La sindrome del gastrofighetto

Non che non voglia lasciar dire ai lettori (quasi) qualunque cosa, ma tra tutte le definizioni intercettate nel dopo d-Fest, la festa di Dissapore, quella di gastrofighetto mi ha colpito più delle altre. I destinatari siamo noi, non solo noi che facciamo Dissapore da questa parte dello schermo, anche voi che lo leggete e lo commentate, tutti sfrenatamente buongustai e con lo spirito critico affilato. Ripensavo agli eoni di volte che ho letto questo termine, usato nell’accezione più negativa, mentre mangiavo un pezzo di pizza al taglio piegata in due, con delle invitanti melanzane al centro.

Stessa cosa nel mio pub preferito, il Jack’s Pub di Roma, che totalizza la più alta concentrazione di super birre nel raggio di 50 km. Ripensavo a gastrofighetto mentre azzannavo un abnorme panozzo con hamburger, lattuga e cipolla, comprensivo di stecchino da spostare a ogni morso, in modo che ketchup e formaggio fuso non grondassero sulla giacca.

Sono tornato al gastrofighettismo anche oggi, mentre svuotavo nella pentola il pacco di maccheroni per fare un’arrabbiata Marco’s Version, con lo stufato di scalogno al posto dell’aglio e un manicomio di peperoncino.

E ogni volta che ci pensavo mi chiedevo per quali ragioni qualcuno si è fatto quest’idea di noi, irreale anche per quelli che, vedi l’editor di Intravino, Fabio Cagnetti, tendono istintivamente all’edonismo enologico.

Eppure nella parte di dFest passata all’Open Colonna, ci siamo tutti fiondati sul buffet di tramezzini e piccoli rollé similpiadina, tipo mandria di bufali inferociti.

Nel loft dei Fooders, perfino il divino Massimo Bottura spiritoseggiava come un Dissaporiano qualunque, pur se impegnato a riproporre lontano dalla sua cucina gli stessi piatti che lo distinguono dal resto del mondo. Orsù, lo sapete meglio di me che uno così non può essere un gastrofighetto. Men che mai i Fooders, cuochi terrificanti (da terrific: formidabili) e loftisti accoglienti come pochi. Oh, non sarà per quella scritta sul portatile?

Lorenza Fumelli, Silvia Fratini e la statuaria Sara Porro, come si può prendere per gastrofighette le editor di Dissapore, qualcuno mi spieghi, santa pace. Antonio Tomacelli ha la fame cosmica di un digiunatore seriale, Massimo Bernardi forse, ma in un altro campo: mortificava chiunque gli toccasse la sciarpetta. Non a caso diversi commentatori si sono sorpresi: vi immaginavamo afflitti dal peggiore sboronismo enogastro, e invece!

Domanda da un milione di dollari: come mai per qualcuno siamo comunque gastrofighetti? Forse perché a volte ci capita di approfondire gli aspetti tecnico-scientifici del cibo? Può essere ragionevolmente definito sborone chi, a notte fonda, dopo i piatti dello chef migliore del mondo, Massimo Bottura, si attacca ai fritti di Giancarlo Casa de La Gatta Mangiona di Roma?

Gasp! Non sarà perché, io che il giorno dopo la dFest scofanavo cacio e pepe, ho preteso che fosse col pecorino grattuggiato ma rigorosamente senza olio?

[Crediti | Link: Dissapore]