In pescheria: 5 errori che facciamo spesso

Come si compra il pesce, come ci si accorge se la pescheria e la merce sono all'altezza delle aspettative. E, soprattutto, come si evitano i 5 errori principali

In pescheria: 5 errori che facciamo spesso

Dopo il mercato, la pescheria è il mio luogo di shopping preferito. L’uomo che vuole farmi felice non deve portarmi in cerca di It-Bag o décolleté dalla suola rossa, ma di pesci San Pietro, magnifici scorfani, canocchie vive che quando le tocchi scattano e già te le immagini finire nel sugo a condire gli spaghetti.

Il banco del pesce ha su di me l’effetto che, da bambina, aveva la vetrina del giocattolaio dove nonna mi accompagnava sotto Natale.

Come allora restavo incantata davanti alla Casa della Barbie e sì, anche al Dolce Forno, oggi mi illumino in contemplazione di una superba aragosta che nuota in vasca o di una manciata di alici, umili e luccicanti. Comprerei sempre tutto.

Certo, se la pescheria e la merce sono all’altezza delle aspettative. La scelta giusta, inutile dirlo, deve avvenire dopo un’attenta disamina di quel che offre il pescivendolo. E, soprattutto, evitando di commettere errori: i 5 errori che potrebbero configurare il reato di incauto acquisto gastronomico.

1. Non annusare

sardine

È vero: l’odore di pesce è forte. Ma non sgradevole. Non attacca in gola, non fa arricciare le narici. Richiama alla mente le vacanze al mare, le uscite in barca, la raccolta dei ricci sugli scogli, le passeggiate al porto lungo le banchine dei pescherecci. È intenso e caratteristico, ma immediatamente suggestivo della bontà dei piatti che andrete a cucinare.

Sempre che si stia parlando di pesce fresco. Ovvero: diffidate di qualunque odore insopportabile sentiate, da quello di putrefazione, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, a quello di ammoniaca, segno che sono stati usati additivi per mascherare il reale stato del prodotto (vedi punto 3).

Se poi il tanfo invade il punto vendita o annuncia a banchi di distanza quello del pescivendolo, scappate a gambe levate.

2. Fermarsi in superficie

mercato del pesce

Sul fondo delle cassette, fra le schegge del ghiaccio tritato, scorrono e si raccolgono sangue e liquami. Più passano le ore dalla morte del pesce, più questi umori sono abbondanti, scuri, maleodoranti.

E poco importa che in superficie la montagna di sarde presenti esemplari perfetti, intatti, scintillanti: specchietti per allodole e acquirenti superficiali.

La mano del pescivendolo truffaldino si immergerà nel mucchio e infilerà nella vostra busta i pesci più in basso: quelli di ieri o – diononvoglia – di due giorni fa, che languono e sgocciolano da ore e ore.

Quindi, non fermatevi alle apparenze ma imparate a sbirciare e a usare, se è il caso, la vostra speciale vista a raggi X. Per controllare che quel che sta sotto sia della medesima, ottima qualità di quel che occhieggia in alto.

3. Dimenticare che il troppo stroppia

mercato del pesce

Il troppo rosso del tonno: monossido di carbonio. Il troppo bianco delle seppie: acqua ossigenata. Il troppo polposo dei filetti di merluzzo: polifosfati. Il troppo rosa dei gamberi: solfiti.

La natura è vivace e sempre si dice di controllare che il pesce abbia carni sode ed elastiche e tinte brillanti, dall’argento della livrea al nero dell’occhio alla polpa candida. Fra il brillante e l’abbacinante c’è una differenza, e si chiama additivi. Alcuni leciti, altri no, tutti servono a mascherare una qualità non proprio immacolata.

Come stanarli? Paragonare l’aspetto con l’odore di cui al punto 1 e i liquami di cui al punto 2 non è sempre sufficiente, anche se può essere rivelatore.

Quel che fuga ogni dubbio e garantisce che l’aspetto superlativo corrisponde effettivamente a una freschezza extra, è l’etichetta: il talloncino deve riportare la data di pesca e certificare l’assenza di qualsivoglia ingrediente oltre al pesce ma, soprattutto, l’assenza di E-qualcosa.

4. Sorvolare sulla provenienza

canocchie

Sarò autarchica, ma se posso scegliere fra un pescato nazionale e uno estero, preferirò l’italiano. Fra il Mediterraneo e gli Oceani, il primo che ho detto. Seguono i Mari del Nord, l’Atlantico Nord Orientale e quello Centro Orientale, in pratica al di là di Gibilterra.

Insomma, che ve lo dico a fare? Meno strada ha fatto il pesce, per arrivare al mercato, meglio è. Mentre le specialità congelate o decongelate dovrebbero essere scelte in base alle peculiarità dei luoghi di origine, come gli astici del Maine o i polpi marocchini.

Vi confido un segreto: quel che arriva dal Sudest asiatico non mi dà molta fiducia. Ma magari son strana io 😉

5. Essere pigri

capesante

Il pesce puzza dalla testa. Quella dei crostacei, poi, diventa proprio nera, così come le zampette. Tirando via tutto, il resto del corpo risulta accettabile ancora per un giorno.

Ecco perché filetti di triglia e code di mazzancolle (soprattutto se interamente sgusciate) dovrebbero insospettirvi, più che ingolosirvi.

Certo, vi tentano, subito pronti da cuocere. Ma forse non sono stati preparati per cortesia quanto per rendere presentabile un prodotto che, integro, avrebbe ispirato ben poca fiducia.

Volete il pesce pulito e sfilettato? Fatevi amico il pescivendolo, scegliete gli esemplari intatti e chiedete di prepararveli al momento.

O, meglio ancora, sgusciate e sfilettate da voi. In fondo, bastano un pizzico di manualità e, all’occorrenza, un buon coltello.

Che poi, parte della goduria di un buon piatto di pesce sta nella scelta, ma anche nella preparazione.