Come si chiamano le pentole

Pentole vuol dire tutto e niente, se non le si chiama con il giusto nome, specialmente quando si cerca di interpretare bene una ricetta: la nostra guida.

Come si chiamano le pentole

Interno, cucina, giorno. Lui/lei lavora al tagliere e ammucchia a lato ingredienti puliti, tritati, sminuzzati. Senza interrompersi, chiede distrattamente: “Tesoro, mi passi la pentola?”. Stacco su faccina perplessa di “tesoro” che, davanti a uno stipetto ricolmo di marmitte e pignatte, si stringe nelle spalle perché non sa che pesci… pardon, che pentola pigliare. Certo, lui/lei avrebbe potuto essere più preciso e chiamare col suo nome la specifica pentola di cui aveva bisogno. Ma come si chiamano le pentole?

Nel linguaggio comune, tutti noi (me compresa) usiamo il termine “pentola” in modo generico per identificare qualunque recipiente atto a cuocere il cibo all’interno: sia alto o basso, grande o piccolo, con uno o due manici e così via. Diciamo: ho comprato un set di pentole. Ho messo su la pentola per la pasta. Le pentole vanno nel cestello inferiore della lavastoviglie. Dove tieni i coperchi per le pentole?

Con la mia nota puntigliosità, sono qui a dirti che – il più delle volte – sbagliamo.

Cos’è una pentola?

Pentola

È una sineddoche. No, non sto dicendo che la pentola è una sineddoche. Ma che la parola, impiegata per indicare l’intera categoria di quelle cose che servono per cucinarci dentro… beh, così diventa una classica figura retorica, la sineddoche appunto, quella per cui si usa la parte per il tutto.

Al contrario, il termine indica un ben determinato tipo di oggetto: dicasi pentola quella di forma cilindrica (a volte anche bombata), con due manici e con un’altezza pari o superiore al diametro.

Per intenderci, è una pentola quella in cui fai cuocere gli spaghetti e quella in cui borbottano brodi, legumi, bolliti e marmellate.

È, insomma, la più capace della batteria, dove “capace” non significa brava in qualcosa, ma capiente a sufficienza per accogliere una discreta quantità di liquido e/o ingredienti.

Il fondo è ampio e piatto, o almeno lo è da quando le pentole vanno su piastre e fornelli (grossomodo, dal secolo scorso), mentre prima era stondato, perché le pentole venivano appese sul focolare tramite l’unico manico ad arco. Quello che oggi sopravvive nella classica pentola per il risotto. Che, naturalmente, non è una pentola!

Questo tegame non è una pentola

frittata di patate

 

Tegame è un altro termine che viene usato in modo abbastanza indiscriminato ma ha la sua brava definizione: si tratta di un recipiente a pareti basse, ma non bassissime (altrimenti, sarebbe una padella!), dritte o svasate, a uno o due manici.

Per il risotto si usa un tegame con sponda media (8-10 cm) che, come dicevamo, un tempo aveva il manico ad arco, ancora usato in certi modelli in rame, fighetti e vintage. Oggi, si preferisce il tipo a due manici: uno corto, per tenere fermo il tegame mentre si rimescola la preparazione, l’altro lungo, da afferrare per mantecare all’onda.

È un tegame la sauteuse, con pareti svasate e bombate, che il marketing nostrano ha tradotto (orrendamente) in “saltapasta”, e infatti al suo interno si saltano e si rimescolano i sauté. Ma anche il cugino sautoir, che le pareti le ha ben dritte e si usa tutte le volte che c’è bisogno di una superficie di cottura ampia, per esempio per friggere le cotolette senza sovrapporle, stufare gli ossibuchi ben distesi, cucinare in umido le polpette e così via.

Entrambi hanno di preferenza un manico lungo (a volte anche una maniglia corta, come quella del tegame per il risotto), ma vi sono anche sautoir a due manici.

Cos’è una casseruola?

Casseruola

La casseruola è una pentola che non ce l’ha fatta. Ma anche la giusta via di mezzo fra la pentola alta e il tegame basso. Ovvero, un recipiente a pareti dritte (o bombate) di altezza inferiore al diametro. Ma comunque più alte di quelle del tegame. Che perciò potremmo definire una casseruola che non ce l’ha fatta. Va bene, smetto. Ma insomma, hai capito no?

La casseruola può avere un manico lungo o due corte maniglie. Si usa – come la pentola – per bollire e lessare (per esempio, la pasta corta) e anche – come il tegame – per umidi e stufati, ma voluminosi, come spezzatini e brasati. È adatta ad arrosti “vivi” o “morti”, ovvero rosolati o portati a cottura con l’aggiunta di un liquido.

