Influenza aviaria, avvenuto il salto di specie: sarà la prossima pandemia?

In un allevamento di visoni in Spagna c'è stato il primo caso di trasmissione tra mammiferi del virus H5N1: per l'influenza aviaria aumenta il rischio pandemia.

Influenza aviaria, avvenuto il salto di specie: sarà la prossima pandemia?

L’influenza aviaria è un problema enorme, da più di un anno: vero flagello per il pollame e i volatili da allevamento, è già stata definita la peggiore pandemia di tutti i tempi per gli animali allevati in genere, battendo record da questa parte come dall’altra dell’Atlantico. Ma tranquilli: le cose potrebbero peggiorare. Se avvenisse il salto di specie, il famigerato spillover, se cioè il virus H5N1 mutasse in modo tale da essere facilmente trasmissibile all’interno della nostra specie, l’aviaria potrebbe diventare la prossima pandemia, da far impallidire il Covid. La notizia è che lo spillover è già avvenuto, pare: non tra gli umani, ma tra i visoni. Che però sono mammiferi: molto più simili a noi. Non è il passo definitivo, ma una manovra di avvicinamento.

Cosa è successo? Nell’ottobre 2022, racconta Science, c’è stata una epidemia influenzale in un allevamento di visoni in Galizia, Spagna. Non era Covid, come in un primo momento si pensava: molti animali, come sappiamo, possono infettarsi con il nuovo coronavirus. Era invece aviaria: l’influenza che sta decimando gli allevamenti di uccelli (e i volatili selvatici) ai quattro angoli del globo. La struttura è stata messa in isolamento, i dipendenti posti in quarantena, i 50.000 capi tutti abbattuti. Alla fine, per fortuna, nessun lavoratore è risultato infetto; ma l’episodio è stato oggetto di uno studio scientifico, uscito la settimana scorsa, che ne ha messo in rilievo tutta la pericolosità.

“Incredibilmente preoccupante”, ha dichiarato a Science Tom Peacock, virologo dell’Imperial College di Londra: “il tipico meccanismo con cui una pandemia di aviaria può partire”. E “un campanello d’allarme” lo ha definito Isabella Monne, ricercatrice veterinaria dell’European Union’s Reference Laboratory for Avian Influenza in Italia. 

Virus H5N1: le mutazioni e lo spillover

Qual è il punto? Che il virus possa trasmettersi ai mammiferi è cosa nota, e a tutt’oggi di questa ultima variante si sono registrati sei casi tra gli esseri umani, con un caso di decesso. Il fatto è che finora l’H5N1 si è trasmesso da uccelli a mammiferi, mai tra mammiferi. Ma il caso dell’allevamento spagnolo, con centinaia di capi infettati, sembra far propendere per questa ultima eventualità: difficile che ogni singolo animale ammalato se lo sia preso dall’esterno, in modo autonomo e indipendente, più probabile che se lo siano passati tra di loro.

L’aviaria è stata registrata per la prima volta in Cina nel 1996, in un allevamento di oche. Nel 1997 ci fu un’epidemia a Hong Kong, con le prime morti umane documentate. Nel 2005 il virus passò agli uccelli selvatici, e tramite alcune specie migratorie si è iniziato a diffondere il tutto il mondo.Nel 2020 è uscita una nuova variante, con il poco memorizzabile nome 2.3.4.4b, che ha le seguenti caratteristiche: si diffonde più facilmente tra tutti i tipi di uccelli; attacca più facilmente i mammiferi; è meno letale per l’uomo. Quest’ultimo aspetto, che potrebbe sembrare positivo, in realtà è un’arma a doppio taglio: come il Covid ci ha insegnato, varianti meno dannose e sintomatiche possono diffondersi con maggiore rapidità sfuggendo ai controlli.

Le varianti sono mutazioni genetiche: nel caso dell’allevamento in Spagna è stata rilevata una mutazione che agevola la trasmissione tra mammiferi. È questo il famigerato spillover: quando il virus diventa endemico in una specie diversa. Ma una mutazione spesso non basta, e per fortuna non ce ne sono state altre che potevano generare esiti peggiori: insomma sembra che in questo caso siamo stati fortunati. Ma fino a quando?

L’insostenibile allevamento di visoni

C’è poi la questione degli allevamenti di animali: i focolai pandemici sono solo l’ultima dimostrazione di quanto siano diventati ormai insostenibili, e pericolosi da vari punti di vista (per esempio: le emissioni di gas serra; o lo sviluppo di batteri antibiotico-resistenti). In particolare quelli di visoni – piccoli mammiferi ammassati in spazi stretti – sono stati sotto l’occhio dei riflettori durante la pandemia da Covid-19. Gli animali prendevano il virus dagli umani, ma agli umani lo ritrasmettevano, e i ricercatori temevano che l’industria dei visoni potesse diventare una fonte permanente di infezioni e un terreno fertile per varianti genetiche. 

I Paesi Bassi, che avevano già deciso di eliminare gradualmente l’allevamento di visoni entro il 2024 per motivi etici, hanno chiuso tutti gli allevamenti rimanenti nel 2021. La Danimarca ha abbattuto tutti i visoni nel paese nel 2020, ma il divieto di allevamento di visoni è scaduto all’inizio di quest’anno.

Gli allevamenti intensivi rappresentano una minaccia altrettanto grande quando si tratta di H5N1, dice a Science Thijs Kuiken, patologo veterinario all’Università Erasmus di Rotterdam. La maggior parte delle specie di mammiferi finora infettate dal virus sono predatori selvatici e necrofagi che si nutrono di uccelli infetti: “animali solitari o che vivono in piccoli gruppi”, afferma. È improbabile che diffondano il virus lontano o infettino gli esseri umani. Negli allevamenti di visoni, migliaia di questi carnivori solitari sono costretti a vivere insieme, creando le condizioni ideali affinché il virus aviario si adatti ai mammiferi. Secondo alcuni scienziati, le aziende dovrebbero rafforzare le misure di sicurezza, imporre l’obbligo di mascherine e altri dispositivi ai lavoratori, cercare di evitare contatti con animali selvatici. Secondo altri, sarebbe il momento, e la buona occasione, per eliminare l’esistenza di questi allevamenti di animali da pelliccia, per sempre.