Il grande percorso della Cucina Italiana Patrimonio Unesco, guidato da Maddalena Fossati

La corsa al riconoscimento della Cucina Italiana a Patrimonio Unesco è alle battute finali, e naturalmente in molti vogliono indossare la corona di quello che sarebbe un grande risultato: eppure, se una corona c'è, bisognerebbe darla a una persona.

Il grande percorso della Cucina Italiana Patrimonio Unesco, guidato da Maddalena Fossati

Se la Cucina Italiana diventerà Patrimonio immateriale dell’umanità Unesco, sarà certamente frutto di un grande lavoro collettivo. Un lavoro che si avvicina sempre di più al traguardo, e al successo, dopo il parere tecnico positivo arrivato qualche giorno fa dall’agenzia delle Nazioni Unite per la Cultura. La decisione finale, quella che deciderà se la Cucina Italiana è degna di essere considerata un Patrimonio Universale, arriverà nella prima metà di dicembre, quando si riunirà a Nuova Delhi il Comitato intergovernativo. Se vi sembra cosa di poco conto, non lo è. Anche noi che generalmente siamo quantomeno tiepidi sulle etichette, sui proclami e sugli entusiasmi generici e universali non possiamo non riconoscere l’importanza di questo riconoscimento, nel caso in cui arrivasse. Così come è stato, a suo tempo, per i Paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato, riconosciuti nel 2014 o per le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, riconosciute Patrimonio UNESCO nel 2019.

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Per quei territori, e per tutta l’economia che gira intorno a quelle produzioni, quella definizione che riconosce l’eccellenza universale è stata non solo importantissima, ma in alcuni casi capace di fare la differenza.

Dunque sì, un eventuale riconoscimento a Patrimonio Unesco per la Cucina Italiana sarebbe non solo un bel risultato, ma anche un traguardo doveroso, visto che non è esattamente il primo caso – come hanno detto i colleghi del TG1 ripostati dal Ministro Lollobrigida qualche tempo fa – ma arriva dopo i riconoscimenti già dati al “pasto gastronomico dei francesi” (2010), alla cucina tradizionale messicana (2010) e alla cucina giapponese washoku (2013).

Non stupisce dunque che un traguardo così importante e così ambito (e anche così nazional-popolare, per noi che alla cucina italiana siamo così attaccati nelle nostre case e famiglie) sia qualcosa su cui tutti vogliono mettere il cappello, dandosi i meriti del lavoro fatto. E nulla da dire, perché in fondo è stato ed è un grande lavoro collettivo, ma le cui origini non dobbiamo dimenticarci.

Come è nata la candidatura della Cucina Italiana a Patrimonio Unesco?

Tutto questo percorso, che finirà (si spera positivamente) a dicembre, è nato da un’idea. E da una persona che nel 2020 l’ha avuta. Quella persona, a quanto sappiamo, è Maddalena Fossati, direttrice dello storico magazine La Cucina Italiana che – forse per assonanza con la sua testata – ha pensato che ci fosse nella nostra tradizione del materiale d’interesse per l’Unesco. Fossati – a quanto ci consegnano le cronache – ha coinvolto nell’idea Fondazione Casa Artusi e l’Accademia Italiana della Cucina e ha poi costituito un comitato scientifico presieduto da Massimo Montanari e composto da Roberta Garibaldi, Luisa Bocchietto, Alberto Capatti, Giovanna Frosini, Paolo Petroni, Vincenzo Santorio, Luca Serianni, Laila Tentoni e Vito Teti).

Dopodiché è arrivato l’enorme e immaginiamo fondamentale supporto di tantissimi: grandissimi chef italiani (su tutti Massimo Bottura), e ovviamente le istituzioni: il Ministero della Cultura e quello dell’Agricoltura, che hanno aiutato a promuovere, a sponsorizzare, a diffondere ovunque il Verbo della Cucina Italiana meritevole di questo riconoscimento. Tutto bellissimo, come sempre quando si fa squadra verso un obiettivo comune, ma oggi, che siamo a un pelo dal traguardo, ci sembra che il merito della persona che ha dato inizio a tutto sia da ricordare, e da riconoscere.

La narrazione della Cucina Italiana: stiamo dando il giusto ruolo a Maddalena Fossati?

maddalena fossati

In quest’epoca di Intelligenza Artificiale (che, attenzione, prendendo spunto da fonti di attualità è tutt’altro che infallibile, se si cambiano colpevolmente o dolosamente le narrazioni, come talvolta avviene) abbiamo provato a interrogarla sul Comitato Promotore della Cucina Italiana a Patrimonio Unesco. Bene, vengono nominati, nell’ordine, il Ministero della Cultura, quello dell’Agricoltura, l’Accademia Italiana della Cucina e la rivista La Cucina Italiana. Nulla di troppo sbagliato, in effetti: tutti questi enti sono e sono stati attivamente parte del lungo percorso che si concluderà – in un modo o nell’altro – a breve. Solo che, anche scorrendo il testo, Maddalena Fossati, colei che ebbe l’idea e colei da cui partì tutto quanto, semplicemente non viene mai nominata.

E la speranza è che sia solo l’AI ad averla lasciata in disparte, giusto per non fare personalismi (che effettivamente non fanno mai bene): Fossati rimane parte integrante del percorso – sarà anche a Nuova Delhi per la decisione finale, ci risulta – e in tanti lo hanno ricordato lungo la strada, ma ultimamente ci farebbe piacere sentirlo ribadire più spesso.

Certo, dicevamo, un risultato di questo tipo fa gola a molti. Al Governo, certamente, che vede questo obiettivo come fortemente conforme ai suoi valori e alle sue narrazioni, prime tra tutte quelle di Sovranità Alimentare professate dal Ministro Lollobrigida. Che infatti non manca periodicamente di aggiornarci a mezzo social – e non solo – dei risultati raggiunti dall’iter, una grande marcia di entusiasmo verso quello che sarebbe un grande risultato dell’attuale amministrazione Meloni (e Lollobrigida): il riconoscimento di una certa superiorità della nostra cucina nazionale nel mondo.

Eppure, in questi discorsi, e in questa promozione doverosa per un progetto che dicevamo importantissimo per l’economia nazionale che ruota intorno all’enogastronomia, ci pare che ultimamente manchi un nome, il nome.

“Dal 2023 abbiamo lavorato perché diventi la prima cucina al mondo riconosciuta patrimonio UNESCO, grazie ad un impegno condiviso tra istituzioni e cittadini”, dice Lollobrigida in uno dei tanti post sull’argomento. Dimenticandosi, in qualche modo, che tra quelle istituzioni e quei cittadini c’è chi ci lavora dal 2020.

E, permetteteci di dire senza scomodare pensieri in cui una professionista viene adombrata dal lavoro di colleghi uomini e/o di gruppi di lavoro, che è un peccato che questo non venga riconosciuto e ricordato con costanza.

Quando la smetteremo di chiedere agli uomini perché non ci sono donne chef? Quando la smetteremo di chiedere agli uomini perché non ci sono donne chef?

Perché se La Cucina Italiana diventerà, come pare, Patrimonio Unesco sarà certamente un risultato collettivo, frutto di un nutrito team promozionale e manageriale, che però, a capo, dovrebbe avere un nome e un cognome. E no, a noi risulta che quel nome non sia esattamente Francesco Lollobrigida.