Cosa ci fanno i miglioratori dentro il pane?

Oltre a acqua, farina, lievito e un po’ di sale dentro il pane da alcuni anni a questa parte ci sono i cosiddetti miglioratori. Cosa sono e a cosa servono? Fanno male alla salute umana? E perché non ci viene detto che vengono messi dentro il pane?

Cosa ci fanno i miglioratori dentro il pane?

Acqua, farina, lievito e un po’ di sale. Ma davvero credete che il pane portato giornalmente sulle nostre tavole, e che a volte conserviamo per almeno un paio di gironi in dispensa, contenga soltanto questi quattro ingredienti in croce?

Davvero pensate che il filoncino acquistato caldo la mattina possa conservarsi morbido e fragrante per alcune ore dopo l’acquisto senza l’ausilio di nessun altro ingrediente, di nessun altro componente “magico”, o meglio tecnologico, che lo aiuti a conservare nel tempo fragranza e croccantezza?

Magari questo avviene nei laboratori dei panificatori presenti nella nostra classifica dei migliori.

Di norma però l’aiuto c’è eccome, anzi, ce ne sono tanti, e hanno nomi non certo rassicuranti quali acido ascorbico, protasi, mono e digliceridi degli acidi grassi e molti altri ancora.

Tutti quanti appartengono alla categoria dei cosiddetti “miglioratori” del pane.

I miglioratori del pane sono sostanze usate da parecchio tempo nell’industria panificatoria, e non solo.

Per quale ragione?

I motivi sono più di uno: aiutano il pane a rallentare il processo di raffermamento, rendono l’impasto facilmente lavorabile durante la preparazione, accelerano la lievitazione portando a un notevole risparmio di tempo, favoriscono lo sviluppo regolare ed omogeneo delle pagnotte durante la cottura, dando luogo a croste croccanti e alveolature regolari.

Per quanto ampiamente utilizzati tuttavia, non possiamo in alcun modo scoprire se il pane che acquistiamo è stato prodotto utilizzando tali eccipienti.

Infatti, secondo la legge vigente, l’impiego dei “miglioratori” non deve essere indicato nella lista negli ingredienti.

Questo in base al principio che queste sostanze non sono più presenti nel prodotto finito, o meglio, non sono più presenti nella loro composizione originaria: il processo di lavorazione ha infatti modificato il componente iniziale, trasformandolo in un’altra sostanza, e quindi senza alcun obbligo di essere indicato.

Potremmo cioè trovare l’indicazione dei miglioratori osservando il pacco di farina, ma non prendendo visione della lista degli ingredienti nel pane acquistato.

L’utilizzo di queste sostanze, ad ogni modo, è perfettamente legale, e il loro consumo non influisce sulla nostra salute di consumatori, né possono considerarsi nocive per l’organismo umano se usati entro i limiti d’impiego definiti. Alcuni hanno anche origine naturale, ad esempio glutine, lecitina di soia, estratti di malto, amidi.

Ma i dubbi sui miglioratori non si pongono tanto riguardo alla loro salubrità, ovviamente se impiegati entro i limiti di legge, ma per i risvolti economici del loro utilizzo.

Vale a dire che spesso vengono usati per migliorare farine di bassa qualità o a scarso contenuto di glutine, rendendole così maggiormente idonee alla panificazione.

Infatti, se i vantaggi dei miglioratori calano fino ad annullarsi usando farine di qualità, il loro utilizzo è prassi comune quando si è in presenza di farine scadenti.

Purtroppo, però, la mancata indicazione in etichetta alimenta dubbi notevoli su questi componenti, anche considerata l’origine, non in tutti i casi chimica o sintetica: molti sono infatti di origine animale, come il latte o lo strutto, o come anche la proteasi, ricavata dal pancreas dei suini.

In questi casi la mancata indicazione in etichetta può generare inconvenienti legati ad allergie o intolleranze, nonché a precise scelte nutrizionali quali quelle adottate da vegani e vegetariani, il cui numero è in continua crescita.

Dobbiamo poi considerare che spesso non è il panificatore a inserire i miglioratori all’interno del suo ciclo produttivo ma che spesso compaiono già nelle farine.

Come dire che il panettiere può utilizzare farine scadenti o povere di glutine senza doverne sopportare le ripercussioni né in merito al processo produttivo né alla caratteristiche del prodotto finito.

Di conseguenza, quello degli additivi nell’industria panficatoria è un argomento che necessita ancora di una legislazione chiara e precisa, al momento carente e lacunosa, ma nonostante la faccenda sia stata portata all’attenzione del Ministero competente –che già da tempo ha intavolato incontri sia con le associazioni di panificatori sia con l’Ascom–  al momento  non si è approdati a nessun risultato.

Per ora, quindi, non ci è dato sapere nulla in più sul pane che stiamo comprando se non che è stato prodotto con i soliti quattro ingredienti: farina, acqua, lievito e sale.

E forse, è meglio che continuiamo a cullarci in questa rassicurante illusione.