Funghi: tutto ciò che vi serve sapere per cucinare i finferli

Funghi: tutto ciò che vi serve sapere per cucinare i finferli

Quando ero bambina, passavo un buon mese di vacanza in montagna. Con tutta la combriccola degli amichetti, ogni tanto i grandi ci portavano a funghi.

Le raccomandazioni erano infinite. Andavano da: “Battete i vostri bastoni per terra per far scappare le vipere” a “Non raccogliete i funghi con le lamelle che sono velenosi”.

Così, noi otto-decenni si andava in giro per il sottobosco con passi pesanti per spaventare i rettili e si guardava con sospetto qualunque fungo che non avesse un “sotto” spugnoso, e persino i porcini più manifesti ci creavano qualche perplessità, perché ci avevano detto che potevano anche essere “Satana”, mortali.

Ci salvavamo con l’eccezione che confermava la regola e raccoglievamo a piene mani (beh, manine) i finferli che, benché avessero le lamelle, erano così gialli e inconfondibili che non solo ci era permesso, ma addirittura ordinato di trovarne il più possibile.

finferli

Alla sera, un paio di mamme si armavano di paioli e mestoloni di legno e cucinavano quantità inimmaginabili di polenta su cui riversavamo i nostri finferli, ridotti in un intingolo fumante e goloso.

Ancora oggi questi funghi simpatici fin dal nome (a proposito, si chiamano anche cantarelli o gallinacci), che ahimè non raccolgo più nel bosco ma compro al mercato, sono la madeleine che mi riporta alle estati della mia infanzia.

Poi, sono anche più economici dei porcini e insomma, quando voglio togliermi lo sfizio di preparare un buon tocco (che, per chi non lo sapesse, in Liguria è sinonimo di sugo), li cucino sempre volentieri. E vi racconto come fare.

1. Pulizia in punta di pennello

pulire, finferli

Se i finferli hanno un difetto è che sono sempre piuttosto sporchi. La forma arzigogolata e le già citate lamelle si riempiono allegramente di terriccio, aghi di pino, foglioline e quant’altro. Come sapete, però, il fungo non deve mai essere lavato, se non in casi estremi, perché tende a inzupparsi.

Per pulirli usate perciò un pennello da cucina, o uno spazzolino morbido (io per un certo tempo ne ho usato uno da denti da bambini), agendo con pazienza e delicatezza estrema per non sciupare la polpa.

Solo nel caso fossero veramente ma veramente sporchi, potete passarli velocemente sotto un filo di acqua corrente fredda, strofinandoli con le dita, poi asciugarli con carta da cucina per togliere eventuali residui e umidità. Vietato sempre e comunque l’ammollo.

Verificate che la parte finale dei gambi sia integra perché può succedere che siano stati tagliati male e schiacciati e che ci sia un po’ di marciume. In tal caso, naturalmente, eliminatelo.

I finferli più grandi si possono tagliare in due o in quattro per il lungo, i piccini sono carini lasciati interi: badate solo che pezzi e interi siano tutti più o meno delle stesse dimensioni, per una cottura uniforme.

Un mio vecchio direttore, agli albori della mia carriera nei giornali di cucina, suggeriva di sbianchire quelli molto grandi, che potrebbero essere un po’ fibrosi: a me sembra di ricadere nella trappola dell’ammollo e che alla fine risultino acquosi, ma vedete voi.

2. Un soffritto profumato

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Il tocco di finferli è un sugo rustico e i funghi hanno bisogno dei giusti comprimari. Sedano, carota, cipolla. Un pezzetto di peperoncino e uno spicchio d’aglio, intero o tritato secondo il vostro gusto. Timo e alloro, oppure salvia e rosmarino, l’onnipresente prezzemolo o persino il basilico (questi ultimi due, in caso, da unire a fine cottura). Non guasta una manciatina di porcini secchi, rinvenuti e sminuzzati grossolanamente.

Fatto appassire tutto in un buon filo d’olio, aggiungete i finferli e lasciateli insaporire una decina di minuti con la fiamma bassa e una mescolata di tanto in tanto. Io sono per le cotture dolci, quindi vi consiglio di non lasciar sfrigolare ma, se è il caso, di sfumare con vino bianco, brodo vegetale o semplice acqua.

3. Il momento del pomodoro (e del burro)

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Se i porcini in genere mi piacciono in bianco, i finferli li preferisco rossi, anche se non troppo. Così, appena i funghi iniziano a intenerirsi, li “sporco” con qualche cucchiaiata di passata di pomodoro rigorosamente casalinga, e giusto una punta di concentrato.

Poi lascio sobbollire semicoperto ancora qualche minuto, fino a cottura, che io tengo sempre un po’ al dente perché mi piace sentire la carnosità sotto i denti.

A fuoco spento, aggiungo una buona presa di sale e, da lombarda quale sono, una noce di burro che si scioglie al calore del sugo, legandolo e rendendolo cremoso.

4. Polenta, pasta, scarpetta o…?

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Stranamente, ho cucinato il mio tocco in una giornata soleggiata e piuttosto calda e no, non ce la facevo a metter su la polenta. Il mio intingolo ha così condito delle pappardelle e quel che è rimasto nella casseruola è stato finito con il pane, in una scarpetta libidinosa e succulenta.

Perché, come insegna la tradizione ligure, il tocco è una ricetta a sé che può abbinarsi ai più svariati partner. Dai crostoni di pane al riso pilaf, dai rigatoni alla lasagna. Se poi amate gli accostamenti mare&monti, provatelo con un polpo lessato, un guazzetto di calamari o un umido di seppie.

Sia mai che scopriate nuove madeleine delle estati che furono.

[Fotocrediti: Cibotondo]