1992 la serie: 8 ossessioni culinarie degli italiani tra alta cucina e bassa politica

1992 la serie: 8 ossessioni culinarie degli italiani tra alta cucina e bassa politica

Prima della colonizzazione dei bar a opera dello Spritz, a Milano si beveva il Negroni, unico e solo. A ricordarcelo ieri sera, nella scena della giornalista del Corriere che cerca di spillare informazioni al poliziotto, è stato 1992, nuova serie tutta italiana che racconta in 10 puntate l’annata dell’esplosione di Mani Pulite (ma anche la fase embrionale del berlusconismo e i fasti della Lega di Bossi).

Sulle due puntate trasmesse da SkyAtlantic hanno già detto, e piuttosto male anche, tra input di memoria collettiva rafforzati dalla musica, da spezzoni tv di quell’anno e da un filo di yuppismo didascalisco.

Sì, ma qui siamo su Dissapore e nella serie non c’è nessuno chef stellato, né prova davanti ai fornelli. Il tentativo di ricostruzione del mood ’92 passa, però, anche dal cibo, che siano i lecca lecca di Non è la Rai, il Negroni sopracitato o le immagini dei protagonisti in un ristorante in Galleria Vittorio Emanuele dove fumano tutti come i turchi.

[related_posts]

No, perché se gli sceneggiatori ci vogliono buttare dentro più caratterizzazioni possibili allora li aiutiamo noi!

Nel 1992, infatti, oltre che fumare e pagare tangenti si mangiava pure, magari gossippando su Gualtiero Marchesi e sul perché lasciasse Milano o sulla nuova Guida Michelin dove l’enoteca Pinchiorri prendeva per la prima volta la terza stella. Si faceva per sdrammatizzare, viste le condanne a causa del vino al metanolo è l’allarme uovo (il termine “salmonella” non era ancora nel vocabolario quotidiano). 

E, per chi il 1992 lo ha vissuto, ecco 8 ossessioni culinarie che vi aiutiamo a rispolverare con l’aiuto di un libro decisivo, una controstoria dell’Italia a tavola: La Repubblica del maiale, scritto da Roberta Corradin, foodwriter affermata e appassionata ristoratrice.

rucola

1. RUCOLA, UN’INSALATA PRET A PORTER

Digitando “letto di rucola” su Google vengono fuori 247mila risultati. Chi è l’istigatore? A Milano, nei primi anni Novanta, se non fai attenzione il letto di rucola te lo trovi anche in versione materassino galleggiante sul cappuccino.

La rucola è la nuova panna. Il suo gusto forte, invadente, va a braccetto con l’altra ossessione del decennio: l’aceto balsamico (nella sua versione massificata).

Il successo della rucola ha una ragione pratica: i ristoranti di livello medio e basso scoprono che è un’insalata che si mantiene a lungo anche quand’è già lavata, e per questa ragione abbatte i costi rispetto a soncino, canasta, e semplice lattuga.

I single, che sono diventati un segmento di mercato rilevante, possono acquistarla a manciate evitando sprechi e avanzi.

Anche la storia della gastronomia, come la storia tout court, è fatta di rapporti economici, e la rucola sbanca. Noi non ci badiamo troppo perché il letto di rucola ci arriva sul piatto esaltato dal menage a trois con carpaccio e scaglie di Parmigiano, pomposamente condito con gocce di aceto balsamico.

Ci sentiamo ricchi, informati, gourmet e pure proteici e vitaminici, in una parola magri. Non chiediamo di più.

Pomodori pachino

2. PACHINO, UN POMODORO COME LA RUCOLA

Negli anni Novanta si divulga dagli ortolani chic giù giù sino alle bancarelle dei mercati il pomodoro tondo di Pachino, di una tale perfezione che sembra disegnato da Giugiaro.

In futuro verrà tutelato come Igp, ma all’inizio nasce come macchinazione genetica in Israele, dove viene battezzato con il nome di Naomi (in omaggio alla modella che guarda caso porta il cognome di una nota marca statunitense di pelati).

Con il nuovo pomodoro convive l’antico, il costoluto, coltivato nelle contrade sul mare e dotato di una sua spontanea sapidità. Nel corso del decennio il Pachino subisce il restyling del packaging: anche le verdure devono presentarsi in taglie appetibili per i mangiatori solitari.

Sono i single a decretare il successo del ciliegino di Pachino, che di battesimo fa Rita (in omaggio alla Hayworth?). Di un rosso intenso, insieme alla rucola e alla bufala, ridisegna la pizza Margherita.

aceto balsamico

3. ACETO BALSAMICO

Fino agli anni Novanta l’aceto balsamico è un segreto modenese. Ogni famiglia ha la “batteria” di botticelle in soffitta(dicesi acetaia) e ne fa parsimonioso dono ad amici e parenti; la commercializzazione di massa è di là da venire.

L’occasione viene dalla fine del riflusso: come antidoto agli anni di panna ci vuole un gusto aspro ma dolce, e l’aceto balsamico è perfetto.

Scopriamo che è poco, raro, prezioso, vecchio e stravecchio, un elisir. Un errore di branding si rivela fatale: avendo i produttori trascurato di registrare il marchio, chiunque può produrre aceto balsamico di Modena.

L’aggettivo strategico diventa “tradizionale”, garanzia che il balsamico in questione è stato ottenuto tramite invecchiamento in acetaia, senza chemicals. Stringiamo il flaconcino disegnato da Giugiaro come fosse il più raro degli unguenti.

