Spesa “fuori dal Comune”: se la libertà non è solo quella di spendere meno

Il Governo sentenzia che fare la spesa fuori dal nostro Comune è possibile, anche per ragioni di convenienza economica, nonché per esigenze individuali. E questo, sarà il lockdown, ci sembra un bel tema di dibattito.

Spesa “fuori dal Comune”: se la libertà non è solo quella di spendere meno

Le FAQ di Palazzo Chigi ai DPCM, risposte alle domande frequenti di noi comuni cittadini che nulla chiediamo (okay, qualche aiuto economico) se non di sapere quando e come uscire di casa per fare la spesa, sarebbero oramai l’oggetto preferito delle nostre chiacchiere al bar, se solo un bar ce l’avessimo ancora.

L’ultima Faq oggetto di discussione, nel bel mezzo del regime di lockdown semaforico, ci dice che uscire dal nostro Comune per fare la spesa è possibile e mica solo perché nel nostro paesello mancano pane e latte: possiamo spostarci anche per ragioni di “convenienza economica” nel supermercato enorme più vicino, o scegliere di recarci nei negozi che soddisfano le nostre “esigenze“.

Quindi ora la domanda (alla quale il Governo non risponderà) è: sarà l’industria della distribuzione ad essere nuovamente favorita da questa brutta situazione, perché tutti faremo quei 5 km in più alla ricerca di “convenienza”? Voi come sfrutterete questa “nuova libertà“? Ma soprattutto, cosa considerate “esigenza”?

Botta e risposta

Faq del Governo; spesa

Alberto Balocco, Presidente e Amministratore Delegato del colosso dolciario del cuneese Balocco S.p.A., si era fatto negli scorsi giorni portavoce di un appello (pubblicato su La Stampa, con l’appoggio di Confindustria) da presentare al Governo affinché questo autorizzasse, per le Regioni in zona rossa, gli spostamenti tra Comuni aventi come scopo l’approvvigionamento alimentare.

Il Governo, dal canto suo, ha recepito la richiesta; aggiornando il testo informativo presente sul sito che da ieri si mostra, testualmente, così:

Domanda: Posso fare la spesa in un comune diverso da quello in cui abito?

Risposta: “Gli spostamenti verso Comuni diversi da quello in cui si abita sono vietati, salvo che per specifiche esigenze o necessità. Fare la spesa rientra sempre fra le cause giustificative degli spostamenti. Laddove quindi il proprio Comune non disponga di punti vendita o nel caso in cui un Comune contiguo al proprio presenti una disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica, di punti vendita necessari alle proprie esigenze, lo spostamento è consentito, entro tali limiti, che dovranno essere autocertificati”.

La rivoluzione delle “esigenze individuali”

Questa risposta, che apparentemente non sembra dire nulla di nuovo, in realtà offre tra le righe degli spunti di riflessione particolarmente interessanti, che gettano una luce diversa su come si siano evolute, nel corso dei nove mesi di gestazione pandemica, le posizioni del Governo rispetto al modo di gestire l’emergenza; e a quali siano e come vengano interpretate le priorità del popolo italiano.

In particolar modo, risulta interessante l’introduzione del concetto di esigenze individuali: lo spostamento tra Comuni (e dunque, inevitabilmente, anche all’interno del proprio Comune; oltre le immediate vicinanze dell’indirizzo di domicilio) è consentito, se si esce per fare la spesa, nel caso in cui i Comuni adiacenti al proprio offrano disponibilità di merci più idonee ai bisogni di ognuno.

Ma quali sono questi bisogni? Scorrendo velocemente il testo della FAQ, viene da pensare immediatamente che questo si riferisca esclusivamente alle esigenze di natura economica, e quindi alla possibilità di recarsi fuori dal proprio Comune per raggiungere il discount del paese vicino; ove il pane cosa 20 centesimi al kilo in meno, e il Dash in polvere formato famiglia è perennemente in offerta.

Lo spostamento è consentito, rileggiamo, “nel caso in cui un Comune contiguo al proprio presenti una disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica, di punti vendita necessari alle proprie esigenze”. Ma la chiave di tutto è in quell’“anche”.

Un “anche” che presuppone logicamente un “non solo”, e quindi la possibilità che le esigenze specifiche del singolo possano non essere esclusivamente quelle correlate al potere d’acquisto.

Chi potrà sindacare, quindi, sul fatto che mi rifiuti di andare al supermercato sotto casa per raggiungere invece la macelleria, a 2km dal mio appartamento, che vende bistecche frollate due mesi e macella vacche allevate nel rispetto del benessere animale, perché per me è essenziale?

Chi potrà obiettare sul fatto che nutrirsi in maniera compatibile con i propri principi e le proprie scelte in materia di politica, etica, ecologia, salute sia meno importante che comprare risparmiando?

La risposta a queste domande, volutamente retoriche, è: “nessuno”. In base al testo della FAQ governativa, scegliere di comprare presso un punto vendita anziché un altro, per questioni personali che esulino dalla semplice convenienza economica, è una decisione inattaccabile e insanzionabile.

Da Marzo a Novembre: un atteggiamento diverso

Sembra lontana la circolare del Ministero dell’Interno di Marzo, nella quale si specificava con chiarezza adamantina che gli spostamenti per la spesa fuori dal Comune di residenza fossero possibili esclusivamente nel caso in cui fosse “necessario acquistare con urgenza generi di prima necessità non reperibili nel Comune di domicilio”.

