La coltivazione del radicchio rosso di Treviso vista da vicino

Partendo dai semi fino alla vendita, abbiamo cercato di capire come funziona la coltivazione e l'intera filiera dell'oro rosso

La coltivazione del radicchio rosso di Treviso vista da vicino

Questi campi di radicchio, anche a guardarli da vicino, non sembrano radicchio. Bisogna arrivare a qualche centimetro per spulciare le foglie verdi e lunghe per vedere un accenno di cuore “rosso” e riconoscere la forma centrale del cespo.

Il radicchio però è abbastanza speciale, lo è per questo territorio, ma lo è anche perché il processo di coltivazione e immissione sul mercato è complesso e delicato. Per questo anche l’Unione Europea ha voluto porre un accento su questo prodotto all’interno di una campagna specifica dal titolo “L’Europa firma i prodotti dei suoi territori”, la ragione per cui siamo qui. Dello specifico consorzio di tutela del marchio, nato per differenziare questo radicchio da altri (il nome completo è: Consorzio di Tutela del Radicchio Rosso di Treviso IGP e Variegato di Castelfranco IGP, giusto per esser chiari) confluiscono quaranta produttori diversi.

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Tra di loro ci sono anche realtà molto piccole, che dispongono di pochi ettari coltivati. Stanno cercando di andare verso un ammodernamento dei processi e un miglioramento delle strategie di sostenibilità, ma la fascia d’età prevalente è compresa tra i 50 e i 59 anni.

Il prezzo del radicchio e il suo mercato

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La maggior parte della produzione di questo prezioso ortaggio è destinato alla cosiddetta I gamma, dove risiedono i prodotti ortofrutticoli che vengono mangiati freschi e interi, anche se non vuol dire che la produzione non si snodi in molteplici passaggi. “Ne abbiamo contati sette nelle mani dei coltivatori” spiega Giorgia Tosatto dell’azienda Green Fruit, l’azienda che guida i produttori del consorzio. La destinazione del radicchio è diversificata: la maggior parte viene conferita ai grossisti che portano il prodotto direttamente sui mercati, poi ho.re.ca., GDO e vendita diretta. Il radicchio, tra tutte le verdure, è una delle poche che riesce a strappare un posizionamento di prezzo meritocratico.

La stagionalità del radicchio rosso di Treviso

radicchio di Treviso(8)Siamo abituati a pensare al radicchio come a un ortaggio invernale, anche se non è del tutto corretto. La sua stagione si prolunga per più mesi, si comincia a raccogliere già a settembre e si può protrarre fino ad aprile. Quello IGP di questo areale comprende tre fenotipi (impreciso chiamarle varietà perché vengono tutte dalla stessa pianta) radicchio rosso di Treviso, tardivo e precoce, e radicchio variegato di Castelfranco. Quest’ultimo ha un pubblico più di nicchia, dato che a occhio e croce, sembra un radicchio meno radicchio degli altri pur avendo una sua peculiare unicità.

I semi e la selezione varietale

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Alla base di tutto il radicchio che vedete oggi, c’è stato un lunghissimo processo di selezione varietale” spiega Tosatto “La particolarità è proprio questa: tra i coltivatori ci sono circa dieci produttori di seme che fanno scelta varietale anno per anno. I semi vengono poi dati ai vivai che li riproducono, ma non sono in mano alle ditte sementiere. Sono semi tradizionali che infatti prendono i nomi delle famiglie che li fanno”. Una coltivazione quindi ancora stagionale, prettamente distribuita in Italia, con semi gestiti dagli stessi produttori, ma che al tempo stesso si interroga sulla sua sostenibilità.

Trapianto, irrigazione e coltivazione

Il radicchio viene seminato o trapiantato nei mesi estivi, a seconda delle tipologie, tra luglio e agosto. Il radicchio tardivo, come indica il nome, si raccoglie più tardi rispetto agli altri fenotipi. Ma anche all’interno del radicchio tardivo, esiste una tipologia precoce e una super tardiva. È un ortaggio molto resistente, che viene trapiantato anche ad alte temperature, quando la terra è bollente. La coltivazione avviene in campo aperto: la parte che il radicchio fa in serra è solo quella della nursery del vivaio.

