Gli insetti made in Italy che mangiamo da sempre

Gli insetti sono una tradizione, promossa dalla Bibbia e in auge fin dai nostri antenati, ma soprattutto in uso nella cucina tipica regionale italiana. Ecco entomofagi made in Italy, per non giustificare alcuna xenofobia.

Gli insetti made in Italy che mangiamo da sempre

Gli insetti fanno schifo, ma se ho qualche resistenza a mangiarli, certo non è perché non sono Made in Italy, come dice Matteo Salvini.

Gli insetti fanno schifo, c’è poco da girarci attorno. Mi potranno convincere – mi stanno già convincendo – che la popolazione mondiale aumenta, il riscaldamento globale pure, per cui le proteine dobbiamo andarle a prendere da qualche altra parte che non siano gli allevamenti intensivi di mucche, e tra queste parti ci sono i legumi, ma ci sono anche gli insetti. 

Non mi convinceranno mai, però, a non provare ribrezzo davanti a uno scarafaggio, o a una larva come quelle che compaiono dentro ai panini di certe foto. Per finta poi, nel senso che quelle immagini hanno il solo scopo di non presentare il prodotto: nella maggior parte degli utilizzi di insetti elaborati dalle nuove tecnologie alimentari, il verme non si vede mica, perché le bestioline sono prima essiccate, poi ridotte in farina, infine mescolate ad altri ingredienti. Invisibili, e insapori. 

Non mi convinceranno mai, o forse sì, mostrandomi la foto di un gamberetto accanto a quella di un grillo, e dicendomi non sono poi così diversi. È vero, come no, ma l’alimentazione è un fatto di cultura, di abitudine: come dicono gli antropologi, qualcosa per essere buono da mangiare deve essere buono da pensare. È vero anche però che le abitudini si cambiano, la cultura si evolve: la neofobia (paura dei cibi nuovi) può essere superata. Sarà per questo che Salvini, il quale come al solito mira alla pancia (ehm) dell’elettorato, sovrappone alla neofobia la xenofobia (paura dei cibi stranieri: perché una delle cose che si dicono per convincere la gente a mangiare insetti è che milioni di persone nel mondo già lo fanno, non proprio un argomento vincente, da queste parti). Oggi il leader leghista si scaglia contro gli insetti a tavola contrapponendo la difesa del Made in Italy. Ovvero, ancora una volta, la benedetta tradizione: una parola che anche la persona più progressista, quando si parla di piatti e ricette, non riesce a non percepire con una connotazione positiva.

Però, a questo punto, mi sono chiesto: ma siamo proprio sicuri che non possiamo definire gli insetti un cibo tradizionale, appartenente alla nostra cultura, alla nostra storia? Andiamo a verificare, con un breve viaggio che parte da lontano ma arriva fino ai giorni nostri.

Preistoria: insetti alla brace

Prendendola alla lontana, gli uomini e gli ominidi della preistoria sicuramente mangiavano insetti: semplicemente perché mangiavano tutto quello che poteva aiutarli a sopravvivere. D’accordo, questa è una deduzione, ma ci sono prove indirette di vario tipo. Comparative: gli scimpanzé, i primati geneticamente più vicini a noi, sono sostanzialmente vegetariani, ma integrano con formiche e termiti. E anzi, con bastoncini e rudimentali attrezzi si dedicano a questo tipo di caccia con molto impegno: passano un terzo del loro tempo a raccogliere insetti per procurarsi un misero 4% del fabbisogno calorico giornaliero. La chiave sta nelle proteine, negli amminoacidi essenziali che gli animaletti contengono.

Prove archeologiche: le tracce di insetti rinvenute tra le ceneri di molti focolai; o la chitina, sostanza tipica dell’esoscheletro degli insetti, e non digeribile dall’uomo, che è stata ritrovata in antichissimi coproliti, ovvero fossili di feci (ok, se non vi era passata la fame finora, questo è il momento). Un’altra cosa che invece si può dedurre, ma con un gradi di sicurezza abbastanza ampio, è che l’inizio di una certa diffidenza nei confronti dell’entomofagia sia avvenuto con il passaggio da società di cacciatori a società agricole: l’insetto è nella maggior parte dei casi un pericolo per le coltivazioni, quindi un elemento da scacciare, e non da cercare.

Storia antica: spiedini di cavallette

Naturalmente in epoca storica, cioè quella successiva all’invenzione della scrittura, si possono trovare testimonianze dirette, racconti. O regole; come quelle dell’Antico testamento, che nel Levitico statuisce: “Avrete in abominio pure ogni insetto alato che cammina su quattro piedi. Però, fra tutti gli insetti alati che camminano su quattro piedi, mangerete quelli che hanno zampe sopra i piedi adatte a saltare sulla terra. Di questi potrete mangiare: ogni specie di cavallette, ogni specie di locuste, gli acridi e i grilli”. Ora, a parte il fatto che come le grida manzoniane insegnano, quando c’è bisogno di vietare qualche comportamento, significa che questo è frequentemente messo in atto; ma si vede come anche la Bibbia consenta di consumare certi  tipi di insetti.