È come se, superati l’impreparazione e l’effetto-sorpresa dovuti all’exploit pandemico improvviso, al Governo fossero venuti a patti – un po’ come tutti, a dire il vero – che quella contro il Coronavirus sarà non, come per un certo periodo si è creduto, una guerra lampo durante la quale stringere i denti finché non è finita; quanto piuttosto una convivenza forzata a medio-lungo termine con la quale, giocoforza, fare pace.

Sembra anche che entro questa cornice, a Palazzo Chigi, siano riusciti a sangue freddo a mettere a fuoco che l’immediato sostentamento del corpo non sia l’unica necessità che abbiamo, in quanto figli di una civiltà matura e decadente che hanno trasceso da millenni la condizione di cacciatori-raccoglitori, ma che le specificità accessorie di cosa e come decidiamo di mangiare, oltre che brutalmente quanto decidiamo di pagare il nostro cibo, siano fattori che non è possibile accantonare a lungo termine; pena un montante e subliminale scontento che rischia di minare gli equilibri psicologici, e dunque la pace sociale, in maniera più evidente di quanto si crederebbe.

“Mangiare è un atto agricolo” e “ogni euro speso è un voto”, non si può quindi impedire troppo a lungo, alla gente, di esercitare il diritto di sovvenzionare con le proprie scelte d’acquisto il sistema alimentare che reputa più consono alle proprie esigenze; qualsiasi esse siano: pressappoco così avranno pensato Conte, Patuanelli, Di Maio e il loro entourage mentre redigevano il testo della FAQ – anche se, con ogni probabilità, considerando la questione da un punto di vista radicalmente diverso rispetto a quello presentato finora.

GDO, convenienza, libertà: perché scegliere un nuovo vocabolario

Appare evidente, infatti, che la ragione per cui Balocco si è fatto carico dell’onere di presentare la richiesta originale di modifica del DPCM fosse quella di consentire ai residenti delle zone urbane di affluire verso la tipologia di punto vendita prediletta per qualsiasi grande industria alimentare (come appunto la Balocco S.p.A.); ossia gli ipermercati della Grande Distribuzione Organizzata.

Questi, tipicamente collocati in fasce suburbane, sarebbero stati incapaci di sopravvivere con il solo indotto delle municipalità in cui sorgono; e di conseguenza impossibilitati a smerciare le ingenti forniture su cui fanno leva, con un conseguente rallentamento degli ordini alle aziende produttrici.

Appare evidente, allo stesso modo, che al Governo l’intento principale della domanda di revisione del regolamento vigente sia stato recepito, ma che se ne sia voluto espandere il raggio considerando le risicate condizioni finanziarie di una crescente fetta della popolazione, che imperano in questo momento di crisi: ecco comparire allora, tra le righe della FAQ, la concessione di fare la spesa fuori dal proprio Comune “anche” per motivazioni economiche; permettendo a tutti di risparmiare nel momento in cui per molti spendere meno, più che una preferenza, è divenuto un obbligo ineludibile.

Non è chiaro invece se la scelta di lasciare carta bianca agli acquirenti sul dove fare la spesa per ragioni che esulano dalla mera convenienza monetaria sia stata ponderata, o sia invece un semplice “effetto collaterale” delle parole scelte per rispondere alle istanze dell’industria: che questa licenza sia stata concessa scientemente o fortuitamente, o che pure sia frutto di una maturazione inconscia, sviluppata nel tempo, del vocabolario relativo al tema Coronavirus; fatto sta che essa sussiste, nero su bianco e senza dubbio alcuno.

La possibilità di spostarsi per fare la spesa danneggerà i negozi di prossimità?

Il via libera alle “spese fuori dal Comune” non va interpretato pertanto, come capita di leggere, come una misura osteggiante nei confronti delle piccole realtà e degli acquisti di prossimità in favore delle grandi catene GDO; quanto invece come un lasciapassare cuique suum che permette a tutti, entro gli ovvi limiti imposti dal buon senso, di comprare il cibo come e dove si preferisce.

La misura, peraltro, nel modo in cui è posta, tutela particolarmente gli esercizi commerciali che si rivolgono a nicchie di consumatori esigue, specifiche e spalmate su porzioni geografiche relativamente ampie: pensate per esempio a un beer shop della provincia di Siena, o a una torrefazione di specialty coffee campana, che dall’essere punto di riferimento per una comunità di consumatori distribuita su un certo numero di paesi del circondario si sarebbero ritrovati, qualora fosse stata confermata l’impossibilità di uscire dal proprio Comune per fare la spesa, a lavorare con i pochi aficionados dei rispettivi prodotti che vivono entro i rigidi confini di Pienza o di Castellammare di Stabia – preparandosi a una chiusura, a quel punto, certa.

Pensate invece che, essendo la posizione del Governo articolata come attualmente è, questi negozi potranno continuare a servire i clienti affezionati che vivono nei Comuni limitrofi al loro; assicurandosi chances di sopravvivenza nettamente maggiori: e questo grazie a una richiesta formulata in origine da un player dell’industria con l’obiettivo di agevolare la GDO, cui l’establishment politico ha risposto in termini inclusivi che tutelano la libertà di scelta del consumatore, il potere d’acquisto a tutti i livelli, e di conseguenza qualsiasi forma di commercio alimentare al dettaglio.

Se potete e volete, quindi, il momento per sostenere botteghe artigiane, produttori sostenibili, alimentari di qualità – e di rimando le vostre passioni gastronomiche, le persone che fanno le cose che più vi piace mangiare, le attività in cui credete – è adesso.

Prendete questa libertà, e fatene tesoro.