Se “Lo chef è un Dio” il vero “Vito Frolla” è così

Non ho mai pianto così tanto come quando ho iniziato a lavorare in cucina. Non ho intenzione di fare riferimenti a qualcuno in particolare, tantomeno fare dei nomi, ma la mia storia è come quella di tanti, quindi ha un senso leggerla pensando a un sottobosco di “cuochini” (come li chiama l’autrice del libro contro “Vito Frolla”) che si sbattono dalle 15 alle 18 ore nelle cucine luccicanti e semiluccicanti, insieme agli chef. Poter imparare al fianco di Pippo Pizza (il mio “Vito Frolla”) è cosa per pochi, e quando ne hai la possibilità accetti subito, senza chiedere nulla sulle tue mansioni, i tuoi turni etc. E’ così che ti tuffi nell’esperienza più formativa della tua vita. Ma voglio fermarmi qui con l’elogio delle qualità di questo tipo di esperienza: vorrei che fosse chiaro che Sì, serve eccome. Sono fondamentali le esperienze dai Pippo Pizza. Detto questo, voglio parlarvi di cosa capita in alcune cucine, partendo dal presupposto che quello sto per dirvi è stato illuminante, e non mi ha allontanato dalla cucina, non ha diminuito la mia stima degli chef, non mi ha fatto del male. Anzi.

Allora che ti succede quando fai uno stage? Succede che parti da casa tua, te ne vai in un’altra città, con pochi soldi ma con tanti ideali e poi arrivi in un mondo in cui conti in base al tuo potere produttivo, e non sei pronto ad essere trattato come un cretino. Non sai che ti stanno facendo un favore ad averti fra i piedi in cucina, perchè effettivamente sei nuovo e sei un po’ come un cretino. Quindi sei supponente, prendi delle iniziative e le giustifichi dicendo: ”No, ma io avevo pensato che” ma vieni interrotto bruscamente dallo chef che ti dice: ”Tu non devi pensare, ci sono io qua che penso per te”.

Allora cominci a riflettere, credi che ti stiano sfruttando, che dalle 8 di mattina alle 2 di notte sia troppo lavoro. In realtà sei tu che ci metti più del dovuto a lavorare: quelle 40 cose che hai nella linea dovresti farle più celermente, così da recuperare tempo. E così fai, corri, ma con precisione: non è che da Pippo Pizza c’è un concassé fatto male, o un calamaretto con il nero, o un’ostrica rovinata da un’apertura maldestra. Così succede che per correre come un dannato ti bruci, ti tagli, ti fai un male cane, ma ti sei inserito e senti tutto il peso dell’ingranaggio che non gira come dovrebbe senza di te, così ti chiudi il dito con lo scotch, ti infili un guanto e affronti 40 coperti con una mano sola.

Poi arriva il giorno in cui fai tutto in meno tempo, hai recuperato quei 40 minuti per riposarti, ma è proprio allora che Pippo Pizza decide di farti fare il pranzo per la brigata, ma sei talmente stanco che devi concentrarti ancora di più, per metabolizzare anche quella mansione. Non ce la fai, ti viene da piangere, stai cuocendo 4 cose diverse sul fuoco, due nel forno, mentre fai appetizer e aiuti ai secondi. Piangi mentre cucini, e lo chef ti urla: ”Porca vacca secondo te uno che spende quanto spendono quelli là fuori vuole vedere una che piange!? Girati dall’altra parte e fai uscire quei cazzo di risotti!” Lo so che sentite dell’ingiustiza in queste parole, ma se è così non avete ancora capito quanto mi hanno fatto bene.

Ad un certo punto, diciamo dopo sei mesi, in cucina sei una scheggia e di cose nella linea ne hai 80, sei matematicamente certo di aver aumentato in maniera esponenziale il tuo carico di lavoro, e lo chef si produce nella tecnica più vecchia del mondo, un automatismo incontrollabile. Mette la quinta, dà gas e tenta il sorpasso: “Guarda così non si può continuare, veramente, ancora non riesci a inserire la pasta fresca nella linea. Non so che fare con te, sei sempre più lenta”.

Ti senti preso per il culo, non capisci, ma effettivamente sei davanti a qualcuno che ti ha fatto superare ogni giorno il tuo limite, quindi ti affidi completamente a lui: “Hai ragione, scusa. Ma ce la posso fare” E dopo altri tre mesi sei lì quando arriva un nuovo stagista, e ti rivedi in lui mentre dice “IO PENSO”.

Pochi giorni di lavoro e, durante la notte, scappa con la sua auto e, mentre lavi il pavimento e accendi le spie della stufa, lui ha già fatto un bel pezzo sull’autostrada verso casa.

E non ci sarà nessun viaggio di ritorno in cucina.

Francesca Barreca

[L’immagine di Marco Pierre White è di Eat me daily]