Vino: Fiano ti amo (non è il titolo di un film di Moccia)

Vino: Fiano ti amo (non è il titolo di un film di Moccia)

Fiano ti amo. Come attacco è un po’ di parte e sembra il titolo di un film di Moccia. OK, riformulo: il Fiano di Avellino è il miglior bianco d’Italia. Può andare? Nel mio cuore se la batte con il Verdicchio, ma le migliori espressioni del primo ti fanno pensare di essere in Francia. Ed è bello pensare di essere in Francia, specie per bere vino bianco.

Al corso dell’Ais te lo raccontano con una grafica che ne sintetizza le infinite variazioni olfattive e la storia che si perde nell’antichità. A chi la vuole fare più facile (io) vengono subito in mente la grande aderenza al territorio, il carattere indomabile e le incredibili potenzialità di invecchiamento.

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L’ultima grandissima annata, generalmente, è stata la 2010 (che uso come riferimento), ma la 2013 potrebbe dare grandi risultati. Prendiamo sette cantine e celebriamone un’adeguata esegesi. Le altre me le dite voi.

ciro picariello

Ciro Picariello.
Si è conquistato in 10 anni di grandi bottiglie – e verticali che lasciano poco alle incertezze – un ruolo in prima fila tra gli ambasciatori del Fiano. Sette ettari tra Summonte e Montefredane e un grande vino artigianale che esalta il territorio.

Le vecchie annate sono ormai sempre più introvabili e per un 2005 ho visto fare cose eticamente discutibili. Nota futile a margine: nel mio immaginario, Ciro ha la faccia che deve avere un produttore di vino.

Fiano Pietracupa

Pietracupa.
Non sbaglia un’annata, grazie alla sapienza di Carmine Valentino, uno che fa faville sulla collina di Montefredane. Ma che non sembra mai totalmente soddisfatto. Forse per questo i suoi vini migliorano costantemente.

Avvertenza: se volte sfoggiare il sentore “affumicato” per darvi un tono, questo è il vino giusto.

Fiano Villa Diamante

Villa Diamante.
Insieme a Picariello, probabilmente il più naturalista del lotto; sicuramente quello che ha fatto da apripista all’approccio più in voga oggi fuori dall’industria (e anche dentro visto come stanno cambiando alcuni vini di grosso taglio).

L’impronta data da Antoine Gaita al suo Vigna della Congregazione è di grande pulizia, poca grassezza e acidità spiccata; insomma il Fiano più “francese” della selezione.

Guido Marsella - Fiano

Guido Marsella.
Manifesto di mineralità e longevità, tanto che Guido, produttore illuminato e perfezionista, lo mette in commercio a ben 20 mesi dalla vendemmia. E fa solo acciacio. Al naso e in bocca è un’esplosione di incredibile complessità.

Ho bevuto il 2010 poche sere fa e la sensazione più netta è che avesse ancora bisogno di tempo. Ma quanto era buono.

Fiano, Vadiaperti

Vadiaperti.

Undici ettari e cantina di riferimento che ha mostrato tutte le potenzialità della collina di Montefredane. E’ storicamente legata alla figura di Antonio Troisi, uomo centrale nell’evoluzione moderna del Fiano. Il figlio Raffaele ha proseguito la tradizione mantenendo il carattere salino e elegante dei suoi vini fino al 2012, per poi diventare l’enologo di Traerte.

Fiano, Cantina del Barone

Cantina del Barone.
A Cesinali, in un piccolo borgo collinare dell’Irpinia, capita di imbattersi nei 2 ettari di Fiano esemplarmente condotti da Luigi Sarno. Ex conferitore di Matroberardino, la Cantina del Barone è nota soprattutto per una particella (la 928) in cui il vino esprime tutta la sua mineralità, sapidità e ricchezza.

fiano

Rocca del Principe.
Dieci ettari e dieci anni dalla sua nascita per la cantina di Aurelia Fabrizio ed Ercole Zarella, situata sulle pendici del colle Arianiello, la parte più alta del comune di Lapio. Ancora una volta la 2010 è un’annata da ricordare per complessità, eleganza e bevibilità. Un po’ più grasse le due annate successive.

[Crediti | Immagini: Scatti di gusto, Il Viandante bevitore, Stralci di vite, Foodwineadvisor, Karen Phillips per Andiamo Trips]