Tè senza caffeina di Corea e Giappone: quali provare

Il tè senza caffeina, o teina che dir si voglia, può essere un gran piacere. Dalla Corea e dal Giappone vi raccontiamo gli 11 ottenuti da orzo, riso e soia che abbiamo provato con soddisfazione.

Tè senza caffeina di Corea e Giappone: quali provare

Mentre leggete Dissapore vi sarà sicuramente capitato di sorseggiare una tazza di . Sicuramente nero, il più consumato qui da noi, oppure verde. Difficilmente bianco o giallo, a meno che non siate veri intenditori. Scommettiamo però che pochissimi di voi conoscano e/o abbiano mai assaggiato una categoria di tè sui generis ricavata da cereali e legumi. A base di orzo, riso, soia, grano saraceno, senna e lacrime di Giobbe, questi infusi da Corea e Giappone sono troppo buoni per non parlarne. Il fatto che siano quasi sconosciuti, almeno qui in Italia, è un gran peccato. Dal gusto tostato, affumicato, umami, fragrante e “croccante” che sembra quasi di poterli masticare, farebbero impazzire le nostre papille occidentali. In più, a differenza dei classici infusi di Camellia sinensis, non contengono caffeina (salvo qualche rara eccezione la cui concentrazione è comunque più bassa rispetto alla media).

Prima di addentrarci, un piccolo appunto linguistico. Noterete il ripetersi del suffisso -cha, sia in versione coreana che giapponese. Dal cinese chá () esso indica il tè come bevanda e ne mantiene il significato nei paesi limitrofi (lo stesso vale per il chai indiano). Il prefisso invece fa riferimento alla materia prima da cui è ricavato. Ad esempio bori-cha è tè di orzo, soba-cha di grano saraceno, oksosu-cha di mais e così via.

Ecco quali sono gli 11 tè senza caffeina da Corea e Giappone, da conoscere e provare almeno una volta nella vita.

Bori-cha

tè-orzo-coreano copia

Partiamo da uno dei più antichi e diffusi, il bori-cha o tè di orzo tostato coreano. Si tratta di un’infusione di chicchi di orzo tostati che può essere realizzata sia calda, sia in versione ghiacciata. Ha colore ambrato e sapore deciso, prevalentemente tostato con una punta di retrogusto amaro. Viene usato da secoli nella medicina tradizionale per curare indigestione e stati infiammatori. Oggi la scienza dice che sì, effettivamente il tè di orzo è ricco di antiossidanti, vitamina B e quercetina, flavonoide dalle proprietà antinfiammatorie.

Tuttavia ci sono almeno due aspetti a cui porre attenzione. Il primo è il glutine che l’orzo contiene naturalmente: celiaci, maneggiare con cura o astenersi del tutto. Il secondo è rappresentato dall’acrilammide, sostanza potenzialmente cancerogena e anti-nutriente che può formarsi negli amidacei sottoposti ad alte temperature. Per evitarla basta prendere qualche precauzione: fare attenzione al colore dei chicchi, preferendo quelli di colore marrone scuro; evitare le bustine già pronte e acquistare sfuso; optare per il fai-da-te, ovvero tostare i chicchi in casa.

Mugi-cha

tè-orzo-giapponese

A differenza del bori-cha, la storia del mugi-cha o tè di orzo tostato giapponese è ben documentata. Il consumo risale al periodo classico Heian (794-1185), prevalentemente fra le classi aristocratiche e le alte cariche militari. Nel periodo Sengoku (15-16esimo secolo) era bevuto dai samurai, mentre lo sdoganamento popolare avvenne fra il periodo Edo (1603-1868) e Meiji (1868-1912). Con l’arrivo del frigorifero negli anni Cinquanta, il mugi-cha divenne drink estivo di elezione per questioni di gusto e stagionalità.

A questo punto forse vi starete chiedendo: che ce ne facciamo di bori-cha e mugi-cha quando abbiamo già il caro vecchio caffè d’orzo? Rispetto alla polvere solubile, l’infusione di chicchi di orzo ha almeno cinque vantaggi. Mantiene più facilmente le proprietà nutritive; non è eccessivamente lavorata o trattata; spesso ha origine tracciabile; non è mai mischiata con zucchero, polvere di latte, emulsionanti o altri additivi; ha una gamma di aromi ben più complessa e sfaccettata. Paragonare orzo solubile e tè di orzo è come la gara fra capsule e specialty coffee, lo standard industriale contro l’estrazione che rende giustizia alla materia prima. In sintesi, bevete responsabilmente.

