Perché l’immagine della montagna è perfetta per vendere cibo

Acque purissime, golosi biscotti, bottiglie di vino, ristoranti e rifugi: il marketing della montagna si declina in chiave gastronomica. E funziona di brutto.

Perché l’immagine della montagna è perfetta per vendere cibo

Nel 2017, quello che era stato il vecchio impianto di risalita di Plan de Corones, una delle mete sciistiche più note e apprezzate dell’arco alpino, è stato riaperto con una nuova destinazione: da funivia a Lumen, museo della fotografia di montagna. Nello stesso edificio ha trovato sede anche AlpiNN, il ristorante dello chef Norbert Niederkofler, che offre uno dei più bei panorami sulle montagne in Italia. Il museo si snoda su più livelli per raccontare la storia della fotografia di montagna da più punti di vista, in una parte molto interessante si trovano diversi prodotti che replicano nel loro logo immagini di montagne.

Nelle didascalie leggiamo che si tratta del racconto della “montagna commercializzata” e si spiega che prima del Romanticismo le montagne venivano evitate perché si pensava fossero abitate da dei demoni. Con l’avvento dell’illuminismo e del Romanticismo (cito letteralmente), il sentimento verso la natura è cambiato e le montagne sono state elevate a identità idilliache e sublimi. Gli esploratori prima, gli intellettuali poi, hanno scalato le montagne e descritto le loro esperienze creando una nuova letteratura di viaggio, scatenando così una “corsa” alle montagne. Il turismo di montagna è iniziato – come movimento sempre più massivo – intorno al 1870 con la creazione di ferrovie e funivie. La montagna viene sfruttata, attraverso la tecnologia, come mezzo per raggiungere un fine.

Le sfaccettature della commercializzazione della montagna sono molteplici. Hanno a che fare con il turismo in senso più ampio (sempre nella stessa mostra si cita anche l’esempio delle cartoline, oggi potremmo parlare ancora di foto, video e social) e sottintendono che la montagna si presta bene a una narrazione “vendibile”. Da quando comincia l’alpinismo, il cui atto fondante è posto nell’8 agosto del 1786 con la scalata del Monte Bianco, fino al turismo montanaro di massa a cui assistiamo tutti i giorni, il marketing della montagna ha subito diverse declinazioni e ha toccato molti ambiti, anche il cibo. Perché l’immagine della montagna è così funzionale a vendere qualcosa da mangiare o da bere?

Per capirlo meglio dovremmo fare alcuni esempi più concreti e ammettere che il profilo della montagna, i suoi ghiacciai, le vette e le punte aguzze sono state utilizzate anche in altri mercati. A cominciare dal logo della casa cinematografica Paramount Pictures, che riporta il profilo di una montagna circondata da stelle. È curioso sapere che non è stato dichiarato in maniera ufficiale a quale vetta si ispirasse, nonostante le numerose ipotesi avanzate. Patagonia è una famosa azienda di abbigliamento sportivo che riporta nel suo logo il profilo del Monte Fitz Roy, situato al confine tra Argentina e Cile. Storia simile per The North Face, che nel suo logo presenta una forma stilizzata dell’Half Dome, una roccia molto popolare dello Yosemite National Park. Su internet tantissimi siti offrono la possibilità di acquistare loghi che utilizzano il brand della montagna per rappresentare aziende e concetti.

Cibo e beverage non hanno fatto eccezione. L’archetipo di questo discorso è rappresentato proprio dal Mont Blanc, una deliziosa torta con panna, meringa e farina di castagne che rappresenta plasticamente e cromaticamente una montagna. Ma in questo caso si chiama di una ricetta condivisa, un patrimonio senza brevetto. Se parliamo invece di Levissima, la famosa acqua del gruppo Nestlé, nel logo c’è un richiamo alle montagne da cui sgorga l’acqua imbottigliata. Poi Loacker, produttrice italiana di wafer in Alto Adige che riporta montagne e pascoli nel suo brand. Oppure Toblerone, la barretta di cioccolato dalla caratteristica forma triangolare con un marchio molto riconoscibile sia nel lettering che nell’immagine di una montagna alpina. Tra le acque va citata anche la Stella Alpina, con il profilo delle montagne e il pay-off “la leggerissima delle Orobie” oppure la Monte Bianco che prende il nome e il design dalle pendici del Monte Bianco da cui sgorgano le sue fonti. Da qui si procede verso bottiglie di vino, confezioni di sughi, paste trafilate, cioccolate e tanti altri prodotti che veicolano attraverso la montagna suggestioni che creano una certa attrattiva per i clienti.

toblerone

Ultimamente, come abbiamo scritto anche qui, la cucina di montagna poi è tornata ad occupare una certa centralità. La Guida Michelin di quest’anno ad esempio ha premiato diverse nuove insegne specializzate in cucina di montagna, dalla stessa guida i ristoranti in montagna sono spesso insigniti della stella verde. Gli ingredienti tipici di questi contesti sono sempre più sdoganati: pigne, erbe selvatiche, radici, foglie d’alberi, muschi, li ritroviamo anche in piatti a centinaia di kilometri dalle vette. Nel frattempo, per quanto la montagna stia cambiando e subendo i contraccolpi della crisi climatica, si rivalutano i rifugi, gli hotel posti al centro di foreste e aree montane, come i vini realizzati ai limiti delle altitudini possibili, sia per una ricerca dell’estremo ed inusuale sia per utilizzare la leva della fuga dalla metropoli che questi prodotti rispecchierebbero. La montagna, per quanto non ne rimanga che uno schizzo su un’etichetta, diventa un luogo aspirazionale per vivere temporaneamente in fuga dalla realtà.

Come afferma lo scrittore e alpinista Enrico Camanni a proposito della commercializzazione della montagnaMentre il mare suscitava onde di piacere e venti di trasgressione la montagna si caricava soltanto fardelli di fatica e di sofferenza purificatrice. Su questi ingredienti, per circa 50 anni, i registi, gli scrittori e i giornalisti hanno costruito la rappresentazione della montagna”. In questo modo tra montagna, cibo e turismo si è scatenata una relazione molto potente e attrattiva che ha innescato anche alcuni risvolti specifici, oltre a quelli di gusto, piacere e bontà che sono spesso associati alla gastronomia. Si tratta dell’idea che in qualche modo il cibo di montagna sia più salutare perché deriva da un supposto “contatto con la natura”, benefico, pulito e sano, puro. Anche se talvolta, come abbiamo visto, a proporne le fattezze sono delle vere e proprie industrie.