Perché beviamo acqua in bottiglia?

Perché continuiamo a non investire sull'acqua pubblica e a bere quella in bottiglia?

Perché beviamo acqua in bottiglia?

Siamo arrivati a pagare una bottiglietta da mezzo litro d‘acqua anche tre euro (vedi alla voce “aeroporti”, giusto per dirne una), o anche otto euro, se l’acqua è griffata Ferragni. Non manchiamo di indignarci per questi costi esagerati ma, mentre lo facciamo, dobbiamo ricordarci che non abbiamo ragione, almeno non sempre. Perché l’alternativa all’acqua in bottiglia ce l’abbiamo da sempre, pronta in casa, eppure continuiamo a non farci caso.

L’Italia ha infatti da anni il record europeo di acqua in bottiglia consumata: 14,9 miliardi di litri annui, pari a 252 litri pro-capite nel 2022. Per dire, in Gran Bretagna se ne consumano cinque volte di meno, e non è che gli inglesi bevano soltanto birra. Soldi che vanno ad appesantire (per la maggior parte senza un reale motivo) i nostri portafogli e ad alimentare un giro di affari di 3,1 miliardi di euro, con una produzione di 16 miliardi e mezzo di litri di acqua in bottiglia, destinati non solo all’uso domestico ma anche all’esportazione in Europa e negli Stati Uniti.

Insomma, continuiamo a essere i leader mondiali dell’acqua a pagamento, nonostante le battaglie sacrosante sull’acqua pubblica.

Quanto spendiamo (e quanto costa all’ambiente) per l’acqua in bottiglia

Non è una questione da poco, anche in termini spiccioli. Una famiglia italiana, già prima dell’inflazione, spendeva circa 240 euro l’anno in acqua in bottiglia, mentre potrebbe spendere molto, ma molto meno se utilizzasse l’acqua del rubinetto. “In termini di costo unitario (euro/litro) la spesa mensile per acqua minerale consumata è circa seimila volte superiore a quella fatturata per uso domestico“, diceva l’Istat già nel 2018).

Questo guardando solo al lato puramente economico, senza tenere conto dell’enorme problema ambientale dovuto alla plastica generata dalle bottiglie d’acqua. Per dire, l’Italia è uno dei peggiori Paesi europei in termini di rifiuti plastici, e a questo nuovo record il consumo di acqua contribuisce con 10 miliardi di bottiglie in plastica monouso immesse nel mercato ogni anno (di cui 7 miliardi, dice Greenpeace, non vengono riciclate in alcun modo).

Ah, e c’è anche la questione della salute, che è forse il principale motivo per cui la maggior parte delle famiglie italiane sceglie l’acqua in bottiglia, considerandola più salubre. In una recente analisi dell’organizzazione giornalistica non profit Orb Media, ad esempio, è venuto alla luce come su 259 bottiglie d’acqua analizzate, il 93% contenesse microframmenti di plastica, in una media di 10,4 particelle di plastica per litro. Anche l’ultimo rapporto realizzato dall’Institute for Water, Environment and Health delle Nazione Unite evidenzia come in alcuni casi si sia rilevata, nell’acqua in bottiglia, “la presenza di contaminazioni inorganiche, organiche e microbiologiche“. Eppure, nonostante questo, tra il 2010 e il 2020 il settore dell’acqua in bottiglia è aumentato del 73%, e sta continuando a crescere. Anche se, dice sempre la divisione delle Nazioni Unite, “ garantire l’accesso all’acqua potabile per i due miliardi di persone che attualmente non ce l’hanno richiederebbe un investimento annuale inferiore alla meta’ dei 270 miliardi dollari attualmente spesi ogni anno per l’acqua in bottiglia“.

L’acqua del rubinetto è buona?

Ma perché allora continuiamo a consumare acqua in bottiglia? La questione è certamente legata alla percezione di fiducia che il consumatore ha nei confronti dell’acqua del rubinetto. Eppure, se è vero che le nostre reti idriche hanno un’enorme problema di vetustà e di dispersione (su cui bisognerebbe agire, visti i crescenti problemi di siccità) è altrettanto vero che la nostra acqua è generalmente buona. Le acque destinate al consumo domestico sono sottoposte per legge a “controlli interni”, che il gestore è tenuto ad effettuare, e “controlli esterni”, svolti dall’Azienda unità sanitaria locale (AUSL) territorialmente competente. Sulla base dei controlli effettuati viene emesso il giudizio di idoneità al consumo umano dell’acqua che spetta alla Azienda sanitaria competente.

Non solo l’acqua del rubinetto è generalmente buona, ma è anche sostanzialmente ricca di sostanze minerali. “Il contenuto di minerali nelle diverse acque di rubinetto è estremamente variabile in funzione dell’origine della risorsa idrica e dei trattamenti che l’acqua subisce nel corso della potabilizzazione e distribuzione“, spiega il Ministero della Salute. “In generale, le acque italiane, per più dell’85% di origine sotterranea, anche quando sottoposte a trattamenti di potabilizzazione, contribuiscono ad apportare quantità apprezzabili di alcuni minerali come risultato di fenomeni naturali di cessione da rocce e terreni a contatto con l’acquifero, ad esempio, calcio, magnesio, fluoro, ferro, manganese, zinco, iodio, selenio, zolfo, fosforo, potassio“.

Bonus acqua potabile: ma perché?

Se bisogna dunque andare nella direzione di spiegare ai cittadini che nella stragrande maggioranza dei casi possono bere l’acqua del rubinetto senza timore, e anzi facendo la giusta scelta in termini economici e ambientali, non si capisce perché le risorse statali non vadano in questo senso.

Basti pensare al Bonus acqua potabile 2024, che prevede agevolazioni per chi acquisterà e installerà a casa propria sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e/o addizione di anidride carbonica alimentare. Fatto salvo per il caso di chi vuole crearsi in casa l’acqua gasata, non è ben chiaro perché bisognerebbe incentivare i cittadini a comprare sistemi di filtraggio per un’acqua che – garantisce il Ministero – è già buona così.

Perché la percezione, in questo caso, può andare solo in due direzioni: o il bonus è inutile ai fini di “razionalizzare l’uso della risorsa e ridurre il consumo di contenitori di plastica“, motivo per cui è stato pensato, oppure si è portati a pensare che il Ministero non abbia ragione, e dunque che l’acqua pubblica non sia buona e sia necessario, per renderla potabile, adottare sistemi di filtraggio.

Un ragionamento del genere, ci sembra, va in direzione totalmente opposta all’invito delle Nazioni Unite a costruire più fiducia nel consumatore nei confronti dell’acqua potabile. Così, pare, ci terremo stretti i nostri record di consumo ancora per un bel po’. Con buona pace dell’ambiente e, soprattutto, con grande soddisfazione delle industrie.