Vinitaly | Un sogno o il peggiore dei nostri incubi?

Confesso: quello che è terminato ieri è stato il mio primo Vinitaly.

In passato ho sempre riscontrato una bizzarra dicotomia tra chi tornava da Verona soddisfatto e chi invece giurava che alla più grande fiera del vino italiano non sarebbe tornato, e ora finalmente capisco che le due posizioni hanno una loro oggettiva verità. Io che la dicotomia ce l’ho nel cervello, posso riassumere in questo modo i due opposti partiti:

Non ci andrò mai più.
Non ci andrò mai più perché c’è troppo casino, si parcheggia a Mantova e si cammina fino a star male, perché si beve Vin Santo alle dieci del mattino e perché già dalle undici sei uno straccio da buttare via. Non ci andrò mai più per le sputacchiere stracolme che ti colano sulla scarpa, per gli ubriachi che ti inciampano addosso, per le file ai bagni nel padiglione Friuli che cominciano dal padiglione Sicilia. Non ci andrò mai più perché è troppo grande, perché è dispersivo, perché al terzo assaggio di vino piemontese perdi il senso dell’orientamento e ti senti come un criceto che corre inconsapevole dentro la ruota. Non ci andrò mai più perché mi fanno tenerezza i produttori piccolini con i loro bibanesi spesso oscurati dai colossi pieni di soldi con stand a tre piani, buttafuori, ostriche e foie gras. Non ci andrò perché se per caso sei una donna sola, vieni aggredita da commenti, sguardi, fischiate e approcci di ogni tipo, soprattutto del tipo volgare. Non ci andrò perché vedere in modo così macroscopico quanto l’alcol trasformi le persone mi fa passare la voglia di bere. Infine non ci andrò mai più perché se non sei un addetto ai lavori con un programma ben studiato da seguire, ti perdi senz’altro le cose migliori e quindi, detto tra noi, ma chi me lo fa fare?

Ci tornerò.
Tornerò al Vinitaly perché è un’esperienza unica: superato il primo senso di smarrimento, si riceve un colpo d’occhio didatticamente insuperabile sui nostri vini, sulle loro territorialità, sul peso di alcuni produttori e la creatività di altri. Ci tornerò perché si salutano gli amici e si condividono piccoli momenti di profonda spensieratezza. Ci tornerò per le prelibatezze gastronomiche nascoste negli stand più impensabili, per alcuni assaggi notevoli, perché a forza di camminare di certo non si ingrassa. Ci tornerò perché è vero che ci provano, ma qualcuno riesce anche a farti ridere, come quello che, dopo avermi fermato prendendomi per un braccio, ha urlato: “A Bella, dove stai correndo? Stai qua con me, no?”, e alla mia risposta: “Vado dagli amici di Intravino”, ha detto: “Intravino? Ma guarda che quelli sono tutti froci!”. Ci tornerò perché capita di alloggiare fuori Verona in posti da sogno, perché la sera c’è sempre qualcuno che ti invita a una festa, perché tra esseri umani, non importa se visitatori, produttori o addetti ai lavori, si può creare una solidarietà pazzesca che ti porti a casa sotto forma di amicizia e questo è davvero un buon motivo per tornarci, almeno per me.

Contestate, arricchite o correggete se credete, ma alla fine, lettori, confessate: in merito al Vinitaly, di che partito siete?