Donne che fanno il pane: come non amare questa new wave

Donne che fanno il pane: come non amare questa new wave

Donne capaci di imporsi ai media con la loro arte di fare il pane, rendendosi protagoniste della retro-innovazione artigianale che, spesso, conosciamo solo per via degli uomini. Ecco chi sono le prime donne di questa amabile new wave.

State per iniziare a leggere di una rivoluzione in atto, piccola ma significativa. Allontanate da voi gli altri pensieri per concentrarvi su Le Polveri, il magico mondo di Aurora, un micro panificio aperto nel 2017 a Milano –zona Sant’Ambrogio– da Aurora Zancanaro. Tra i nostri preferiti a Milano.

L’ardimentosa 32enne di Treviso, laureata in chimica a Venezia, impasta 30 chili di pane in grande pezzatura ogni pomeriggio, lo lascia riposare e sforna il mattino dopo. Domenica compresa.

Il quartiere si è subito innamorato: del pan brioche più bello di Milano, dei dolcetti da forno (cardamon bun danesi su tutti), delle garnarole di farro, oltre al pane sempre caldo e alla pizza alla pala.

Provate quando vi resta comodo. Aurora, che fa tutto da sola, interromperà l’impasto del pane per allungarvi una baguette mentre i biscotti cuociono in forno, facendo tap sull’iPad che usa come cassa al momento del conto.

Una generazione di coetanei si muove nella stessa direzione di Aurora. Niente di così rivoluzionario come vi avevamo promesso, finché sono uomini come i breeders di Forno Brisa a Bologna o Michele Dogati di Slow Bread Lab a Milano. Perché quello del pane è un mestiere assai faticoso, raramente fatto da donne.

Bene, non avete appena letto un stinto cliché superato dagli eventi, ma poco ci manca. Un manipolo di donne stanno mostrando al mondo di poter padroneggiare anche questo mestiere, mica solo torte e cake design.

Ci sono fissati disposti a spostarsi da ogni parte del pianeta per provare il pane sfornato da De Superette a Gand, in Belgio, che l’alchimista Sarah Lemke conduce insieme a una brigata di fornaie battagliere (avete capito bene: solo ragazze).

Anche da Hart’s Bakery a Bristol, nel Regno Unito, altra icona internazionale del pane che ha riconquistato sapori, profumi e identità, la squadra della grintosa Laura Hart è composta quasi del tutto da ragazze.

Un mestiere che, probabilmente, è diventato più attraente per le donne con il moltiplicarsi dei piccoli panifici artigianali, che con i loro ritmi rallentati permettono di evitare i turni notturni.

Tendenza confermata anche da Chad Robertson, proprietario di Tartine Bakery, marchio globale nato come panificio indie a San Francisco, oggi con otto negozi in tutto il mondo.

La metà del team che lo “Steve Jobs delle farine” impiega nella produzione del pane è di sesso femminile. Secondo il suo parere –che qualcosa nell’ambiente conterà– sono tutte incredibilmente talentuose, con capacità di leadership superiori a quelle dei colleghi uomini.

Anche Bridget Hugo di Bread a Londra e Carol Choi di Mirabelle a Copenaghen sono protagoniste di questa rivoluzione al contrario, che le ha imposte ai media europei per un modello di forno non tradizionale.

Non si sono fatte fermare dalla fisicità del lavoro. Trasportare sacchi di farina da 25 kg. o spingere impasti dentro i forni roventi alle 5 del mattino è faticoso, non è un mistero, ma una donna che trova la sua vocazione è in grado di superare queste difficoltà.

Anzi, la rinnovata attenzione per il pane vero, la lievitazione naturale e le farine macinate a pietra esalta questa nuova generazione di donne, spingendole a difendere il pane dalle lavorazioni lampo o dall’abuso del lievito di birra come se fosse la cosa più naturale del mondo.