Sungnyung

tè-riso-coreano

Tutti, in ogni parte del mondo, andiamo pazzi per la crosticina sul fondo della pentola, specialmente quella formata dal riso. Tanto che in molte culture essa ha un nome ben preciso: tahdig persiano, socarrat valenciano, okoge giapponese, guoba cinese. La lista è ancora lunga, ma soffermiamoci in Corea del Sud. Qui il fondo croccante di riso si chiama nurungji: popolare snack, questo “avanzo” diventa la base del sungnyung, il tè di riso spezzato coreano.

Basta aggiungere acqua calda e lasciarla in infusione abbastanza a lungo da assorbire il sapore del riso. Il sungnyung, specialmente in passato, assolveva a una triplice funzione: pulire la pentola, azzerare gli scarti e favorire la digestione. Era ed è infatti uso servirlo a fine pasto, e ci mancherebbe visto che si ricava solo una volta svuotata la pentola. Di colore perlaceo, ha gusto e aromi tipici del riso bollito.

Hyeonmi-cha

tè-riso-coreano

Se la base del sungnyung era semplicemente riso bianco bollito, lo hyeonmi-cha coreano vede protagonista il riso integrale tostato di varietà Japonica. L’infusione che se ne ottiene ha sfumature che vanno dal giallo al marrone chiaro, aroma tostato di riso soffiato e cereali, sapore fragrante. Particolarmente apprezzata anche la variante hyeonmi-nokcha, letteralmente “tè verde di riso integrale”. In questo caso al riso tostato vengono aggiunte foglie di tè verde cotte al vapore (non arrostite) dette jeungje-cha. L’infuso così ottenuto contiene naturalmente caffeina.

Genmai-cha

genmai-cha

Il mix di riso soffiato integrale (genmai) e foglie di tè verde tostate (bancha o sencha) è tipico del Giappone. Il genmai-cha fin dall’inizio ha avuto successo fra le classi meno abbienti. Da una parte per il suo costo irrisorio rispetto al tè puro, dovuto all’aggiunta di un ingrediente così economico come il riso; dall’altra per il gusto corposo dal potere “saziante” capace di dare resistenza in periodi di digiuno, religiosi o meno che fossero.

L’aroma vegetale e tostato correda un sapore rotondo e leggermente dolce. In effetti sembra di bere (e un po’ si mangia pure) la classica tazza di cereali al riso soffiato. O ancora, come lo chiamano i giapponesi, un “popcorn tea” per via dei chicchi bianchi scoppiati simili a quelli di mais. Il sapore fragrante e appetitoso c’è, manca solo la croccantezza materica: per quella basta chiudere gli occhi e aggiungere un pizzico di immaginazione.

Fra le sue caratteristiche principali vi è la presenza minore di caffeina rispetto a un normale tè verde. Ciò fa del genmai-cha classico una bevanda leggera e poco corposa, ideale anche nella seconda parte della giornata. Per sapori più incisivi (e più caffeina) c’è il matcha-iri genmai-cha, con aggiunta di polvere di tè matcha a vari gradi di concentrazione.

Soba-cha

grano-saraceno-tostato

Attenzione lettori: è in corso una petizione per portare il soba-cha in Italia, al momento introvabile. Nah, ce lo stiamo inventando ma sarebbe un’ottima iniziativa. Sentite qua. Il soba-cha o tè di grano saraceno giapponese ha numerose proprietà, oltre ad essere assolutamente delizioso. Tanto per cominciare è senza caffeina e senza glutine, un punto in più rispetto al mugi-cha di orzo. Contiene fibre e sostanze antiossidanti come catechine, acido fenolico e selenio.

Il soba-cha si ottiene dai chicchi tostati di grano saraceno. L’infusione può essere fatta a caldo o a freddo, e il soba-cha ghiacciato d’estate batte tutti i caldi possibili. Ha sapore robusto e aroma complesso, che va dalla frutta secca, al vegetale, al torbato. Si accompagna al ramen che è una meraviglia, così come a funghi e risotti vegetali. Chi firma?

Memil-cha

tazza-tè

Per capire le differenze tra soba-cha e memil-cha, o tè di grano saraceno coreano, occorre tornare per un momento ai banchi di scuola. Ci servono infatti diverse nozioni fra geografia, chimica, storia e agronomia. Dunque: il memil-cha coreano è ricavato dai chicchi tostati di Fagopyrum tataricum, alias grano saraceno tataro. Questa pianta tecnicamente non è grano saraceno ma un suo parente strettissimo appartenente alla stessa famiglia. Viene coltivato nella provincia del Gangwon, regione settentrionale della Corea del Sud.

Il Gangwon è un’area costiera e montuosa, è la sua agricoltura si basa prevalentemente su piante resistenti come patate, riso selvaggio e pseudocereali. La varietà tatara prende il nome dai Tatari, gruppo etnico di origine turca che si spostò soprattutto nelle zone orientali della Russia, fino a Siberia, Mongolia e Cina. Questa pianta così simile al grano saraceno fu addomesticata proprio in queste zone, da cui il nome.

