5 cose che mi mancano: un romano a Milano e un milanese a Roma

5 cose che mi mancano: un romano a Milano e un milanese a Roma

Milano-Roma è una tappa dell’immaginario culturale del nostro Paese. O di quello che ne è rimasto. È stato anche il titolo di un programma televisivo di fine anni ’90. Non era manco male. Ma se ancora prima, a inizio anni ’80, un napoletano a Firenze era automaticamente un “emigrato” – in uno dei tanti momenti indimenticabili del Troisi di Ricomincio da tre – un romano a Milano è sempre un disadattato.

Il romano a Milano è quello che ti fa ridere per come parla; non importa cosa dice e cosa pensa. È quello che non capisce perché la gente sembra sempre incazzata e antisociale. Ma è soprattutto quello che dà di matto perché in Duomo dopo le 20 non si mangia una mazza, e non capisce per quale motivo se entra in un locale che ostenta un look rustico finisce per spendere di più che in quello accanto che sfoggia un servizio leccato.

Non si tratta di razzismi o pregiudizi, tanto meno di ostentazioni iperboliche alla “Quando voi vivevate nelle palafitte noi eravamo già froci” (come recitava uno striscione di inconsapevole grandezza, di alcuni romanisti in trasferta, qualche lustro addietro). Milano dista 600 km anche da Monaco di Baviera, ma è una distanza che pesa meno nelle abitudini e nello stile.

Se sei un romano a Milano alla fine ti abitui. Ma ogni volta che torni a casa ti trasformi nello stereotipo di te stesso e cominci a rincorrere le vecchie abitudini, specie quelle gastronomiche. Almeno io faccio così: la discesa è sempre un tour gastronomico inusitato. Programmato, eccessivo e spericolato. Ma anche salvifico. Ma se tornassi a vivere a Roma, cosa mi mancherebbe della Milano gastronomica?

Proviamo una leggiadra comparazione: cinque cose che mi mancano/mancherebbero, ognuna con un indice di privazione da 0 a 100. E con una postilla: nel caso di Milano per arrivare a cinque devo inglobare la cucina montagnina e di provincia che scalda più il mio cuore terrone. Altrimenti mentirei.

ROMA

Pizza al taglio : 99. Non metto 100 perché si sopravvive a qualsiasi privazione ma questa è la più inaccettabile. Quella che mi costringe al tour de force più stancante a ogni ritorno nella capitale. Visto che a Roma si conta una pizzeria al taglio ogni 50 metri, è un duro lavoro…

Supplì: 90. Contemplabile nella pizza al taglio ma lo si priverebbe della sua immensa dignità e autonomia. La classifica su Dissapore è stata anche già prodotta e la sposo in pieno.

Cacio e pepe: 85. A Milano la nostalgia vale per tutti i primi romani, ma vi sfido a mangiare una cacio e pepe meneghina degna di questo nome.

Puntarelle: 75. Anche qui, il contorno romano regna ed educa in generale, ma la mancanza si sente per le cose che proprio non arrivano.

Carciofi: 75. Alla giudia o alla romana, fate voi. Mancano entrambi. E se ne soffre il giusto.

MILANO

Pizzoccheri: 90. Sopra i 200 metri di altezza anche a 30 gradi il pretesto è sufficiente per distruggersi di questo piatto valtellinese che mi fa godere crassamente. Come un buon primo romano esige l’abbondanza, altrimenti risulta pleonastico.

Risotto giallo: 85. Scontatissimo, ma come discuterlo. Un must della cucina milanese pieno di arte e segreti. Anche in versione bianca con l’ossobuco genera mancanza nel breve periodo.

Polenta taragna: 80. Rieccoci con la montagna. Signori, a me la polenta gialla non smuove alcun sentimento, ma la versione con farina di grano saraceno e quantità inaccettabili di formaggio cambia totalmente l’equazione.

Orecchia d’elefante: 70. Non amo particolarmente la cottura nel burro, ma una cotoletta fatta coi crismi può generare dipendenza. Conosco milanesi però che preferiscono la mia…

Torta paesana: 60. Non sono l’uomo dei dolci e il panettone proprio non lo venero. Preferisco di gran lunga questa torta brianzola piacevole e creativa, fatta di scarti e valida a tutte le ore del giorno.

[Crediti | Immagini: Flickr/Valentina Fontanella, Flickr/Shen Weng Lo]