Passata di pomodoro: Petti, il Toscana sounding e la frode della ‘pummarola più diffusa di quanto si pensi

Il caso Petti, con tanto di sequestro da 4 mila tonnellate di passata di pomodoro, è solo la punta dell'iceberg di un sistema di frodi diffuso tra le aziende italiane, rivolto specialmente verso l'estero.

Passata di pomodoro: Petti, il Toscana sounding e la frode della ‘pummarola più diffusa di quanto si pensi

La più grande frode alimentare mai scoperta in Italia” stando agli inquirenti, la scoperta dell’acqua calda se volete sentire la nostra: il maxi sequestro di passata di pomodoro Petti (4.400 tonnellate di prodotto, per un valore commerciale di 3 milioni di euro) ha fatto parlare di sé tutta la stampa del Paese.

Sarà che l’azienda conserviera, con sede centrale nell’Agro Sarnese Nocerino, in Campania, è una delle più importanti della Penisola, beccata a spacciare per passata di pomodoro italiana la quantità di cui sopra, pronta per essere imbottigliato e venduta. Dalla Petti, ovviamente, è partita la controffensiva: il pomodoro non sarebbe destinato all’uso interno italiano, bensì al mercato estero.

I prodotti dell’azienda Petti Conserve sono ancora sugli scaffali dei supermercati: infatti, il sequestro preventivo è valido soltanto per la merce incriminata, non per altri prodotti dell’azienda.

Ma il “caso Petti” è solo la punta dell’iceberg di un vero e proprio sistema di contraffazione del cibo Made in Italy e – sorpresa delle sorprese! – il “boicottaggio” , come nel caso appena accaduto, parte dall’interno.

Frodi esportate

Le frodi alimentari, quelle punibili dalla legge, possono essere di vario tipo. Sui prodotti agroalimentari italiani – quasi inutile dirlo – sono praticamente all’ordine del giorno, con centinaia di prodotti contraffatti oppure in odore di contraffazione.

Ovviamente, è più facile commercializzare un prodotto contraffatto all’estero che in Italia; molto spesso, infatti, i prodotti partono “label free” (cioè senza etichetta), salvo poi essere etichettati  nel Paese di arrivo… utilizzando denominazioni, marchi e parole a modo loro. Qualche esempio di prodotto facile alla contraffazione: la mozzarella di bufala campana DOP (i filoni di mozzarella cheese o ancora mozzarella non DOP che viene commercializzata all’estero come tale), il Parmigiano Reggiano (che spesso però viene autoprodotto in loco, il famoso “Parmesan cheese”) e – non ultimo in ordine di importanza – il pomodoro.

Anzi, vi diremo di più: proprio il pomodoro – e derivati del pomodoro come salse pronte, passate, inscatolati – ha la facilità di viaggiare “label free”, cioè in latte/bottiglie neutre e di essere etichettato con ben poca fatica nei magazzini di arrivo. Ed è così che arriva all’estero pomodoro italiano e svariati marchi DOP, come il Pomodoro San Marzano DOP.

Cosa stiamo dicendo, quindi? Che molti prodotti “dalla contraffazione facile”, sul filo del rasoio, partono dall’Italia? Purtroppo, sì. Soltanto l’intensificarsi dei controlli e le operazioni specifiche come quelle avvenute sul pomodoro Petti possono portare a ridurre al minimo queste truffe.

Restando in Italia, il tipo di truffa summenzionato è ascrivibile alla categoria delle frodi commerciali, cioè delle truffe che non vanno a pesare sulla salute del cliente (come la commercializzazione di prodotti scaduti), ma che vedono l’utilizzo di diciture che esaltano qualità o provenienze dichiarate tali da trarre in inganno il consumatore finale.

Esattamente la truffa che vede coinvolto il pomodoro sequestrato al Gruppo Petti.

Bisogna dire però tutto: l’indagine sul prodotto sequestrato è appena partita e bisognerà attendere il verdetto finale di un giudice per stabilire cosa sia accaduto (o cosa stesse per accadere) davvero. Ci sono però dei risvolti del caso Petti che non lasciano presagire bene, ma questo ben prima del sequestro e – legalmente, pare – sotto gli occhi di tutti.

Tuscany sounding

Andando nello specifico, poi, quello del Gruppo Petti rappresenta un “caso nel caso”: l’azienda, attiva sin dal 1925, dal 2005 ha implementato il suo business con la Italian Food S.p.A. La sede operativa è in Toscana, precisamente a Venturina Terme, provincia di Livorno. La sede legale è a Nocera Superiore, importantissimo polo industriale della Campania e letteralmente “cuore” della coltivazione e trasformazione del pomodoro locale; un lavoro che si spinge molto oltre il San Marzano DOP e che abbraccia diverse trasformazioni dell’oro rosso, quest’ultimo proveniente per la maggior parte dal vicino Tavoliere delle Puglie e dal Molise.

Stando ai dati aziendali diffusi sul sito internet proprietario, circa il 70% del prodotto Petti viene esportato e buona parte della quota di pomodoro e prodotti derivati da esso confezionato a marchio terzi.

Fino ad ora, non c’è traccia del superbo pomodoro toscano.

Lo storytelling sul “pomodoro 100% toscano” ha già qualche anno di vita e vaga indisturbato su etichette, cartelloni pubblicitari e spot trasmessi in tv. A dire il vero, non sapevamo che in Toscana ci fosse tutto questo pomodoro. No: non stiamo dicendo che in Toscana non si faccia pomodoro. È che forse ci si è costruito uno storytelling eccessivo per un prodotto comunissimo, senza nessuna particolarità legata al territorio.

Sul sito di Petti è presente la pagina che spiega quale dovrebbe essere questo pomodoro toscano. Si parla chiaramente di un classico pomodoro da industria molto versatile, resistente al cambio clima e alla raccolta meccanica. Niente ci viene detto sulla cultivar o sul nome scientifico: questo mi fa pensare che sia una tipologia di pomodoro brevettata dall’azienda e fatta trapiantare dai propri coltivatori o affiliati.

Ma è solo un pensiero: che sia la classica tipologia di coltivazione – beninteso, non c’è nulla di male – studiata a tavolino per ottenere la massima resa, contraendo i tempi di produzione e di raccolta; stesso tipo di pomodoro, parimenti, può essere opportunamente modificato nel suo DNA ed essere praticamente trapiantato ovunque nel mondo. Toscana compresa.

Con la buona pace dei prodotti straordinari (si pensi al pomodoro costoluto fiorentino) che ci immaginiamo nel nostro sugo.

Lo storytelling dedicato al pomodoro 100% toscano, dunque, non è forse un po’ eccessivo?

Il “Toscana sounding” è, sicuramente, il più noto all’estero: prima regione d’Italia (insieme forse alle terre del Barolo e Venezia) ad essere notata dal turismo di massa proveniente dal resto d’Europa e dagli Stati Uniti (ho ricordi di un molto discutibile film ambientato in Toscana con Raul Bova, film che appunto faceva l’occhiolino ai turisti incantati dalla Val D’Orcia e simili). Sicuramente ci troviamo dinanzi alla regione d’Italia che meglio rappresenta paesaggi, arte e cultura e quindi facilmente identificabile dagli stranieri come “l’Italia tutta”.