Cosa fanno i giovani italiani che inventano il cibo del futuro

Startup italiane: cosa fanno i giovani italiani che inventano il cibo del futuro

Cosa fanno i giovani italiani che inventano il cibo del futuro

La settimana scorsa sono stato a Bologna al Future Food Urban Coolab, una sorta di mensa 2.0 in cui gli studenti dell’Università non solo mangiano ma pure discutono sull’innovazione alimentare.

Quel pomeriggio a tenere una conferenza c’era Mark Post – il docente olandese che ha inventato l’hamburger cresciuto in vitro – e ad ascoltarlo tanti giovani (compresi quelli del master Food Innovation Program).

Così, ascoltando Post e bevendo un aperitivo a base di barbabietola fermentata mi sono ritrovato a chiacchierare con uno startupper.

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E la chiacchiera è stata così interessante – per me che ormai sono un matusa – che la trasformo in una piccola intervista.

Se volete un assaggio di quello che i giovani imprenditori stanno facendo con il cibo, eccolo qua.

Mattia Nanetti ha venticinque anni. Dopo la laurea cum laude in economia e marketing nel sistema industriale a Bologna e un master in innovazione alla Business School del Politecnico di Milano, con Andrea Monterumisi e Antonio Catapano nel 2015 ha varato la start-up Wenda.

Wenda è stata “accelerata” da Unicredit e si è già fatta notare: ha vinto due premi nel Corporate Fast Track del Premio Marzotto ed è stata selezionata al programma Young Enterprise Initiative-Start in France. Il loro primo progetto era MEMORViNO.

— Cos’è MEMORViNO?
— E’ un sistema che mette in contatto piccoli produttori e appassionati di vino durante le degustazioni. Viene distribuito un “bicchiere intelligente” che ogni volta che viene poggiato su un banchetto memorizza ciò che viene servito.

Abbinato a un’anagrafica, permette ai piccoli vignaioli – penso a quelli che stanno magari in posti remoti, che non hanno grandi budget di comunicazione – di creare un contatto con gli appassionati e di poter poi comunicare con loro a evento finito.

— Su che numeri l’avete testato?
— Su 36.000 degustazioni. Anche in un evento con 1.000 partecipanti e 70 espositori. Con questi numeri avere traccia di ciò che succede è comodo per chi assaggia, indispensabile per chi produce.

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— Avete altri progetti?
— L’altro nostro progetto è JODYN. Nell’ambito dell’”Internet delle cose” è una sorta di scatola nera che viaggia con le merci e ne documenta la vita. Esistono altri progetti simili, ma il nostro è quello con più sensori, che dà più informazioni.

Un esempio: un produttore di vini toscano voleva che il proprio vino diretto negli USA stesse sempre tra i 15 e i 25 gradi. JODYN ha scoperto che l’ha fatto solo per il 30% del percorso. Il 20% del cibo viene buttato via perché si rovina per le interruzioni nella catena del freddo.

La nostra sfida, ora, è far certificare JODYN da un’assicurazione in modo che i suoi dati possano far fede per un risarcimento.