Tra vini dealcolati (e il poco lungimirante atteggiamento del governo nei loro confronti) e le nuove frontiere della birra analcolica (di cui abbiamo parlato con uno dei padri del movimento artigianale) si fa un gran parlare di no/lo, espressione che racchiude in sé la nuova scena del no-alcool/low-alcool che, vedrete, è ben più ampia di semplici versioni morigerate delle bevande più diffuse, anche se, in un paese come l’Italia in cui la cultura enologica è così radica e la convivialità difficilmente prescinde da un brindisi, la diffusione di questi prodotti è vista ancora con sospetto.
Certo, le rivoluzioni non accadono per caso, servono molte congiunture sociali e culturali (e tecnologiche, in questo caso), ma soprattutto serve chi creda nella causa e faccia attivismo: catalizzatore di tutto questo in Italia è certamente Riccardo Astolfi. Bolognese di nascita, ingegnere di formazione ricercatore e innovatore del cibo per vocazione, ha organizzato insieme a Nicolò Pagnanelli e La Sobreria “No/Lo Bolo”, prima fiera in Italia dedicata alle nuove frontiere dell’analcolico, e quest’anno ha esordito come produttore con Orlo, mosto d’uva analcolico realizzato in collaborazione con Gianluca Bisol, produttore di Prosecco e proprietario della Tenuta Venissa.
Anni di ricerca e impegno in questo ambito sono stati da poco messi nero su bianco in un libro: “No/lo manifesto del bere senza alcool” edito da Enea Edizioni (286 pagine, 20€), che si pone come strumento non solo per promuovere la scelta analcolica, ma per smontare ogni abitudine, tradizione o certezza legata al consumo di alcool.
Il Manifesto del bere senza alcool, un libro difficile ma necessario

Partiamo subito da una premessa: questo manifesto non è una lettura facile né leggera, per molti motivi. Non lo è perché non si tratta del semplice salutismo di qualche vegano hippy o del marketing di un produttore di kombucha, si parte dagli albori della storia dell’umanità, quando fermentazioni alcoliche accidentali regalavano ebbrezze rituali, fino alla liturgia contemporanea del Dry January.
Non lo è nemmeno perché Astolfi è chiaramente un pensatore torrenziale, e le sue riflessioni scorrono sulla carta impetuose, in una sorta di flusso di coscienza spesso anche in versi liberi che a tratti trasforma il manifesto più in uno zibaldone che una dichiarazione d’intenti, e non avrei voluto essere nei panni di chi lo ha editato.
Ma la vera difficoltà sta nel digerire l’innegabilità di quanto esposto in questo libro: l’alcool non è inevitabile. Ed è particolarmente difficile accettarlo in un paese come l’Italia, che si sta dimostrando particolarmente restia ad accettare l’evoluzione verso il no/lo, in cui il rapporto col nettare di bacco sfiora il religioso, e dove rituali, credenze, e anche una certa recente retorica politica, arrivano anche a negare evidenza scientifiche come quella che non esista un alcool buono e uno cattivo, né una dose quotidiana non tossica.
Una cosa è chiara: la generazione attuale è quella che più di tutte vive il distacco da queste dinamiche e riesce a contestualizzare il consumo di alcool in un modo più critico e sano. Per loro, ma per chiunque si ritenga “sober curious”, Astolfi ha preparato un vero kit di strumenti per navigare quella che prima può essere percepita come una rinuncia e poi vissuta come una nuova abitudine.
Centinaia di versi motivazionali che vogliono normalizzare la scelta analcolica, esempi di giornate vissute senza alcool (con tanto di risposte da dare alle solite domande: “perché non bevi? Sei malato?”), un vero atlante mondiale delle specialità analcoliche dal mondo che va ben al di là dei già conosciuti kombucha e kefir, a dimostrare che anche i prodotti senza alcool hanno un bagaglio culturale millenario, e un approccio accademico non è solo appannaggio del vino.
In questo esercizio chirurgico di sistematica distruzione delle certezze, l’ambizione più grande è forse quella di creare una tradizione contemporanea e occidentale di consumo no/lo creando ed adottando un nuovo linguaggio, liberandosi dal giogo di una terminologia e dai conseguenti schemi mentali mutuati dalla sommellierie, che ha creato uno schema di valori ormai inadatto: nuove parole per un nuovo modo di bere.
“No/lo manifesto del bere senza alcool” è un libro necessario per chi voglia capire la profondità inesplorata del mondo del bere senza alcool e, che vi piaccia o no, imporrà riflessioni sofferte anche nel più inveterato sostenitore della cultura del “bere bene” indissolubilmente legata all’alcolico.


