Ghiaccio nel vino: ecco perché non si fa. L’esperimento

L'estate 2023 ha sdoganato il ghiaccio nel vino e, calici alla mano, pubblichiamo il nostro esperimento per dimostrarvi come mai può tornare ad essere un tabù.

Ghiaccio nel vino: ecco perché non si fa. L’esperimento

Partiamo da una premessa: qualora leggere nel titolo “ghiaccio nel vino” vi abbia fatto istintivamente sobbalzare, allora possiamo essere amici. In caso contrario, se tuffare poligoni di acqua allo stato solido nella più sacra delle bevande non vi provoca la benché minima smorfia di disapprovazione, be’ è il momento di parlarne.

L’usanza di godere della frescura regalata dal ghiaccio negli afosi giorni estivi è ben radicata. Da decenni disponiamo di congelatori dove far solidificare l’acqua in molteplici forme. Spesso i cubetti di ghiaccio sono risolutori per chi ha la memoria di una falena e scorda puntualmente di porre in frigo con il giusto anticipo la n-sima bottiglia della m-sima bibita, proprio quella che servirà a metà del pranzo e che non si può servire a temperatura ambiente senza passare per un cavernicolo. E non basta: nel mondo della mixology il ghiaccio non è solo un mezzo refrigerante ma un vero e proprio ingrediente, con le sue brave grammature e forme di cui tenere conto. Infine, non scordiamo anche l’appagante sinestesia regalata dal tintinnio dei cubetti nel bicchiere. Insomma, il ghiaccio non è un nemico e non è il male; tuttavia ci sono bevande in cui è meglio non far nuotare questi poligoni gelati: il vino è una di queste.

Ghiaccio nel vino: l’esperimento con tre calici di bianco

Nel caso fosse necessario e nel caso siate nuovi del posto, vi metto in carreggiata: qui non si è dogmatici; tutto è contestabile, tutto è discutibile e ogni giudizio è ribaltabile per mezzo, si capisce, di prove ed argomentazioni concrete (un esempio recente? La pizza con l’ananas).

La mia esortazione deriva dal rispetto dovuto ad una bevanda dalla storia millenaria, specialmente nei casi in cui il vino è di qualità (se è vino senza pretese potete anche metterci il ghiaccio e mischiarlo alla gassosa, avete il mio benestare). E per dare sostanza al ‘divieto’ ho maltrattato del vino innocente per dimostrare la validità dell’equazione Vino + Ghiaccio = No (per completezza, sull’equazione No – Ghiaccio = Vino c’è ancora da lavorare).

Il vino è stato versato in tre calici, di cui uno esente da ghiaccio, uno con un cubetto e uno con tre cubetti.

Altri parametri dell’esperimento:
– temperatura ambiente: 26 °C
– peso standard di un cubetto di ghiaccio: 10 g
– quantità di vino per il test: 70 ml cadauno

Il vino, un Vermentino Monteregio di Massa Marittima DOC “Le strisce” 2018, cantina Maremmalta, è stato servito a 12 °C (e sull’importanza capitale della temperatura di servizio caldeggio la lettura di questo pezzo), ma già nel versarlo nel calice ogni vino può aumentare la propria temperatura da 1 a 3 °C, per via del contatto con un recipiente più caldo, nonché per la stessa caduta del liquido nel calice; a ciò aggiungiamo anche l’incremento di temperatura cui il vino va incontro man mano che resta nel calice (1-2 °C ogni 5 minuti,  generalizzando estremamente).

Contiamo che l’assaggio è avvenuto 5 minuti dopo la mescita del vino e partiamo con il campione A “vino senza ghiaccio”, assaggato a una temperatura di circa 17 °C: il profumo è molto intenso, tipico di un vermentino, con ampie sventagliate di gelsomino e fiore di ginestra, buccia di limone, zenzero, macchia mediterranea e sottili richiami di lievito. In bocca il vino prende molto spazio, con una sapidità preponderante, al limite del salato, caratteristica di questa particolare etichetta; chiaramente percepibili i richiami gustolfattivi tipici del vitigno, concordi con quanto percepito al naso. Persistenza gustolfattiva assai duratura.

Passiamo al campione B “vino con un cubetto di ghiaccio”, degustato a circa 13 °C: la minore temperatura fa giungere al naso meno note agrumate del campione A, facendo apprezzare maggiormente le note floreali. Nel complesso non si segnalano variazioni di profumo sostanziali.
In bocca la percezione aromatica risulta meno evidente, con la sapidità a farla da padrona e con una persistenza minore in termini di tempo. L’effetto è presto spiegato: un cubetto di ghiaccio sono 10 g di acqua che aggiungiamo al vino e che lo diluiranno. In pratica abbiamo allungato il vino del 14% circa.
Arriviamo infine al campione C “vino con tre cubetti di ghiaccio”, assaggiato a circa 2 °C: il naso, esuberante nei campioni A e B, è quasi assente. Paradossalmente la nota che spicca sulle altre è una fragranza di lieviti, profumo decisamente secondario negli altri campioni, mentre i fiori vanno cercati col lanternino.

In bocca la sensazione gelata è null’altro che fastidiosa. L’effetto è quello di anestetizzare le papille gustative, perfino l’estrema sapidità del vino ne risente. Inutile dire che in queste condizioni è impossibile percepire alcun sapore degno di nota.


L’esperimento poteva anche concludersi qui, ma dato che noi ad un wine bar non ingoieremmo un calice di vino in un unico sorso (vero?), ho ripetuto gli assaggi dopo altri 15 minuti di sosta nel calice.

Il campione A, degustato stavolta a circa 20-21 °C, detiene saldamente lo scettro di vino più intensamente profumato dei tre ma, data l’alta temperatura, si captano anche delle fastidiose note alcoliche che rendono meno piacevole l’olfazione. Anche in bocca la maggior temperatura fa percepire maggiormente l’alcol, che va a sommarsi alla forte sapidità e che rendono il sorso più difficoltoso.

Il campione B, che ha mantenuto la propria temperatura attorno ai 13 °C, è rimasto invariato sia al naso che in bocca.

Il campione C, assaggiato a circa 6-7 °C, ha anch’esso confermato l’assenza di profumo e una bocca di nullo sapore, come prevedibile: tre cubetti corrispondono a 30-35 g di acqua, che tradotto in termini di diluizione significa aver allungato il vino del 50%.


Cosa si deduce dalla prova effettuata? Che ogni vino possiede una gamma di molecole aromatiche peculiare, un intarsio millimetrico di profumi e sapori che hanno una correlazione diretta con il vitigno, con il grado di maturazione dell’uva, con l’annata, con il territorio dove le viti affondano le radici, con tempi e modi di affinamento, ecc… L’invadenza maleducata anche di un solo cubetto di ghiaccio perturba questa trama delicata, con la possibilità di perdere il piacere di bere un qualcosa di unico. Figuriamoci nel caso di tre cubetti, come piace agli americani e, mi dicono, anche ai francesi (chiedere ai piemontesi per maggiori informazioni): come si può pretendere di avere ancora del profumo e del sapore residuo se allunghiamo il vino della metà, anche nel caso di un esemplare da svariati kilotoni aromatici?

Volete godere di vino fresco, finanche freddo? Munitevi di secchiello e i cubetti di ghiaccio metteteli dentro quest’ultimo, magari aggiungendoci anche un pizzico di sale grosso se siete amatori dei climi antartici, oppure acquistate una glacette, strumento ideato per mantenere a lungo stabile la temperatura del vino nella bottiglia.