L’olio d’oliva è in pericolo, per colpa del riscaldamento globale

La produzione di olio di oliva è sempre minore, mentre la domanda aumenta: come il clima sta mettendo in crisi l'oro del Mediterraneo, a partire dall'Italia.

L’olio d’oliva è in pericolo, per colpa del riscaldamento globale

Si dice spesso che i disastri provocati dal cambiamento climatico in certe parti del mondo non sono una minaccia relativa al futuro, ma già una tragedia presente: isole e città costiere sommerse dall’acqua, ghiacciai perenni sciolti per sempre e così via. Tutte cose lontane, tropicali o polari? Non proprio: il prossimo dramma potrebbe svolgersi nel cortile di casa nostra, nella terra dell’olio d’oliva. Anzi, è già in corso.

La crisi è confermata da una serie di studi recenti, il sempre puntuale Eater ci ha dedicato un lungo reportage che copre tutte le aree del Mediterraneo – l’internazionale dell’ulivo dalla Spagna al medioriente – ma che parte proprio dall’Italia. Anzi, dalla Calabria: regione che insieme alla Puglia produce quasi i tre quarti di tutto l’olio italiano, che a sua volta rappresenta il 17% della produzione mondiale (siamo secondi solo alla Spagna, che ne fa quasi la metà; l’intera UE copre il 69%).

L’olivo prospera nelle aree più calde delle zone temperate, lo sappiamo: inverni freddi ma raramente gelidi, estati calde ma ventilate, molto lunghe. Il riscaldamento globale, che a livello generale si esprime appunto come aumento della temperatura media della terra, si traduce però in fenomeni vari e diversi: passando dal clima al meteo, cioè al tempo che fa ogni giorno, quello che si nota è una estremizzazione dei fenomeni atmosferici. Più giorni di caldo estremo durante l’anno, precipitazioni più rare ma molto intense quando arrivano, gelate improvvise anche fuori stagione; una desertificazione progressiva sullo sfondo. Tutte cose che all’olio d’oliva non fanno per niente bene.

olive ulivi olio d'oliva

E secondo uno studio del 2020 condotto dal Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici, le zone più colpite da questi fenomeni sono proprio le aree meridionali dell’Europa, la terra dell’olivo. In Grecia le fluttuazioni atmosferiche e le ondate di calore hanno dato come risultato un raccolto con caratteristiche altrettanto estreme: molto buono a livello qualitativo, scarso a livello di quantità. In Spagna le tempeste di inizio 2021 hanno portato danni irreparabili alle coltivazioni nella zona di Madrid. In Francia il raccolto del 2019 è stato definito “catastrofico” dai coltivatori. Quasi la metà dell’isola di Cipro è a rischio desertificazione mentre la linea dell’ulivo potrebbe salire oltre il 45esimo parallelo, a nord di Milano. In generale, secondo Olive Oil Times la produzione nel 2020 è stata la peggiore degli ultimi quattro anni, con Tunisia, Italia, Portogallo e Algeria ai minimi storici.

Nel pezzo di Eater si parla di agricoltori costretti a effettuare il raccolto prestissimo, a settembre, neanche fosse una vendemmia. A volte in caso di gelate che colpiscono mezza pianta, raccogliere può non convenire economicamente, e quindi si lascia perdere l’intero albero.

L’olivo ha bisogno del freddo, se durante l’inverno non va sotto certe temperature, non produce frutti; se poi addirittura ci sono delle giornate di caldo fuori stagione, la pianta “fraintende” e inizia a fiorire, e quindi un successivo ritorno a temperature invernali può distruggere tutto. In generale poi l’olivo è una pianta che ha dei cicli, ma prevedibili: quello che il cambiamento climatico ha messo in crisi è stata proprio la possibilità di regolarsi sulle annate. Un’ultima minaccia indirettamente favorita dal cambiamento climatico è la presenza dei parassiti, in particolare della mosca olearia, che può compromettere un intero raccolto. 

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Peccato, perché l’olivo avrebbe delle caratteristiche che lo rendono perfetto per un’agricoltura sostenibile, dato che innanzitutto è una pianta molto resistente e adattabile. Inoltre le colture di copertura tra un’albero e l’altro tolgono CO2 dall’atmosfera, i prodotti di scarto diventano compost, la vicinanza degli alberi fa risparmiare acqua. In una fase dove la domanda di olio di oliva è in crescita, mentre la produzione è in calo, quella che potrebbe andarci di mezzo, come sempre, è la qualità. Il futuro degli ulivi passa sicuramente attraverso una riconfigurazione: avremo meno coltivazioni nelle aree mediterranee e più possibilità a nord; i coltivatori dovranno ricorrere a mezzi tecnologici per cercare l’acqua o per proteggere dagli eventi atmosferici estremi le piante. Dovremo fare di tutto per difendere la nostra fetta di pane casereccio con un velo d’olio extravergine: è una minaccia ma è anche uno sprone, spesso difesa del gusto e dell’ambiente stanno dalla stessa parte.