Ogni volta che sento parlare di formaggi a latte crudo come di pericolosi delinquenti mi viene in mente il parafulmine. No non sono impazzito (non da ora almeno), ci arrivo.
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 il mondo, su impulso degli Stati Uniti, mise in atto una serie di misure eccezionali di restrizione della libertà. Ci ricordiamo spesso quelle sui voli perché sono le più durature e contemporaneamente fastidiose, ma tutto sommato accettabili (liste infinite di oggetti vietati, dai più assurdi ai più buffi: serbo ancora con tenerezza un tagliaunghie cui al varco controlli fu strappata la parte con la limetta perché aveva una forma leggermente acuminata e ricurva, che ricordava alla lontana quella di una sciabola). Ma successe ben di peggio, con provvedimenti legislativi da stato di polizia, e un’atmosfera generale di sospetto e paura che portò all’arresto senza garanzie e alla deportazione (Guantanamo, anyone?) o addirittura al linciaggio sul posto di persone colpevoli solo di avere un cognome o tratti somatici arabeggianti.
Non era la prima volta naturalmente, e non sarà l’ultima, che in momenti di pericolo reale o percepito i governi danno una stretta ai diritti: necessaria, a loro dire, per aver più sicurezza. Se vuoi dormire tranquillo devi rinunciare a qualcosa, sembra di sentirli, viceversa se pretendi più libertà devi accettare i rischi dell’insicurezza. Libertà e sicurezza sono messe in questa visione ai due opposti di un segmento, con l’unica possibilità di spostarsi un po’ più verso l’una allontanandosi dall’altra, e viceversa. Ma la verità è che quella tra libertà e sicurezza è una falsa contrapposizione. E la teoria politica ci ragiona da secoli: il primo a smontare la dicotomia fu il filosofo John Locke, per il quale non c’è un trade-off fra i due concetti, dato che in uno stato di diritto le leggi assicurano la massima libertà possibile e pertanto la massima sicurezza. Anche il nostro Piero Calamandrei scriveva che “la libertà è condizione ineliminabile della legalità”.
Questa falsa contrapposizione, che è chiaramente un inganno retorico, un dispositivo per andare a intaccare la libertà senza minimamente aumentare la sicurezza, mi è venuta in mente più volte negli ultimi mesi, che sono stati mesi di polemiche contro il latte crudo e i formaggi da esso derivati. I formaggi a latte crudo sono finiti sul banco degli imputati a inizio anno per una probabile intossicazione di un bambino che avrebbe mangiato Puzzone di Moena. Dal lato opposto c’è Slow Food che ha dedicato l’edizione di Cheese 2025 proprio ai formaggi a latte crudo e ai loro produttori, con la lezione magistrale di Carlin Petrini che ha difeso il latte crudo (e la Palestina).
Perché il formaggio a latte crudo va difeso

E ci saremmo noi che sommessamente proviamo a dire due cose in difesa dei formaggi a latte crudo. Ma con attenzione.
Non argomenteremo dicendo che tutti i bambini deceduti o gravemente colpiti da malattie che si sospetta siano state causate da formaggi a latte crudo, erano estremamente piccoli, quando l’età giusta per iniziare a mangiarli è dieci anni. Non diremo che tutto sommato sono pochi casi in molti anni, e che vale la pena assumersi un rischio minimo per un vantaggio massimo. Perché altrimenti staremmo ricadendo nella stessa retorica, se pure opposta, che contrappone libertà e sicurezza.
Ma diciamo, come abbiamo detto, che i motivi per non temere, e anzi sotto il profilo gustativo ma anche “politico”, per preferire i formaggi a latte crudo ci sono in abbondanza. E chi dice che i formaggi a latte pastorizzato sono buoni egualmente, sta probabilmente ancora in anosmia da post Covid.
Che ci sono, certo, profili di rischio per alcuni soggetti più fragili, ma che certo non sono tali da renderne necessario il divieto, né tantomeno una stretta nella legge. Perché sì, una legge per il latte crudo già c’è, come per tutto ciò che riguarda l’alimentazione e quindi la salute, ed è bella solida perché disciplina tutta la filiera dalla produzione (dove può avvenire la contaminazione) alla vendita (dove il latte crudo è segnalato in etichetta).
Diciamo poi che se mettiamo al bando il latte crudo, seguendo la stessa logica dovremmo vietare anche una serie di altri cibi che invece, per carità: la carne cruda come il sushi (che certo nessuno si sogna di dare a un neonato), l’uovo crudo della carbonara o del tiramisù, e tutti i cibi in cui è possibile trovare il terribile botulino – che purtroppo non alligna solo nei sottili fatti (male) in casa, ma anche in prodotti industriali confezionati. Il sospetto è che sia, come sempre, una questione culturale: tra alcune cose che sentiamo intoccabili, e altre che forse incominciamo a essere disposti a sacrificare. Perciò anche la risposta, la battaglia dev’essere culturale.
E a quando scritto finora, aggiungiamo infine che “chi rinuncia alla libertà essenziale per ottenere una temporanea sicurezza, non merita né libertà né sicurezza”. Lo disse Benjamin Franklin. Ecco che c’entrava il parafulmine.
PS: tornando alle restrizioni sui voli, che continueremo ad applicare in maniera meccanica e insensata per chi sa quanto, ce n’è una che mi pare particolarmente emblematica. Quella che vieta di portare sull’aereo più di 100 ml di acqua potabile. Fu introdotta in verità non dopo l’11 settembre 2001 ma dopo il 2006, quando un gruppo di sospetti terroristi fu arrestato perché indiziato di stare progettando un attentato aereo con una bomba che sarebbe stata innescata da una sostanza attivata dall’acqua. Acqua quindi che diventa da innocente, pericolosissima. Ma che poi smette di essere pericolosa una volta passati i controlli: infatti nei bar subito prima dell’imbarco possiamo comprare quanta acqua vogliamo. Quella evidentemente non è buona per innescare bombe, forse perché benedetta boh.
Ecco i formaggi a latte crudo mi ricordano tanto quelle bottigliette d’acqua i cui cimiteri affollano i varchi aeroportuali. Invece noi, come si dice, non buttiamo il bambino con l’acqua sporca. E non buttiamo neanche l’acqua pulita.