La cavalletta è ricorrente, e da uno scritto della Siria del secondo millennio a.C., si deduce fossero addirittura una prelibatezza: si legge infatti di un servo che le mandava a prendere a 200 chilometri di distanza per portarle sulla tavola del re. Ma questi, si potrebbe dire con Salvini, sono pur sempre asiatici, mediorientali, levantini. Passiamo allora a qualche esempio che ci riguarda più da vicino.

La nostra civiltà è greco-romana, no? E allora ecco il grande Aristotele: “La larva della cicala ha un sapore migliore all’ultimo stadio dell’evoluzione larvale, ovvero quando diventa una ninfa (…) gli adulti femmina sono migliori dopo la copula perché pieni di uova”. Quindi i greci mangiavano cicale. I romani invece, riporta Plinio, consumavano il Cossus: c’è grande discussione tra gli storici sulla precisa natura di questo cibo, ma la cosa certa è che si trattava di larve di cervo volante o altro coleottero, prese dall’interno del legno di quercia dove crescono, e mescolate con farina e vino per insaporirle. Un piatto che andava anche sulle tavole dei ricchi.

L’entomologo del ‘500 Ulisse Aldrovandi cita ancora cavallette e cicale, e poi fa menzione dell’usanza italiana di fare i bachi da seta fritti. A volte gli spiedini di locuste assolvevano a una doppia funzione: in Germania in più di un’occasione, dopo invasioni che avevano completamente distrutto i raccolti, i contadini le mangiavano un po’ come forma di vendetta un altro po’ perché erano l’unica cosa viva nel raggio di chilometri.

Entomofagi italici contemporanei 

Va bene, si obietterà ancora, ma questo è il passato. A parte che, se la tradizione non si riferisce al passato, che tradizione è, il ragù di mamma e basta? Ma comunque: oggi gli insetti non li mangiamo più. Vero? Insomma. Le ricerche nelle comunità locali, anche relative a periodi recenti, dicono il contrario: Maurizio Paoletti, per esempio, ha pubblicato un articolo sulla rivista scientifica Contribution to Natural History in cui presenta uno studio effettuato nella zona del Friuli occidentale, Cadore e Carnia. L’oggetto principale è l’uso alimentare di piante selvatiche, ma non mancano gli insetti: bombi, lepidotteri e cavallette. Le zampe di queste ultime in particolare erano  molto usate come snack, venendo consumate crude e sul posto.

Passando ad alimenti più diffusi, almeno quanto a notorietà se non a consumo, è famoso il casu martzu che si fa in Sardegna. Principio, e nome, simile ha anche l’abruzzese pecorino marcetto: sono formaggi all’interno dei quali si permette a una particolare specie di mosca di deporre le uova. Le larve poi cibandosi del formaggio lo trasformano in una pasta cremosa e piccante, grazie all’azione degli enzimi. A voler essere pignoli qui lo scopo non è nutrirsi di insetti quanto di approfittare degli effetti che producono sul prodotto principale: un po’ come “usiamo” lieviti e batteri per far crescere il pane.

Un altro insetto di cui sfruttiamo le proprietà è la cocciniglia: in questo caso sono proprietà visive, perché un estratto viene usato come colorante alimentare per il rosso vivo che le caratterizza. Yogurt alla fragola, succhi di frutta all’arancia, caramelle e orsetti gommosi, ma più noto di tutti l’alchermes. A volte non è immediatamente individuabile, la cocciniglia, perché nelle etichette viene usata anche la sua sigla legale, colorante E120.

Infine, ma non di minore importanza, c’è la questione degli insetti ingeriti accidentalmente. Ne mangiamo circa mezzo chilo all’anno, secondo alcuni studi, e non fanno niente, in quantità minime. Tanto che la legge fissa delle soglie: un bicchiere di aranciata può contenere fino a 5 moscerini ed essere perfettamente in regola, oltre che sano. Parti di insetti si trovano nelle barrette di cioccolato, nelle marmellate, nelle conserve di pomodoro. Il mio sospetto è che in passato queste percentuali siano state ancora maggiori: parlo di un periodo che si è prolungato fino a non più di 50 anni fa. La frutta e soprattutto la verdura una volta venivano consumate fresche e sfuse, acquistate al mercato o ancora meglio raccolte negli orti. Le insalate già lavate e imbustate di oggi sono passate allo scanner, quasi sterili, ma non era così per le grandi quantità di ortaggi che venivano consumate soprattutto dalle classi meno abbienti. Insomma, sai quanti bruchi ci finivano in quelle zuppe di cavolo. E non solo non ammazzavano, ma magari contribuivano anche un minimo a quel fabbisogno proteico di chi aveva scarsa disponibilità di carne.

Insomma. Incominceremo a mangiare insetti? O non, piuttosto, torneremo a mangiare insetti? Né l’una né l’altra: continueremo a mangiare insetti.