Cosa la rende così speciale? Questione di chimica: essa contiene rutina, flavonoide antiossidante e vasoprotettore, in quantità maggiore rispetto al normale grano saraceno. Il memil-cha dunque, oltre a tutti i benefici del soba-cha, si aggiudica un punto importante a livello nutritivo. Apparentemente sapore e aspetto sono gli stessi, forse con una punta di retrogusto amaro in più. Lezione finita (e petizione ancora valida).

Gyeolmyeongja-cha

tè-rosso-coreano

In ambito farmaceutico la senna è sinonimo di disturbi gastrointestinali. Foglie, semi ed estratti di Cassia senna sono utilizzati da millenni per favorire il transito intestinale e tutti i problemi a esso correlati. Dagli antichi egizi, che la usavano come tintura in vini medicali, alla farmacia sotto casa la senna ci dà una spinta, letteralmente.

In Corea del sud hanno unito funzione curativa a piacere della degustazione. Il gyeolmyeongja-cha è il tè di semi di senna tostati coreano da varietà Senna obtusifolia e Senna tora. Il nome gyeolmyeongja significa “seme che illumina gli occhi”, e non ci lanciamo in speculazioni sul momento in cui questo strabuzzamento dovrebbe avvenire. In realtà, oltre alle ben dimostrate proprietà diuretiche e purgative, si dice che l’infuso porti beneficio a occhi e vista.

Ma come la mettiamo sul piano organolettico? Le caratteristiche del tè di senna assomigliano a quelle del cosiddetto tè rosso. Colore scuro e rossastro, sapore fruttato e dolciastro, aroma intenso che ricorda lychee e spezie dolci. Da maneggiare con cura, letteralmente “al bisogno”.

Kuromame-cha

fagioli-soia-neri

Il kuromame-cha o tè di fagioli di soia neri giapponese è probabilmente l’esemplare più raro della lista. Ricavato da iwakuro, varietà di soia nera tipica di Hokkaido, ha un profilo organolettico complesso e interessante: dolce e umami, il sapore ricorda la frutta secca, mentre l’aroma insieme tostato, terroso e vegetale richiama castagne, pane e funghi.

Il kuromame-cha è la chicca da non perdere, e non solo per quanto riguarda il piacere della beva. Ricchissimo di fibra, contiene anche proteine, potassio, calcio e ferro. Naturalmente ha zero caffeina. Inoltre, dopo aver sorseggiato il tè, i semi possono essere riutilizzati tal quali come snack proteico. O ancora diventare la base del kuromame no nimame, piatto tradizionale a base di fagioli di soia bolliti e zuccherati.

Oksosu-cha

tè-giallo

Insieme al bori-cha, l’oksosu-cha o tè di mais tostato coreano è fra i più richiesti e consumati. Anche perché, sempre rispetto al tè di orzo, il mais ha gusto dolce e rotondo senza traccia di retrogusto amaro. Ulteriore differenza riguarda il consumo: laddove il bori-cha va forte durante l’estate, l’oksosu-cha è una classica bevanda invernale.

L’infusione si può ottenere direttamente dai chicchi, essiccati e arrostiti, e/o dalla cosiddetta “barba” del granoturco, in coreano suyeom. Questo agglomerato di fibre normalmente sporge dall’estremità superiore della pianta, e può essere utilizzato in ambito alimentare e farmaceutico.  Il tè ottenuto esclusivamente da barba o seta di mais viene chiamato oksosu-suyeom-cha. Ha proprietà diuretiche e antinfiammatorie, tuttavia a livello organolettico risulta decisamente meno saporito dell’infuso da chicchi.

Yulmu-cha

tazza-tè-giapponese

Il più unico che raro tè di lacrime di Giobbe coreano merita una premessa. Cosa diavolo sono, anche a costo di sembrare blasfemi, ste lacrime di Giobbe? Si tratta di una varietà di miglio nativa del sud est asiatico dai semi ovali, perlacei e penzolanti. La nomenclatura botanica si è scatenata con l’immaginario religioso: gocce e lacrime certo, ma anche rosari e perline che coadiuvano la preghiera. Non siamo abbastanza ferrati sulla Bibbia per sapere cosa avesse da disperarsi, ma ringraziamo Giobbe per lo spunto e gli spuntini.

Lo yulmu-cha infatti è una delle tante preparazioni che vedono questo pseudocereale protagonista. Oltre al tè si presta a porridge, zuppe e risotti dal sapore molto delicato. Lo yulmu è la polvere ricavata dai semi tostati che, dissolta in acqua calda, dà vita a un tè bianco e opaco dal sapore distintamente tostato che ricorda la noce. Questo prodotto, per la sua rarità e tecniche di preparazione tradizionali, è incluso nell’Arca del Gusto Slow Food.