Grano ucraino, perché l’accordo con la Russia non rimuove tutti gli ostacoli all’esportazione

Le esportazioni di grano ucraino riprenderanno, ora che l'accordo con la Russia è stato raggiunto, ma ritornare alle 7 tonnellate mensili sarà difficile per il paese invaso. E i motivi sono assai oggettivi.

Grano ucraino, perché l’accordo con la Russia non rimuove tutti gli ostacoli all’esportazione

Ha risolto un bel problema, ma poi gliene restano mille: l’accordo sull’esportazione del grano dall’Ucraina è un passo in avanti ma non è che adesso, solo in virtù di quello, tonnellate di frumento raggiungeranno automaticamente i paesi che hanno bisogno. Venerdì scorso, il 22 luglio, è stato finalmente firmata, separatamente dalle due nazioni in guerra, un’importante intesa sul grano ucraino: la Russia si è impegnata a lasciar passare le navi commerciali nel Mar Nero. Ma è solo l’inizio: ammesso e non concesso che l’accordo fili liscio – stiamo pur sempre parlando di una nazione che ha invaso un’altra e la sta devastando senz’altro motivo che la volontà di potenza – ci sono una serie di ostacoli che rendono tutt’altro che certo, tutt’altro che fluido l’arrivo del grano ai destinatari finali.

La situazione è nota: da quando il 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina, i porti sul Mar Nero sono stati immediatamente bloccati dalla presenza della flotta di Mosca davanti alle coste ucraine, nonché dalle mine che in funzione difensiva gli stessi ucraini hanno piazzato. Un dramma economico all’interno di una tragedia umanitaria, e non solo per l’Ucraina stessa. Il paese infatti è tra i maggiori produttori di grano al mondo, come pure la stessa Russia, e soprattutto tra i maggiori esportatori (ci sono paesi che infatti producono milioni di tonnellate di frumento ma le destinano tutte o quasi al consumo interno: Cina e India in testa). La mancanza di questo grano sul mercato globale ha provocato un rincaro dei prezzi, che per alcuni paesi poveri – dipendenti dalle granaglie a basso costo per produrre alimenti di uso quotidiano come il pane – si è tradotto in una vera e propria carestia. La situazione sta per giungere a livelli intollerabili in questo preciso momento, quando con l’imminente nuovo raccolto è sorto il problema di dove stoccare i cereali, visto che i siti sono occupati da quello non smaltito dalle esportazioni.    

Per mesi si è parlato di un accordo umanitario che avrebbe consentito il passaggio delle navi commerciali. Finalmente negli ultimi giorni, grazie ai buoni uffici della Turchia che è diplomaticamente rimasta in una posizione di dialogo con entrambe le nazioni in conflitto, l’intesa c’è stata. L’accordo di venerdì ha avuto immediati effetti positivi prima ancora di essere sottoscritto: il prezzo del grano è sceso, dopo mesi di spaventose oscillazioni, soprattutto al rialzo. Ma, come scrive in un’approfondita analisi il Guardian, questo non significa che d’ora in avanti sia tutto in discesa.

Cosa blocca ancora il grano ucraino

grano

Mettono in guardia contro un ottimismo meno che cauto sia le compagnie di navigazione sia i grandi intermediari del mercato del grano. Ma in pratica quali sono gli ostacoli alla ripresa delle esportazione di grano ucraino? Vediamo.

Le mine

Le acque costiere ucraine devono essere sminate (dalle mine difensive che la stessa marina di Kyiv ha piazzato), o almeno deve essere creato un corridoio abbastanza largo e sicuro senza mine. Quanto ci vorrà? Le stime sono vaghe, le cifre ballano tra 10 giorni e vari mesi.

Le navi

La quantità di grano (e altri semi come mais e girasole) in ballo è ingente: si parla di circa 20 milioni di tonnellate. Per smaltirle ci vorranno qualcosa come 400 navi cargo, considerando che ognuna ha una capacità di 50mila tonnellate. Una flotta del genere non c’è, e soprattutto non è lì pronta: ci vorranno almeno due settimane per chiamare a raccolta i cargo sparsi nei paraggi, in mari non lontani come il Mediterraneo, dicono gli analisti.

Ci sono, è vero, le imbarcazioni ferme nei porti ucraini: quelle che sono rimaste bloccate dall’improvviso scoppio della guerra. Sono circa cento, la maggior parte delle quali proprio navi cargo delle dimensioni che servono. Ma non è detto che siano pronte a partire: anzi, secondo il segretario della Camera di navigazione internazionale Guy Platten non lo sono affatto. Bisogna verificare due cose: che le imbarcazioni siano in grado di tenere il mare, dato che sono state pur sempre ferme per 5 lunghi mesi; e che gli equipaggi siano al completo, dato che in questa situazione le crew sono state smantellate. 

Gli equipaggi

Delle 2000 persone in attività sulle navi a febbraio, la maggior parte è stata rimpatriata, e sono rimaste a bordo solo 450 persone per la manutenzione minima. Dove stanno i marinai? Si dubita che l’Ucraina stessa possa fornirli, dato che la maggior parte degli uomini in forze è stata richiamata dall’esercito o potrebbe esserlo da un momento all’altro.

La guerra

Risolti questi problemi, i proprietari dei cargo dovranno stipulare adeguate polizze assicurative, che non sono le solite ma devono prevedere il particolare rischio guerra. E ciononostante, con tutte le assicurazioni e con tutti gli accordi internazionali sottoscritti, non è detto che gli armatori – che sono pur sempre dei privati – accetteranno di riprendere le navigazioni mettendo a rischio i propri uomini e i propri beni.

I silos

Insomma la conclusione è che le esportazioni riprenderanno ma non in maniera rapida e fluida. C’è da tenere conto che in questi mesi sono stati sperimentati mezzi alternativi di trasporto per alleviare la situazione, e anche con un certo successo: su rotaia, su strada, su fiume. A giungo sono andati via così 2,3 milioni di tonnellate, riporta l’International Grains Council (IGC). Eppure siamo molto sotto i 7 milioni di tonnellate al mese che erano la quantità normale prima della guerra. E che sarebbero la quantità necessaria per liberare i silos per il nuovo raccolto: servono quindi nuovo siti di stoccaggio, e anche in maniera urgente.