L’aceto balsamico travolto dal successo sarà forse il prodotto italiano che registra più tentativi di imitazione nel mondo. Impareggiabile quello notato su uno scaffale di un deli deluxe ad Atene: l’etichetta spavalda recitava “aceto botanico”.

branzino

4. BRANZINO O SPIGOLA?

Il branzino è il pesce più conosciuto a Milano.Un milanese a Napoli, quando gli propongono la spigola (nome del branzino nell’Italia Centro-Meridionale), resta stranito.

Il branzino piace ai milanesi per lo stesso motivo per cui il fast food piace agli americani: è rassicurante.

Essendo d’allevamento nella quasi totalità dei casi, il branzino ha ovunque lo stesso (in)sapore; in più, cucinato all’acqua pazza come la spigola [sic], è anche leggero e ipocalorico.

petto d'anatra

5. PETTO D’ANATRA

Fino agli anni Ottanta, le anatre si cucinano intere al forno, mandatoriamente profumate all’arancia. Negli anni Novanta gli anatroccoli subiscono una mutazione genetica spontanea: nascono fatti solo di petto.

Che ne sarà del resto del povero anatroccolo, per tutti gli anni che passiamo a rimpinzarci di petto d’anatra glassato al miele e aceto balsamico?

E ancora: che ne sarà dei petti d’anatra dopo che nel primo decennio del Duemila i ristoratori in massa smettono di inserirli nei loro menu?

E infine: che ne sarà delle anatre, dopo che negli anni Dieci scompaiono in toto da qualunque menu e solo qualche raro esemplare sopravvive (si fa per dire) laccato alla pechinese, nei pochi ristoranti cinesi dove in cucina c’è un cuoco dotato di spirito d’avventura?

insalatona

6. INSALATONA

La parola suona male e la ricetta spesso è pure peggio. Nelle insalatone, anche questo un retaggio dell’American “new” way con i suoi salad bar finisce di tutto. Dal mais transgenico al salmone con il gorgonzola, dai funghi shitake introvabili da noi ad accoppiate creative come prosciutto e anguria, con qualche revival come l’insalata di riso.

Il soncino sradica in parte lo strapotere della rucola; ceci, lenticchie, fagioli sostituiscono gli stracchi salmoni e petti di pollo, tutti irriconoscibili, scomposti a dadi; il pompelmo rosa sposa i gamberetti, l’orzo si marita con la trota, il bollito, a dadi pure lui, si ricicla a caso con pomodori e e cetrioli; i funghi champigno conoscono un insperato momento di gloria.

L’importante è aggiungere sempre una nota di originalità: l’insalata di arance? Trasfigurata con l’aggiunta di grano sareceno. L’insalata di couscous? Si accompagna con granchio e lattuga. Il kiwi va in tandem con i gamberetti e così via.

Altro imperativo morale è che l’insalatona non conosca ristrettezza nella quantità: una terrina che potrebbe bastare per tre persone fa sentire buone le ragazze (l’insalatona ha un pubblico prevalentemente femminile o gay), che la condiscono poco o nulla e non mangiano pane.

Il prezzo da pagare per l’insalatona è una spoposito rispetto agli ingredienti, ma le ragazze non ci badano, almeno sino al 2008, quando la crisi farà tornare tutti a più carboidrati consigli.

mele bio

7. E’ BIO?

Agli inizi degli anni Novanta il mercato del biologico è in continua espansione, e costringe la stampa a riconoscerne l’esistenza. A Roma, la Cooperativa biologica “Il Canestro” raccoglie circa 5000 soci, tutti e cinquemila sono disposti a pagare il doppio un chilo di mele acquistate, ma quali garanzie ricevono che le mele acquistate siano davvero coltivate secondo le regole bio?

In ogni caso le città si animano di mercatini biologici itineranti e di un popolo che li segue via via negli spostamenti, una domenica in piazza Italia, la domenica dopo a piazza delle Erbe.

Il mercatino bio è come la metropolitana: per il tempo di una fermata ci fa stare tutti vicini, la signora radical-chic e il ragazzo rasta con reminiscenze hippy.

pizza con nutella

8. PIZZA CON LA NUTELLA

I gourmet storcono il naso ma in fondo la pizza con la Nutella altro non è che l’anticipazione tra dolce e salato, signature della pasticceria d’autore nel decennio successivo, che vedrà grani di sale Maldon incastonati nella ganache delle praline.

Teorico inconsapevole del genere è lo scrittore esordiente Enrico Brizzi, che nel 1994 pubblica il romanzo Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il cui protagonista analizza la funzionalità della forma di un noto biscotto (dall’impasto leggermente salato) e che ben si adatta a immergersi nel barattolo della Nutella.

Si pulisca il baffo che dice di non averla mai assaggiata.

Quando nel decennio successivo saranno pasticceri blasonati a sposare grani di sale alle fave di cacao, faremo tutti Ohhh. Nel frattempo, chi ha il complesso della cultura a tutti i costi trova pane per i suoi denti nel genio di Gianluca Franzoni, in arte Mack Domori, che sposa il cioccolato al latte di cacao equadoregno Arriba con il sale bretone di Guérande.

[Crediti | La Repubblica del maiale di Roberta Corradin. Link: Huffington Post, Repubblica, Immagini: Valentina Campus]