L’agricoltura biologica e il residuo zero

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Passato al campo, il radicchio viene irrigato e trattato. “Stiamo cercando di farlo sempre meno” dice Tosatto “e tentiamo di muoverci verso il mondo del biologico, ma con il radicchio è complicato. Siamo certificati global gap, un marchio che attesta l’utilizzo delle buone pratiche agricole, abbiamo già dei limiti per l’utilizzo di prodotti in campo. L’obiettivo a cui stiamo lavorando da 5 anni è il residuo zero. È la nostra azienda a fare sperimentazioni in campo, per poi ribaltare i risultati su tutti gli altri coltivatori”. In campo il radicchio rimane circa 90 giorni, ed è completamente verde e aperto, molto diverso dal prodotto finale, piccolo, affusolato e rosso. Il processo che determina questo risultato è l’imbianchimento: si prendono delle grandi casse di plastica dove si inseriscono 20-25 cespi di radicchio con tutta la radice, per poi immergerle in acqua di risorgiva. La caratteristica di quest’acqua è quella di mantenere la sua temperatura costante durante l’anno, sia in inverno che in estate. In quattordici giorni il radicchio subisce una specie di metamorfosi “è come se rifiorisse, rigermoglia” spiega Tosatto, che lo porta a diventare molto più simile al cibo che mangiamo.

L’imbianchimento della pianta

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La parte centrale diventa bianca e rossa per due motivazioni: essendo chiusa, è bianca perché non riceve luce e non fa la fotosintesi. Il rosso invece è dettato dal freddo. “In questi anni stiamo avendo sempre più problemi con la colorazione tipica delle foglie data dagli antociani, perché non fa abbastanza freddo” aggiunge Giorgia “Anche per questo il disciplinare dell’IGP è stato cambiato di recente: era nato con una postilla in cui si diceva che il radicchio sarebbe potuto diventare IGP solo dopo due brinate registrate in campo. Con i cambiamenti climatici non è più possibile. Il freddo che abbiamo adesso è comunque sufficiente, ma se dovessimo aspettare le brinate, dovremmo arrivare almeno a metà dicembre”.

Gli sprechi nella filiera del radicchio

Dopo l’imbianchimento, il radicchio viene “sbucciato” lavato, pesato e confezionato. “Qui ci sono una miriade di casse che sono un po’ il simbolo della nostra lotta allo spreco. Abbiamo anche vassoi di carta con il marchio della nostra azienda, che vengono buttati subito dopo il trasporto. Per questo abbiamo deciso di essere presenti in tutti i circuiti in cui le casse ci vengono riportate indietro. Una sorta di vuoto a rendere” ci spiega Giorgia. Certo poi c’è lo scarto del prodotto: dalla pianta iniziale si perde almeno la metà del volume. Sul territorio di produzione molti comprano nei mercati anche le foglie di scarto, perché costano meno e sono molto adatte ad essere cucinate. Ma è un’abitudine circoscritta. Nel mondo del radicchio, l’aspetto estetico è tutt’altro che secondario: è questione di colore, peso, lunghezza, e solo infine di gusto.

Siccità e acqua

Quest’anno la coltivazione ha incontrato diversi problemi: sia i 38° gradi che bruciavano non solo i piedi ma le piante appena trapiantate, sia la siccità, che i costi d’irrigazione. “Per quanto riguarda l’acqua, siamo fortunati: in questo territorio dormiamo sull’acqua, siamo in una zona di risorgive” spiega il direttore del Consorzio del radicchio rosso di Treviso IGP Denis SusannaQuest’anno però le falde si sono un po’ abbassate, è innegabile. Tutte le coltivazioni di radicchio sono abbastanza idrovore. Qualcuno sta pensando di sovrapporre le cassette durante l’imbianchimento, ma anche quello non è semplice. C’è poi il discorso che l’acqua viene utilizzata e poi re-immessa nel ciclo. Insomma l’acqua c’è, ma bisogna comunque razionalizzarla”.