole. L’idea all’inizio sembrò geniale, garantiva una notevole produzione e rese quella terra molto più ricca di prima.
Il risultato però, inutile dirlo, sono pomodori acquosi, zucchine che appassiscono appena le si tiene all’aria, peperoni insapori. Quest’anno ho visitato le Canarie, altro territorio in cui l’economia degli invernaderos va per la maggiore. Anche qui nemmeno l’ombra di un fruttivendolo, in compenso al supermercato si ha la vertigine del destagionalizzato: in una settimana ho mangiato cavolfiori e broccoli, cappucci perfettamente tondi e lamponi, indivia belga e fagiolini, gli ineffabili cuori di lattuga nel cellophane e poi frutta tropicale e mele. Il tutto molto economico, molto insapore e nemmeno così bello da vedere.
I dati sugli invernaderos
Nel 2020 la superficie dedicata a queste coltivazioni ammontava a 65.000 ettari di territorio spagnolo, con una concentrazione impressionante: il 72% si trova in Andalusia e, di questi, circa la metà è localizzata nella sola provincia di Almería (dati Maldita.es).
Queste serre sono una macchina economica potentissima: nel 2021 le serre hanno contribuito per oltre un terzo alla produzione totale di ortaggi del Paese. Il motivo per cui si sceglie la coltivazione in serra è perché la resa è altissima: i peperoni, ad esempio, arrivano a 80,7 tonnellate per ettaro contro le 36 del campo aperto, mentre le fragole possono essere fino a tre volte più produttive. Le aziende agricole che decidono di investire negli invernaderos guadagnano tre volte rispetto a quelle che non lo fanno. Chiaramente, queste potenzialità economiche attraggono anche nuove generazioni di agricoltori: uno su tre ha una formazione agraria specifica.
Ma non è una questione che riguarda solo un Paese, infatti le province di Almeria e Granada immettono sul mercato europeo 4,5 milioni di tonnellate di ortaggi, per lo più dirette a Germania, Francia, Regno Unito e Paesi Bassi (dati FoodRetail).
Le conseguenze ambientali
Dire che il costo ambientale è altissimo suona quasi eufemistico, bisogna passarci in mezzo in macchina, per ore, senza vedere altro che cellophane bianco, per rendersi conto della portata del fenomeno.
Le serre in plastica hanno trasformato il paesaggio di intere province in un deserto artificiale, dove la biodiversità originaria è stata cancellata a favore di monocolture intensive. La plastica utilizzata per coprire le strutture — milioni di metri quadri ogni anno — viene abbandonata sul posto quando il terreno è stato così spremuto da non riuscire ad essere più produttivo, e le già orribili serre, diventano lacerti cimiteriali di pali spezzati, teli sfrangiati al vento e vegetazione lasciata seccare al sole impietoso. I coltivatori semplicemente si spostano altrove, costruendo altre serre.
L’agricoltura in serra inoltre consuma enormi quantità di acqua in regioni già aride come l’Andalusia, aggravando la desertificazione e mettendo sotto pressione le falde acquifere. A ciò si aggiunge l’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi, che contaminano i terreni e si riversano nei corsi d’acqua circostanti. Anche l’effetto “isola di calore” generato dall’enorme superficie riflettente delle coperture ha un impatto sul microclima locale, alterando gli equilibri naturali.
La prossima volta che al supermercato comprate le zucchine a dicembre, pensateci.