Se il materiale lo prevede, va anche in forno. E può essere cilindrica ma anche ovale (ideale per grossi tagli di carne) o allungata, come la classica pesciera.

La parola deriva dal francese, lingua in cui il termine casserole indicava in origine proprio un recipiente adatto al forno. Oltralpe fanno il cassoulet, noi facciamo la cassoeula, la pentola quella è.

Chiatta come una padella

pasta tonno e piselli in padella

 

La padella è un tegame chiatto, ovvero – nell’accezione primaria dell’aggettivo – piatto, schiacciato. È il recipiente più basso di tutti e ha almeno altre due caratteristiche che la identificano: pareti svasate e manico lungo.

La forma rende la padella adatta a cotture veloci, in genere a fiamma vivace, destinate ad alimenti da smuovere o rigirare, come la classica omelette.

Nella padella si salta e si rosola come nella sauteuse ma bisogna essere più abili nel maneggiare il manico, perché i bordi bassi lasciano scappare fuori facilmente i cibi. Più facile rimescolare con una paletta.

In compenso, al termine della cottura proprio la conformazione delle sponde permette di far scivolare agevolmente le preparazioni nel recipiente di portata.

Due le eccezioni. Ha il bordo davvero bassissimo e perpendicolare al fondo la padella per le crêpes, extrapiatta e affine a un testo per cuocere o scaldare anche piadine, tortillas e simili.

Ha due manici la paella, che noi chiamiamo paellera, ma in spagnolo il termine vuol dire proprio padella. I due manici servono solo per spostarla perché, come è noto, la paella in cottura non si smuove mai.

La padella per fritti potrebbe mandarti un po’ in confusione, perché ha i bordi un poco più alti (per contenere olio e schizzi, per esempio quando fai le patatine) e sì, somiglia davvero a un tegame.

Per tacere del wok, che addirittura potrebbe apparirti quasi come una casseruola a un manico, da tanto è profondo, ma è svasato come nessun altro recipiente nostrano. E insomma, visto che è cinese lo mettiamo fra le declinazioni irregolari, come certi verbi, e non ne parliamo più (però, se vuoi scoprire tutto sul wok, leggi questo post).

I piccoli di casa

uovo tegamino

 

Il nipotino del tegame è il tegamino, a due manici, che si usa tipicamente per le uova all’occhio di bue e che di solito può andare sulla fiamma o in forno e di qui passare alla tavola, adatto quindi anche per gratin individuali da servire direttamente nel recipiente di cottura.

Non confonderlo con la padellina o il padellino (le solite questioni di genere!) che di manico ne ha uno solo… ma ci puoi comunque friggere un paio di uova!

Il pentolino conserva le medesime proporzioni della pentola ma è piccino picciò. Lo metti sul fuoco al mattino per il latte, oppure puoi usarlo per portare a bollore la piccola quantità di brodo con cui allungare uno stufato. Cosette così, insomma.

Quella che, invece, usi per riscaldare un avanzo di minestrone, o per fare una piccola porzione di besciamella o di crema, è a tutti gli effetti una casseruolina.

Ora che sai come si chiamano le pentole, a cosa ti serve?

A tutto e a niente. A volte (ma solo a volte!) ti potrà servire per interpretare meglio una ricetta, sempre che chi l’ha scritta sia stato preciso nell’indicare il giusto recipiente.

Altre volte potrà creare misunderstanding in famiglia, quando chiederai a chi ti affianca ai fornelli di prenderti il sautoir, perché ora che l’hai imparato non vedi l’ora di sfoggiarlo, ma l’altra persona non legge Dissapore (male!) sicché…

Un giorno, forse, troverai una definizione in un cruciverba: recipiente per la cottura con altezza maggiore del diametro. E potrai esclamare: pentola!

Soprattutto, senza nessunissimo senso di colpa potrai continuare a chiamare i tuoi “utensili per la cottura” un po’ come ti pare. Con il nome giusto, con quello sbagliato, con quello inventato.

Io, personalmente, ho e continuerò a chiamare così la mia casseruola per il gulasch: pesante, in ghisa, col suo bravo coperchio e il nome giusto. “Pentola per lo zampone” è invece il nome – decisamente sbagliato – che ho deciso per la casseruola ovale, dato che la uso solo per i più voluminosi salumi da cuocere. Per saltare il riso fritto per gli amici mi viene in aiuto il mio wokkone, nomignolo inventato per un enorme pentolone in ferro “rubato” anni fa in una cucina professionale. C’è poi la padella, regalo di Natale del mio fratellone e insostituibile per le frittate, che ho battezzato “la nera del Luca”. Prova a dirmi che non si chiama così!